Il carro armato tedesco Leopard 2 è uno dei mezzi militari richiesti dall’Ucraina per fronteggiare l’offensiva russa attualmente in corso a Bakhmut, nel Donbass, e sul fronte sud in direzione Zaporizhia. La reticenza tedesca alla consegna diretta del Leopard 2 ha scatenato un acceso dibattito sia tecnico-militare che politico attorno alle forniture militari europee e statunitensi da destinare all’Ucraina ed esso è anche, in sostanza, una riflessione sull’importanza del “fattore tempo” nella guerra che si combatte tra Kiev e Mosca.
Il tempo è connesso alla capacità che un belligerante ha di sopportare lo “spreco di risorse” che la guerra impone e, contestualmente, quella di rimpiazzare le perdite in termini di uomini ed armi tanto più rapidamente quanto il conflitto arriva ad una escalation.
Quando a contare è il tempo, connesso al grado di pressione esercitato sullo schieramento nemico, la battaglia che viene scatenata è, inevitabilmente, una materialslacht di stampo jüngeriano.
Nonostante i successi sul campo dei mesi precedenti, l’Ucraina ha oggettivamente una minore capacità di assorbimento ed ammortamento delle perdite subite rispetto alla Russia. Quando, infatti, i Russi aumentano la pressione militare in determinati settori del fronte, come nel caso della vittoriosa prima battaglia del Donbass nella scorsa primavera o di quella che in questi giorni si combatte lungo l’arco difensivo che fa perno su Kramatorsk, gli Ucraini entrano in difficoltà. Il particolare rapporto tra tempo di difesa/reazione e perdite può sembrare una formula matematica legata ai ragionamenti di scuola jominiana, ma si tratta di una consequenziale logica della guerra industriale.
In una “battaglia di materiali” come quella che si combatte nel Donbass, la vittoria spetta inevitabilmente a quello che tra i contendenti avrà una superiore capacità di gettare, rapidamente e meglio gestendo il rimpiazzo delle perdite, nel calderone quante più risorse possibili. L’oggettivo vantaggio della Russia in termini schiettamente numerici spiega l’urgenza strategica e politica per l’Ucraina di ottenere dagli alleati occidentali le armi richieste in un lasso di tempo breve.
A questo si collega il dibattito sui Leopard che mette in evidenza anche, qualora ce ne fosse ancora bisogno, l’importanza delle “armi di linea” tradizionali in una guerra convenzionale.
Lo ha esplicitato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dopo il vertice Rammstein che la durata della resistenza ucraina in Donbass è commisurata alla rapidità con cui europei e statunitensi riforniranno gli arsenali di Kiev delle armi richieste, su tutte i carri armati, i missili a lunga gittata ed i sistemi d’artiglieria da campagna.
Il dibattito sulla fornitura da parte della Germania dei carri armati Leopard 2 palesa anche lo scontro sotterraneo tra gli “attivisti” statunitensi e membri della “NATO dell’est” ed i “prudenti” tedeschi, poli opposti del modo di interpretare il sostegno a Kiev in Occidente. La questione è uscita fuori dal recinto militare per trasformarsi in un caso politico capace di ridefinire i rapporti tra Washington e Berlino. In un primo momento, il governo di Scholz ha velatamente espresso le sue perplessità su una fornitura diretta di Leopard 2 all’Ucraina, acconsentendo, però, alla cessione dei carri da parte della Polonia ed all’addestramento sul suo territorio di soldati ucraini. Il 24 gennaio sono, invece, emerse anticipazioni sulla stampa tedesca dell’assenso di Berlino alla consegna di 15 carri Leopard 2 all’Ucraina. Non è la prima volta che la Germania mostra tutta la sua ambiguità nei confronti dell’Ucraina, oggi in difficoltà, e, quindi, anche della Russia.
Parte della stampa polacca, interpretando desideri e pensieri del proprio governo, ha accusato la Germania di nascondere la testa sotto terra come gli struzzi rispetto alla “trasformazione” (per Varsavia una conferma) del paradigma geopolitico russo in chiave aggressiva.
È più che probabile che la scelta di Washington di inviare i suoi carri armati Abrams (decisione con un forte significato politico che, però, sul campo può incidere un po’ meno viste le tempistiche per consegna dei carri ed addestramento del personale ucraino) abbia condizionato Berlino quel tanto che bastava per spingere il governo di Scholz a dare il disco verde all’invio dei Leopard 2. Ciò, comunque, non spiega fino in fondo perché la Germania abbia accettato – pur con tutte le ritrosie del caso – di cedere all’Ucraina i suoi carri armati.
Nei fatti, per comprendere la linea altalenante di Berlino sulla questione Leopard, occorre fare una riflessione più generale sull’impatto della guerra in Ucraina per la politica estera tedesca, rimessa in discussione proprio dal conflitto in corso.
