General Atomics Aeronautical Systems ha annunciato la consegna di due droni Predator-A all'Aeronautica Militare Italiana. Quest’ultima utilizza gli MQ-9 per tutte le missioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione sul Mediterraneo, nonché a sostegno delle operazioni della NATO.
Da rilevare che l’Italia ha già ottenuto il via libera dal Congresso degli Stati Uniti per armare i propri Reaper per una fornitura del valore di 130 milioni di dollari con General Atomics in qualità di “prime contractor”. Il governo italiano ha acquistato nello specifico 156 missili AGM-114R2 Hellfire II costruiti dalla Lockheed Martin, 20 GBU-12 (bombe a guida laser), 30 GBU-38 JDAM ed altri sistemi d'arma.
I sei “Mietitori” italiani (poco meno di undici milioni di dollari ad esemplare) sono dislocati da quest'anno a Sigonella, in Sicilia, “hub” del Mediterraneo. Nella medesima base, gli USA rischierano anche i Global Hawk a sostegno delle operazioni di intelligence nel Mediterraneo e nel Nord Africa.
Gli UAV italiani di Sigonella svolgono missioni di ricognizione anche per contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina. Droni italiani che hanno svolto operazioni anche in Iraq, Afghanistan, nei Balcani ed in Libia. Sappiamo che proprio in Kuwait l'Italia ha schierato due UAV in missioni di ricognizione.
L'Italia è il secondo paese, dopo la Gran Bretagna, dotata di droni in ruolo hunter killer. La richiesta italiana per armare i droni MQ-9 Reaper (acquistati nel 2009) è stata formulata nel 2012. Anche la Turchia ha avanzato tale richiesta.
La componente UAV degli USA
Gli Stati Uniti lanciano droni armati dalle basi in Turchia, Italia, Etiopia, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Gibuti, un piccolo paese sul Corno d'Africa. Inoltre, la CIA, gestisce due basi per operazioni hunter killer in Arabia Saudita ed Afghanistan. La domanda dei droni militari in grado di sferrare attacchi aerei è in continua ascesa. Nel 2014, Predator e Reaper hanno volato per 369.913 ore, sei volte quanto registrato nel 2006, secondo le statistiche ufficiali dell’Air Force.
Il Predator è la piattaforma volante dell’Air Force con il terzo maggior numero di ore accumulate dopo l’F-16 ed il KC-135. Oltre a salvare le vite dei piloti, i droni come il Predator ed il Reaper possono trasmettere immagini ad alta definizione, essenziali per gli analisti dell’intelligence e tecnologia fondamentale nella guerra moderna.
Uno dei nemici fondamentali dei droni da battaglia è l’affidabilità. Si scopre che più della metà dei 269 Predator acquistati dall’Air Force sono andati perduti in incidenti. I droni volano generalmente ad altitudini superiori ai 18mila piedi, al riparo dalle armi di piccolo calibro della fanteria, ma alla mercé delle batterie missilistiche degli eserciti regolari.
Proprio il 17 marzo scorso, l’Air Force ha perso contatto con un Predator durante una sortita notturna nei pressi di Latakia, in Siria. Quello, però, non era un raid contro i combattenti dello Stato islamico, ma una missione di sorveglianza in una delle roccaforti di Assad. I media siriani, mostrando le immagini del relitto ed un’etichetta con su scritto General Atomics, produttore del Predator, parlarono di “aereo ostile abbattuto”. La versione ufficiale del governo americano per la perdita del drone, invece, parla di perdita di energia elettrica ed interruzione dei collegamenti con la postazione in remoto.
L’episodio siriano ha rivelato altro. Sarebbe estremamente difficile per i droni statunitensi raggiungere l’area nordoccidentale della Siria dalle loro basi principali nel Golfo Persico. Ciò significa che il Predator era quasi certamente entrato nello spazio aereo siriano dalla Turchia. L’Air Force ha una flotta di Predator di stanza nella base di Incirlik, ma il governo turco ha sempre garantito sul profilo delle missioni di sorveglianza effettuate esclusivamente nel nord dell'Iraq.