Nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, lo Stato italiano abbandonò migliaia di ascari (combattenti eritrei) che avevano servito fedelmente nel Regio Esercito nel corso della campagna in Africa Orientale. Dopo la guerra vennero elargite numerose pensioni di guerra a pseudo partigiani mentre gli ascari, che combatterono al nostro fianco contro i britannici, vennero condannati alla damnatio memoriae del passato regime fascista.
Ora la storia sembra ripetersi con quanto sta avvenendo in Afghanistan con gli interpreti locali, utilizzati da anni dai contingenti italiani.
In una nota ufficiale dei senatori Rauti, De Carlo, Petrenga, Ciriani ai Ministeri degli Esteri e della Difesa, si evidenzia che il fatto che, nonostante l’approvazione del finanziamento alla missione in Afghanistan "Resolute Support" - alla quale, per il 2020, l'Italia partecipa con 800 unità di personale militare, 145 mezzi terrestri e 8 mezzi aerei, analogamente a quanto già previsto nel 2019 -, gli interpreti di nazionalità afghana, impiegati a supporto dell'attività italiana nella missione, avrebbero ricevuto le lettere di fine rapporto, senza la previsione, peraltro, di alcun tipo di misura atta a garantire la propria sicurezza e quella dei rispettivi familiari.
Alcuni interpreti, da quel che risulta, avrebbero già ricevuto delle ritorsioni per la collaborazione con le forze occidentali, finanche rimanendo uccisi e, tale problematica, sarebbe già nota al Governo italiano.
In particolare, il governo ha precisato che "il contingente nazionale è schierato principalmente nella zona di Herat…garantisce la funzionalità dell'aeroporto di Herat…supporta le Afghan Security Institutions (ASI) e le Afghan National Defence Security Forces (ANDSF)": ciò perché la missione in questione, subentrata, dal 1° gennaio 2015, alla missione ISAF, conclusasi il 31 dicembre 2014, ha come obiettivo lo svolgimento di attività di formazione, consulenza e assistenza a favore delle forze di difesa e sicurezza afgane e delle istituzioni governative e riflette gli impegni assunti dalla NATO ai vertici di Lisbona (2010), Chicago (2012) Newport in Galles (2014).
Tale impegno è stato anche sostenuto dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il quale con la risoluzione n. 2189 del 12 dicembre 2014 ha sottolineato l'importanza del continuo impegno internazionale per la stabilizzazione dell’Afghanistan e l'ulteriore miglioramento della funzionalità e della capacità delle forze di difesa e sicurezza afgane, al fine di consentire loro il mantenimento, in autonomia, della sicurezza e della stabilità in tutto il Paese.
Il punto è che il disimpegno della NATO dall’Afghanistan è ormai imminente. Dopo vent’anni di presenza l’Occidente non è riuscito a debellare le milizie jihadiste, al servizio dei vari signori della guerra, né a costruire una vera alternativa democratica a una struttura istituzionale che rimane comunque tribale.
Man mano che i contingenti della NATO si ritireranno, i talebani cominceranno a riconquistare i territori perduti, grazie anche alla corruzione endemica presente nel regime di Kabul. Chi è stato colluso con gli occidentali verrà probabilmente giustiziato insieme ai propri familiari.
In Italia, ogni anno, giungono migliaia di immigrati clandestini, molti dei quali sono richiedenti asilo per motivi politici (di cui ben pochi con i requisiti adatti). Il governo dovrebbe domandarsi se non sia il caso di accogliere gli afghani che hanno collaborato con i nostri contingenti (insieme alle loro famiglie), salvandoli in questo modo dalla vendetta dei talebani.
Foto: ISAF / ministero della difesa