È innegabile, infatti, che il 24 febbraio 2022, nel momento in cui le truppe russe hanno varcato la frontiera ucraina ed iniziato la guerra che va avanti tutt’ora, sia cambiata la storia. La guerra è tornata in Europa, la storia nel vecchio continente non è finita come aveva erroneamente preconizzato Francis Fukuyama, l’ordine internazionale liberale a guida statunitense è ormai palesemente sotto attacco da parte di due potenze revisioniste, Russia e Cina, e la polarizzazione è, di conseguenza, tornata al centro delle dinamiche che regolano la funzionalità sistemica delle relazioni internazionali.
La polarizzazione del sistema internazionale obbliga i partner e gli alleati delle potenze egemoni a prendere una posizione netta sulle questioni strategiche che riguardano i blocchi di appartenenza, senza mezze misure, senza lasciare troppo spazio alla “sfera creativa” delle politiche estere nazionali che, se può essere tollerata ed in certi casi incoraggiata in periodi di stabilità sistemica e persino di tensione, all’arrivo del conflitto vero e proprio, quando cioè il cannone tuona e smette d’essere una minaccia ma una realtà, vede inevitabilmente restringere i propri confini.
La Germania, che ha una “sfera creativa” della propria politica estera troppo pronunciata, allo scoppio della guerra in Ucraina si è trovata in difficoltà poiché ha dovuto provvedere, anche in tempi piuttosto brevi, ad una “ristrutturazione” delle proprie coordinate internazionali. Operazione non riuscita in quanto ancora oggi la Germania viene accusata di tenere una condotta che nel migliore dei casi viene considerata “ambigua” nei confronti della Russia. La stessa sospensione del North Stream 2 (la principale creatura dell’epoca d’oro dei rapporti bilaterali tra Germania e Russia inaugurata dal più russofilo dei cancellieri tedeschi, Gerhard Schröder), annunciata il 22 febbraio proprio in previsione dell’attacco russo all’Ucraina, che sembrava un atto radicale di protesta da parte del governo di Berlino nei confronti di Mosca, di fatto è stata una scelta dettata dalla realpolitik per salvaguardare il gasdotto – e con esso le prospettive del mercato energetico tra i due Paesi – dagli effetti politici ed economici della guerra.
Pur non essendo stata una scelta scontata o semplice, tanto da spingere più di qualche analista a parlare di fine del “merkelismo”, e dunque d’una politica estera tedesca “aperturista” nei confronti della Russia di Putin ed improntata ad una riproposizione della vecchia Ostpolitik, quella di sospendere l’autorizzazione del North Stream 2, così come la posizione di sostegno verso l’Ucraina presa da Berlino, non sono state decisioni che hanno convinto fino in fondo gli Stati Uniti e la NATO in generale sulla “tenuta” della linea atlantista in Germania nel momento in cui il braccio di ferro con Mosca avrebbe esasperato le fluttuazioni del mercato energetico, causando contraccolpi pesantissimi sull’economia interna del Paese.
Del resto il modello strategico di GeRussia, neologismo coniato da Salvatore Santangelo, che nasce sull’onda dell’intrinseco legame politico, economico e persino militare che nel corso della storia ha tenuto insieme Germania e Russia, ha sempre costituito un grande quesito sulla determinazione degli equilibri geopolitici del vecchio continente con cui ogni potenza s’è dovuta confrontare.
La Germania ha svolto fin dal ‘700 il ruolo di “modernizzatore” dell’Impero zarista e Bismarck aveva individuato nella Russia l’altro importante perno della stabilità europea assieme alla Germania, senza dimenticare che URSS e Repubblica di Weimar avevano saputo mantenere un forte legame e che durante la guerra fredda l’Ostpolitik di Willy Brandt aveva contribuito a gettare le basi per il processo di riunificazione tra RFT e RDT. La politica di partnership russo-tedesca di Schröder e Merkel aveva seguito sostanzialmente il fil rouge della tradizione diplomatica di Berlino, ma poi, scommettendo erroneamente sulle garanzie di stabilità date dal mondo unipolare a guida statunitense, al momento del ritorno in grande stile del confronto acceso tra USA e Russia, la Germania si è trovata schiacciata nel mezzo ed ha dovuto dare prova del suo atlantismo. Prova non superata a pieni voti, altrimenti la Germania non verrebbe continuamente accusata dagli alleati della NATO di essere fin troppo morbida con Mosca, a maggior ragione ora che le truppe ucraine stanno rischiando nuovamente di entrare in una fase di “crisi tattica” dovuta alla massima concentrazione dello sforzo nemico sul loro schieramento difensivo.
Foto: U.S. Army