IRAQ, cade Ramadi: la vergogna dei "reparti speciali", i primi a scappare

18/05/15

Le forze di sicurezza irachene impegnate nel tentativo di riprendere il controllo della città occidentale di Ramadi, si sono imbattute in pesanti scontri, subendo la peggior sconfitta del governo lealista da quando è iniziata l’avanzata dello Stato islamico.

Quelle chiamate, sicuramente con troppa fretta e propaganda, truppe speciali irachene, hanno abbandonato le loro attrezzature di ultima generazione di produzione USA ai terroristi e sono fuggiti, lasciando centinaia di soldati delle truppe regolari nell’ultima sacca di resistenza ancora attiva in città. L’ennesima riprova di un governo cui di certo non mancano i soldi per acquistare ogni tipo di equipaggiamento militare, ma che non è in grado (senza l’aiuto della coalizione) di vincere sul campo contro lo Stato islamico.

Dagli Stati Uniti, il commento è estremamente negativo, quasi dispregiativo. I reparti speciali americani (ma in effetti su ciò si basa l’intera etica del soldato), non abbandonano mai nessuno sul campo, anche a costo della loro stessa vita (e gli esempi non mancano). Cosa che, invece, non sembra essere stata recepita dai tanto pubblicizzati soldati d’élite dell’esercito lealista. Molti soldati sarebbero rimasti all’interno dell’Anbar Operations Center, dopo una vasta operazione iniziata sabato scorso per riprendere la città da controllo dei fondamentalisti.

"Solo Dio ci può salvare", avrebbe detto nell’ultimo messaggio radio un ufficiale rimasto prigioniero dentro il centro operativo di Anbar con un centinaio di soldati. Il loro destino è incerto. Le ultime informazioni giunte dal fronte, parlano di una struttura circondata da migliaia di miliziani, colpito più volte da attentatori suicidi e dal fuoco dell’artiglieria pesante. Poche ore fa, sugli account dei social media ritenuti vicini ai terroristi, sono comparsi post che annunciavano la conquista del centro operativo e che gli sforzi per respingere l’assalto hanno avuto successo.

La conquista di Ramadi aveva preso il via giovedì scorso, ma la controffensiva dell’Isis non si è lasciata attendere considerando che quarantotto ore dopo, tutte le posizioni perse erano state riconquistate dai soldati del califfato. L’esercito lealista ha poi lasciato le proprie posizioni sabato scorso, abbandonando decine di blindati USA, artiglieria, mitragliatrici pesanti ed altro equipaggiamento militare. Gli iracheni, sono fuggiti a piedi.

La pubblicizzata (e vergognosa) unità d’elite “Golden Brigade”, presentata al pubblico come la migliore unità speciale dell’esercito lealista, è stata la prima a lasciare le proprie posizioni. Asserragliata venerdì scorso nella zona dello stadio della città, ha poi abbandonato le posizioni poche ore dopo, lasciando in balia del nemico le altre unità che si di essa faceva affidamento. L’ennesima conferma dell’eccessiva facilità con cui le truppe “speciali” e profumatamente equipaggiate dei governi instabili come l’Iraq, si fregiano di tale nomea.

Milioni di dollari non bastano a rendere speciali dei semplici uomini che (in alcuni casi) utilizzano quegli epiteti solo per compiere atrocità nei confronti del proprio popolo per poi fuggire dinanzi al nemico. L’equipaggiamento di ultima generazioni non serve da solo a creare dei soldati.

Il 90% di Ramadi, secondo quanto affermato ieri sera dal sindaco della città, Dalaf al Kubaisi, è nelle mani dello Stato islamico. Le ultime sacche di resistenza potrebbero già essere cadute nelle mani degli insorti. Una battaglia, quella di Ramadi, che ha visto continui rifornimenti da parte del governo compresi 40 Humvee inviati sabato sera.

Sulla carta, i numeri erano nettamente a favore del governo riconosciuto dalla comunità internazionale. Nell’assedio di Ramadi hanno preso parte tre reggimenti di soldati iracheni (oltre ai “reparti speciali”), per quella che doveva essere una liberazione. Si è rivelato un massacro che non tarderà ad essere documentato, secondo l’ormai nota capacità di editing dell’Isis.

Circa 500 soldati si sono dati alla fuga per la strada principale che collega Ramadi alla capitale Baghdad: circa 60 miglia di asfalto sotto il totale controllato dallo Stato islamico.

Il primo ministro iracheno, Haider al-Abadi, rispondendo alla crisi in corso, è andato in televisione di stato ieri sera per annunciare il dispiegamento delle milizie sciite sostenute dall'Iran. Assembleremo una forza enorme – ha detto al-Abadi – purificheremo l’intera provincia di Anbar dai terroristi.

La cattura di Ramadi, una città la cui popolazione è stimata tra i 500mila e le 900 mila unità, è di gran lunga la più grande vittoria dello Stato Islamico, dopo la conquista di Mosul che con 2 milioni di abitanti è la seconda città più grande dell'Iraq.

La vittoria di ieri sera, arriva dopo nove mesi di bombardamenti Usa in Iraq ed è in contrasto con le dichiarazioni americane fin troppo trionfalistiche degli ultimi giorni. A differenza di Fallujah, oggetto di due offensive americane, Ramadi non cadde mai completamente nelle mani degli estremisti.

La città è stata assediata dal gennaio dello scorso anno, ma la svolta avvenne giovedì notte con una serie di attentati nei punti chiave della città che hanno sancito l’inizio dell’offensiva dello Stato islamico. Almeno sette raid aerei della coalizione sono stati lanciati nelle ultime quarantotto ore, ma i bombardamenti non hanno sortito alcun effetto sull’esito della battaglia.

Con la caduta di Ramadi si teme per la città di Baghdadi, che potrebbe essere conquistata nelle prossime ore. Baghdadi non è una grande città, ma è di estrema importanza strategica perché rappresenta una linea di sostentamento vitale con il controllo della diga di Haditha, una delle più grandi infrastrutture del paese, sia per la produzione di energia elettrica che per il flusso d’acqua nelle colture.

L’appello del sindaco di Baghdadi, diramato questa mattina, è tragico quanto chiaro: "Chiediamo al governo iracheno di inviarci immediatamente soldati, siamo circondati dai Daash. Abbiamo bisogno di cibo e preghiamo gli Stati Uniti di inviarci munizioni e armi”.

Franco Iacch