La guerra nel dominio sotterraneo di Gaza

(di Germana Tappero Merlo)
02/11/23

Man mano che l’offensiva di terra contro Hamas procede lungo la Striscia di Gaza, le forze dello Tsahal debbono confrontarsi con il pericolo proveniente dai cunicoli e tunnel di cui, com’è noto, è frammentato il sottosuolo di quel territorio. Parecchi sono crollati sotto i pesanti bombardamenti del nord della Striscia e di Gaza City, perché oggetto di attacchi mirati, in quanto depositi di munizioni o basi operative dei leader militari di Hamas. Ma si è trattato solo di una piccola parte.

Si sa che i 1300 tunnel, alcuni situati fino a 70 metri di profondità nel sottosuolo dell’intera Striscia (per un totale, si stima, di 500 km di rete), rappresentano una vera e propria comunità parallela a quella di superficie, di cui è stata data conferma con la testimonianza di un ostaggio liberato pochi giorni fa1. La ragnatela di tunnel e di comparti attrezzati con derrate alimentari, acqua, medicinali, carburante, oltre che a munizioni e sistemi di allarme e comunicazione, è così ampia, strutturata e difesa da imporre una ridefinizione di tattiche operative anche all’IDF, che conosce e teme questo nemico sotterraneo, creato e cresciuto grazie ai lauti finanziamenti esteri destinati, e poi deviati, a scuole e ospedali di Gaza, e all’ausilio di materiale di contrabbando, proveniente da anni dai valichi e tunnel con l’Egitto.

È dal 2014, infatti, dopo l’operazione a Gaza Mivtsa Tzuk Eitan (“Protective Edge”) 2, già contro Hamas, che Israele si concentra nello studio di tattiche di contrasto alla minaccia underground, schierando unità speciali, addestrate attorno a tunnel simulati e dotate di sensori specifici, con l’ausilio anche di robot e cani, al fine di avversare non solo una minaccia terroristica via terra ma addirittura via mare, dopo la scoperta, nel 2018, di un tunnel sottomarino (blu tunnel) al largo della Striscia, che permetteva a commando marittimi palestinesi di uscire da Gaza ed entrare in territorio ebraico. Dopo averlo distrutto3, Israele ha posizionato sensori lungo il confine costiero per rilevare e contrastare attività sospette, mentre in superficie utilizza da anni radar di penetrazione del terreno, a fianco di tecniche per misurare le impronte digitali magnetiche, termiche e acustiche, anche se il miglior strumento rimane l’impiego di HUMINT e SIGINT che, nel caso del 7 ottobre scorso, avrebbe dovuto aiutare a geolocalizzare un tunnel, data l’improvvisa scomparsa del segnale telefonico di un attivista di Hamas, rintracciato poco prima, proprio in prossimità di quello che si è poi rivelata essere l’entrata di un cunicolo.

Secondo commentatori militari anche israeliani, seppur temuto, il dominio ipogeo è comunque ancora troppo poco studiato e considerato da parte delle dottrine militari, del diritto dei conflitti armati e degli studi sulla sicurezza, laddove le attuali classificazioni (difensivo, offensivo e commerciale, ossia per contrabbando) presentano ancora parecchi limiti perché non colgono la versatilità di quelle infrastrutture, soprattutto quelle transfrontaliere, in grado adesso di soddisfare esigenze strategiche fino ad ora sconosciute, come ha dimostrato l’intera vicenda degli ostaggi. Dapprima fatti uscire dal territorio ebraico grazie ai tunnel, ora ne sono tenuti prigionieri, compromettendo anche l’avanzata delle operazioni terrestri dell’IDF e obbligando a trattative parallele Israele e i governi degli ostaggi stranieri di Hamas. Non si tratta solo di tattica, quindi, ma del pericoloso spostamento dell’intero asse operativo su rilievi anche di carattere strategico e diplomatico.

Inoltre, se è noto che l’uso dei tunnel (dalle forze giapponesi nella II guerra mondiale, ai vietcong, alle forze qaediste in Mali, o quelle dello Stato islamico in Sinai o ad Aleppo, passando poi a quelli in Afghanistan, Corea del Nord, addirittura Ucraina) può cambiare il corso di un conflitto ma raramente il suo esito, di fatto, fornisce a chi lo esercita un vantaggio indiscusso in quanto stabilisce un livello di simmetria tra forze belligeranti dalle capacità e dotazioni militari ampiamente ineguali.

