Israele prepara nuovi piani per attaccare l’Iran

(di Tiziano Ciocchetti)
29/01/21

L’Accordo di Vienna, firmato il 14 luglio 2015 dal gruppo 5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU più la Germania), aveva lo scopo di limitare le capacità nucleari dell’Iran, in cambio dell’allentamento delle sanzioni, impedendogli così di sviluppare armi nucleari. Tuttavia gli israeliani hanno sempre ritenuto questo accordo insufficiente, preoccupati che un regime teocratico, fortemente ostile allo Stato ebraico, trovasse il modo comunque di dotarsi di un arsenale nucleare.

Nel maggio del 2018 l’Amministrazione Trump ha fatto uscire gli Stati Uniti dall’Accordo e ha ripristinato le sanzioni nei confronti di Teheran. Una delle ragioni di tale decisione è che, secondo il Dipartimento di Stato, l’Iran stava finanziando gruppi jihadisti in Medio Oriente. Inoltre Washington teme fortemente la proliferazione di Teheran nel campo dei missili balistici (che l’Accordo del 2015 proibiva), timore condiviso anche da altri paesi come la Francia e la Gran Bretagna.

Una volta ripristinate le sanzioni, gli iraniani hanno cominciato a svincolarsi dagli obblighi dell’Accordo di Vienna. Nel frattempo l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ha chiesto chiarimenti circa alcuni siti nucleari che Teheran non ha dichiarato ma che invece gli israeliani sostengono esistere.

Con l’insediamento della nuova Amministrazione Biden, Teheran ha annunciato l’intenzione di produrre, nel sito sotterraneo di Fordo, uranio arricchito al 20%, ovvero una percentuale cinque volte superiore a quella autorizzata dall’Accordo (che prevedeva una quota massima del 3,5%, sufficiente per l’utilizzo in campo civile).

Questo annuncio costituisce ovviamente una grave violazione dell’Accordo di Vienna, che Francia, Germania, Regno Unito e Russia desiderano preservare. Per provocare una reazione a catena supercritica, per un tempo molto breve, per causare un'esplosione, l'uranio deve contenere un minimo di circa il 20% di isotopi 235U. 

Tuttavia, è più facile arricchire l'uranio dal 20 al 90% (cioè il livello richiesto per un'arma nucleare operativa) che dal 3 al 20%. Da qui le osservazioni recentemente fatte dal ministro degli esteri francese Jean-Yves Le Drian.

“L'Iran - lo dico chiaramente - è in procinto di acquisire capacità nucleare. […] Ci saranno anche le elezioni presidenziali in Iran a metà giugno. È quindi urgente dire agli iraniani che questo è molto grave e prendere provvedimenti per garantire che Iran e Stati Uniti tornino all'Accordo di Vienna”, ha detto il capo della diplomazia di Parigi.

Inoltre ha aggiunto che “uscendo da questo accordo, l'Amministrazione Trump ha scelto la strategia conosciuta come massima pressione contro l'Iran. Il risultato è che questa strategia ha solo aumentato il rischio di una escalation nella regione. Dobbiamo quindi fermare questo meccanismo”.

In questo contesto, quali saranno le priorità della diplomazia americana sotto la presidenza di Joe Biden? Considerando la politica del suo predecessore nei confronti dell'Iran come un fallimento, il nuovo presidente ha detto di voler riportare gli Stati Uniti nell’Accordo ma a condizione che Teheran torni a rispettare rigorosamente i suoi impegni.

Da parte sua il presidente iraniano Rouhani (foto) spera che Washington faccia un primo passo conciliante e poi rispetti i termini dell'Accordo di Vienna.

Di contro lo Stato d’Israele ritiene che tornare all’Accordo sarebbe una "cosa negativa". Lo ha affermato il generale Aviv Kochavi (foto apertura), capo di stato maggiore delle IDF, durante uno dei suoi rari interventi pubblici lo scorso 26 gennaio.

"Qualsiasi accordo che riprenda i termini del 2015 è una brutta cosa, sia strategicamente che operativamente", ha dichiarato il generale Kochavi, durante un congresso organizzato dall'Istituto di Ricerca sulla Difesa dell'Università di Tel Aviv.

"Le pressioni sull'Iran devono continuare, l'Iran non può sviluppare le capacità per produrre possedere una bomba nucleare", ha continuato il capo di stato maggiore israeliano. Aggiungendo che sarebbe "inaccettabile e porterebbe alla proliferazione nucleare in tutta la regione", osservando che, "per quanto riguarda il fronte settentrionale (Libano e Siria), non si manifesta da parte iraniana alcuna intenzione di ritirarsi”.

Proprio per non trovarsi impreparato, secondo il generale Kochavi, lo Stato d’Israele sta elaborando nuovi piani operativi contro l'Iran e le sue attività nucleari. “Ci stiamo occupando di questi piani e li svilupperemo nel corso di quest’anno. Poi spetterà ai decisori politici metterli in pratica o meno, tuttavia è indispensabile che siano pronti”.

Probabilmente questi piani operativi comporteranno una combinazione di strike aerei con l’impiego degli F-35I e degli F-15I e di attacchi portati dal Golfo Persico con i sottomarini classe Dolphin equipaggiati con missili da crociera Popeye.

Per Teheran, Israele sta conducendo solo una “guerra psicologica".

"Stanno conducendo una guerra psicologica, non hanno praticamente nessun piano, nessuna capacità", ha sentenziato il 27 gennaio l’iraniano Mahmoud Vaezi, capo di stato maggiore del presidente Rouhani.

Sempre secondo Vaezi, l’Iran non intende iniziare una guerra ma si difenderà da qualunque attacco da parte dei sionisti o di altri paesi.

Foto: IDF / IRNA