Nella parte conclusiva del mio precedente articolo sullo sfondo dello scenario ucraino si palesavano le inquietanti figure dei kadyrovsty, i paramilitari che prendono il nome dal loro comandante, Ramzan Kadyrov. Chi sono, dunque e quale compito operativo sarebbero chiamati ad assolvere questi miliziani provenienti dalla Cecenia e, tuttavia, “braccio armato” al Cremlino in più di un teatro bellico?
Allo scopo di contrastare con successo la resistenza cecena, Mosca si risolse ad affidarsi a forze ausiliarie locali intenzionate a dominare la repubblica ribelle. Il nucleo embrionale della milizia venne istituito quando l’ex guerrigliero Ahmad Kadyrov, eletto presidente della Repubblica Cecena nel 2003, si pose al comando dell’unità OMON di Grozny (300 uomini) ed attribuì alla propria guardia personale (circa 3000 uomini), lo status di forza di sicurezza governativa. Questa venne ufficialmente inglobata nel MVD ceceno.
Il 9 maggio 2004 Ahmad Kadyrov fu assassinato dai ribelli indipendentisti ed il figlio Ramzan Kadyrov accrebbe il proprio potere in seno alla compagine politica del Paese. Nel 2006 Ramzan Kadyrov (foto seguente) trasformò la forza di sicurezza governativa creata dal padre in un’organizzazione paramilitare sotto il suo personale controllo, i Kadyrovtsy.
L’organizzazione, composta da circa 5000 uomini, è suddivisa in due reparti: il 141° reggimento forze speciali della polizia “Ahmad Kadyrov” (noto anche come PPSM-2) ed il “reggimento del petrolio” (Neftepolk), incaricato di fornire sicurezza ai condotti petroliferi sul territorio.
Vi sono, inoltre, diverse unità non ufficiali, composte da ex-guerriglieri, eufemisticamente chiamate “Centri Antiterrorismo”. Tra queste ricordiamo i battaglioni Sever (“Nord”), sotto il comando di Muslim Ilyasov e forte di circa 500 uomini e Yug (“Sud”), guidato da Alimbek Delimkhanov, con una forza stimata intorno ai 700 uomini.
Sebbene organicamente inseriti nelle strutture del MVD, i Kadyrovtsy sono in effetti leali al loro leader piuttosto che a Mosca.
Come capo del servizio di sicurezza presidenziale ceceno, Kadyrov è stato spesso accusato di essere brutale, spietato e antidemocratico; per la stampa, è implicato in numerosi casi di tortura e omicidio. L'associazione tedesca per i diritti umani “Associazione per i Popoli Minacciati” (GfbV) ha affermato che fino al 70% di tutti gli assassinii, stupri, rapimenti e casi di tortura in Cecenia sono stati commessi dall'esercito privato ai suoi ordini.
Kadyrov ha goduto dell'appoggio del presidente russo Vladimir Putin, per quanto alcune manovre militari non autorizzate da lui condotte avrebbero suscitato l'irritazione del Cremlino. Attualmente non vi è nessuna figura autorevole in Cecenia che possa contrastare il potere di Kadyrov. La dichiarazione della fine della Seconda Guerra Cecena nell'aprile dello stesso anno ha ridotto la presenza di forze militari federali russe in Cecenia e aumentato ulteriormente la libertà d'azione di Kadyrov, divenuto nel 2007 presidente. Nel 2010 egli ha rinunciato a tale carica, sostenendo che la Russia deve avere un unico presidente. L’autorità apparentemente indiscussa che Kadyrov esercita in Cecenia dipende in parte dal sostegno offertogli dalla Russia, ma riflette anche il grande potere che egli esercita sull’esteso apparato di sicurezza della regione.
I Kadyrovtsy, sarebbero i responsabili di almeno uno dei tre tentativi di assassinio del presidente Zelensky dei giorni scorsi. La ragione per l’impiego di questa unità, tuttavia, lascia prefigurare ipotesi di altra natura e su scala più vasta.
Non è un segreto che le unità regolari russe siano in gran numero ferme all’ingresso di Kiev ed è lecito chiedersi a questo punto cosa stiano aspettando a dare inizio all’occupazione di quel k-terrain la cui conquista, almeno inizialmente, appariva come possibile end-state dell’invasione attuata da Mosca.
Quello che rimane, ad ogni buon conto, un obiettivo fondamentale, può trasformarsi nella “Stalingrado di Mosca”, cioè lascia presagire lo sviluppo di una resistenza di tale intensità da parte ucraina da implicare un elevato numero di caduti tra i soldati russi, poco addestrati al combattimento nei centri abitati. Ecco, allora, la necessità di disporre di battaglioni in primo scaglione capaci di fungere da “punta di lancia” per irrompere nello scenario urbano di una grande città come Kiev. Ecco il compito operativo dei Kadyrovtsy, veterani di combattimenti come quello di Grozny.
Per capire quale fosse la situazione della battaglia di Grozny e, dunque, a cosa andrebbero incontro i soldati di leva russi affrontando un popolo che combatte al limite della disperazione, si considerino i seguenti aspetti tattici.
A Grozny, a giudizio degli stessi Russi, i settori contermini tra i reparti schierati hanno rappresentato un punto debole e non si è trattato solo di una vulnerabilità connessa alla difficoltà di individuare e gestire i limiti “orizzontali” di settore. In diverse occasioni, infatti, si verificò che i Ceceni riuscissero a tenere le posizioni degli edifici dal terzo piano a salire, mentre i Russi occupavano i primi due piani e, talvolta, il tetto. Quando accadeva che un’aliquota di forze russe dislocate al secondo piano lo evacuasse parzialmente, senza informare l’aliquota dislocata al piano sottostante, i Ceceni ne approfittavano per occupare le posizioni abbandonate ed attaccare il nemico sparando attraverso il pavimento. Ne scaturiva una sorta di lotta fratricida, a causa del fuoco di risposta russo erogato indiscriminatamente contro il piano superiore e, di conseguenza, anche contro l’aliquota russa rimasta sulle posizioni. Intere battaglie sono state combattute attraverso muri, soffitti e pavimenti, senza contatto visivo.
I Ceceni si dimostrarono brutali, in particolare con i prigionieri. Alcuni rapporti riferiscono di analogo comportamento da parte russa, ma sembrerebbe che i Ceceni siano stati i peggiori. Chiunque si sia reso responsabile delle atrocità commesse, di fatto gli scontri avvennero senza esclusione di colpi. I russi, morti o feriti, venivano appesi a testa in giù alle finestre delle posizioni difese dai Ceceni, in modo che i soldati russi, per colpire i Ceceni, fossero costretti a colpire prima i corpi dei propri commilitoni. In molti casi i prigionieri russi vennero decapitati e le loro teste infilzate su dei pali per essere esposte, durante la notte, lungo gli assi di rifornimento principali percorsi dai convogli russi.
Entrambe le parti ricorsero al trappolamento dei cadaveri dei soldati nemici con le famigerate booby traps. I Russi, peraltro, non si meravigliarono della brutalità e della ferocia dei Ceceni. Furono invece colpiti dalla perizia da questi dimostrata nell’uso delle mine e nella preparazione di trappole esplosive. I Ceceni minavano e trappolavano ogni cosa, dimostrando un’eccellente capacità intuitiva nell’organizzazione della manovra e della contromanovra, rispetto alla media delle forze russe.
La continua attenzione per il timore di incappare in mine e trappole, per i Russi si rivelò estenuante.
Appare logico che la “pausa operativa” imposta alle unità russe non dipenda solo da un’impasse logistica, ma anche da una riflessione sulle “lezioni apprese” sul teatro ceceno.
È, altresì evidente che i Kadyrovtsy da soli non bastano a costituire quei primi scaglioni necessari all’attacco della città. Sulla scena pare siano presenti reparti dei SOBR, spetsnaz del Ministero dell’Interno, inquadrati nella Guardia Nazionale della Federazione Russa.
Anche i SOBR sono veterani della Cecenia. Costituiti il 10 febbraio 1992 con il compito di intervenire per far fronte a gravi situazioni sul piano dell’ordine pubblico e della criminalità organizzata, i Reparti Speciali di Reazione Rapida SOBR (Spetsial'nye Otryady Bystrogo Reagirovaniya) sono concepiti per poter agire sollecitamente in diverse aree del Paese: in mattinata i SOBR potevano operare a Mosca e, poche ore dopo, essere impegnati nella cattura di un gangster in una località degli Urali.
I reparti, concepiti come unità operative per il combattimento, vennero altresì addestrati per l’infiltrazione di organizzazioni criminali e l’attività di intelligence all’interno di queste. I SOBR erano tutelati dal più rigoroso segreto ed il Ministero degli Interni ebbe molta cura nel non far trapelare alcuna informazione su queste unità.
I reparti SOBR sono composti da ufficiali superiori delle forze di polizia, sottoposti ad un addestramento migliore dei corrispettivi OMON, con compiti analoghi a quelli della SWAT americana e sotto il diretto controllo del Ministero degli Interni.
Numerose sono state le operazioni che hanno coinvolto SOBR contro i ribelli ceceni, sia in Cecenia che sul territorio russo: ricordiamo le battaglie di Mineralnye Vodi (1994), di Budyonnovsk (1995) e l’assalto al teatro “Dubrovka”, a Mosca nel 2002.
La presenza e i criteri di impiego di questi elementi “asimmetrici” sono fortemente indicativi di come la guerra apparentemente convenzionale che si sta combattendo in Ucraina mantenga, a tutti gli effetti, le caratteristiche della “guerra ibrida” condotta da otto anni a questa parte. Certamente non sono gli unici indicatori a sostegno di questa affermazione. La dimensione della infowar posta in atto da entrambe le parti è eclatante, soprattutto a livello strategico. Sul fronte ucraino, tutti abbiamo negli occhi le immagini dei civili che sfamano e dissetano il giovane soldato russo che si è arreso. Siamo rimasti colpiti anche dai video amatoriali delle mamme ucraine che lanciano appelli per consentire il recupero dei corpi dei caduti russi e la “restituzione alle loro madri” per una degna sepoltura.
La narrativa sotto il profilo delle info-ops è straordinaria: assistiamo ad un climax ascendente il cui messaggio è molto meno ecumenico di come voglia apparire: dal soldato vivo di cui ci prende cura, si passa ai soldati morti di cui prendersi cura… L’invito alla resa e alla diserzione trapela senza le minacce esplicite di altre forme di psy-ops “divisive” (attuate, ad esempio, nella guerra in Iraq del 1991).
Da parte di Mosca la info-campaign di tipo “coesivo” orchestrata dal Cremlino e destinata alla popolazione russa, invece, appare piuttosto goffa, anche se non priva di una certa efficacia. La vecchietta portata via di peso da due marcantoni della Politsyia – se fossero stati membri dell’OMON l’effetto sarebbe stato ancora peggiore – non da certo una buona impressione sulle direttive e le leggi impartite da Putin.
Le trasmissioni televisive dove si racconta ai bambini come La Russia si stia difendendo da un’aggressione da parte dell’Occidente, sono ridicole, addirittura goffe per la nostra sensibilità e i nostri criteri di valutazione. Lo sono un po’ meno per i cittadini di Mosca, che posso affermare sulla base di dati certi, sono quantomeno storditi da questa narrativa e tendono a darle credito. D’altronde basta pensare al servizio dalla capitale russa curato dal giornalista Alessandro Cassini per la trasmissione “Oggi è un altro giorno” del 4/3/2022: alla domanda rivoltagli in merito all’arresto dei dimostranti contro la guerra (e contro Putin), Cassini ha risposto che si trattava di manifestazioni non autorizzate in una quarantina di città sparse in tutto il Paese e che i giovani arrestati, dopo l’identificazione, sono stati tutti rilasciati. È evidente che il corrispondente per poter continuare ad operare in loco deve misurare le proprie affermazioni. Il dato realmente interessante consiste nella “quarantina” di città in cui si sono tenute le proteste, indicativo di un’espansione del fronte di opposizione alle scelta di scatenare una guerra.
Naturalmente la narrativa delle psy-ops russe si fonda molto sulla cyber-warfare, mai interrotta dall’inizio delle ostilità. L’oscuramento prima di Facebook e via via di tutti gli altri social-media (con particolare attenzione rivolta a you tube) e la potenziale comminazione di 15 anni di carcere a chiunque manifesti dissenso o mostri immagini dei soldati russi uccisi in battaglia, è il risultato dell’intensa attività degli hacker di stato russi.
Paramilitari, info-ops attuate con tempistiche 24/7, cyber-warfare indiscriminata… Non è guerra ibrida questa? La dimensione non-militare è paritetica, quando non superiore a quella militare, anche se quest’ultima è senza dubbio più evidente e colpisce maggiormente per il suo impatto emotivo.
Una riflessione è d’obbligo sull’attacco portato alla centrale nucleare di Zaporizhzhia. Alcuni amici mi hanno manifestato la loro perplessità sulla scelta “folle” di colpire deliberatamente una centrale nucleare. È presto detto: si tratta, ancora una volta, di un “approccio culturale” diverso tra le forze armate occidentali e quelle russe. Di per sé è contemplato dalle attività operative di tutti gli eserciti che delle unità possano trovarsi ad operare in ambienti contaminati CBRN, dunque anche i Russi preparano i propri soldati a tale eventualità. Non dimentichiamoci della grande opportunità che hanno avuto di sperimentare i propri equipaggiamenti e le proprie procedure grazie alla pandemia di Covid-19.
Detto questo, evidentemente i Russi non hanno remore a colpire una centrale nucleare se considerata un high pay-off target, a differenza di quanto faremmo noi occidentali, giustamente soggetti alle leggi del Diritto Bellico Internazionale. Altrettanto evidente è che i generali russi sono pronti a far operare i propri soldati anche in ambienti proibitivi.
Sembra tutto una spirale di follia e, se sono verosimili le ultime indicazioni di un possibile allargamento delle operazioni anche alla Georgia, alla Moldavia e, addirittura, alla Bosnia attraverso una preparazione con attentati terroristici (altra modalità propria della guerra ibrida, allora anche la most dangerous enemy course of action appare come un mostro che si autoalimenta crescendo a dismisura. Fino a quando?
Foto: MoD Fed. Russa / Cremlino / Mikhail Evstafiev / Accidental Geniu