Se il nemico utilizza il dominio del sottosuolo, per quanto si possa essere più autorevoli militarmente, diminuisce enormemente la capacità di conoscere e mantenere il controllo dello scenario bellico. L’uso tattico del sottosuolo impedisce, infatti, la raccolta di informazioni (fra le quali, la conoscenza di intenzioni, modus operandi, le reali capacità offensive e difensive nemiche), aumenta esponenzialmente l’effetto sorpresa, e the fog of war diventa così più fitta. Comunicare all’interno dei tunnel, e dall’interno con le unità in superficie, navigare e operare in un ambiente sconosciuto o complesso come l’underground, rendono il comando e il controllo di operazioni, così come la prevenzione di azioni terroristiche, estremamente difficoltosi se non impossibili.

I tunnel, infatti, trasformano il campo di battaglia in una sfera, ossia in un ambiente multidimensionale4, molto simile a operazioni di sicurezza in area urbana (lo si era già visto a Mosul, Aleppo e ora a Gaza, appunto), dove non è più sufficiente la sola protezione delle retrovie, perché mantenere la consapevolezza della situazione, in fase difensiva o di neutralizzazione di un avversario sotterraneo, dovendo prendere decisioni immediate circa l’aggiramento, l’entrata o la liberazione di un tunnel, richiede leadership e capacità decisionali uniche, non sempre di appannaggio anche delle stesse forze speciali. L’impatto operativo della guerra nei tunnel, quindi, fa sì che il monitoraggio, la mappatura e la condivisione delle informazioni di intelligence al riguardo siano indispensabili per anticipare le minacce ma, e in egual modo, per operare e coordinarsi con la superficie. E ciò avviene oramai per pressoché tutte le guerre moderne, senza distinzione.

I sistemi sotterranei, per via dei loro aspetti labirintici e non geometrici, richiedono quindi capacità cognitive uniche, con forze addestrate ed equipaggiate per combattere e muoversi a brevi distanze e con poca visibilità, da cui l’obbligo di strumenti per la visione notturna altamente performanti, come pure una protezione adeguata ai rumori forti, come spari o esplosioni, amplificati in un ambiente chiuso e quindi più distruttivi rispetto a quelli all’aperto. Inoltre, rimangono i rischi di IED, così come del rilascio da parte nemica di sostanze chimiche pericolose, che richiedono quindi la dotazione di attrezzature per la bonifica del terreno, il salvataggio e l’estricazione dei feriti o intossicati. Si tratta quindi di un ambiente operativo estremamente difficoltoso, con l’aggravante della possibile presenza di civili, come in questo caso gli ostaggi di Hamas.

In pratica, i tunnel, anche se raramente contribuiscono a far vincere le guerre, di fatto finiscono per assorbire risorse significative a chi vi si imbatte, perché richiedono un ripensamento a livello tattico e operativo, rallentando le operazioni o complicando la protezione delle forze impiegate. Come per tutte le minacce complesse, l’utilizzo del sottosuolo da parte del nemico impone infatti competenze, dottrina e soluzioni uniche, alcune delle quali sono già state acquisite dall’industria e dall’ingegneria minerarie, sia per la comunicazione radio a basse frequenze, come pure l’utilizzo di robot senza pilota per la bonifica del terreno, o l’impiego di materiale, come visori e corde a infrarossi, per gli spostamenti e le operazioni di salvataggio di feriti o di prigionieri.

Migliorare la consapevolezza situazionale ed ambientale è fondamentale per il successo di qualsiasi campagna militare. Ancor più in questo caso. Precorrere le tendenze future anche di minacce nel dominio sotterraneo significa anticipare l’evoluzione di tattiche fra Stati ed attori non-statali, sempre più numerosi nei contesti conflittuali odierni. La guerra sotterranea ha infatti subito cambiamenti significativi nel corso dell’ultimo secolo, con un’accelerazione dovuta ai conflitti di guerriglia, con l’adozione e l’adattamento di tattiche pregresse a necessità, obiettivi e modus operandi di gruppi terroristici e attori non statali, come Hamas, Hezbollah e il sedicente Stato Islamico, per rimanere nella regione mediorientale.

Inoltre, la guerra nel dominio ipogeo richiede attente valutazioni strategiche per la simmetria che si viene a creare fra i nemici. Non da meno, infatti, in un contesto come quello attuale di grande competizione fra potenze, seppur sovente medie o regionali, è necessario individuare il modo con cui la guerra nel sottosuolo interagisce con altri domini, come quello terrestre (guerra e guerriglia urbana), aereo e addirittura navale. Per affrontare con successo questa minaccia, la sua percezione dovrebbe passare, quindi, da semplicemente tattica a seriamente strategica, come si è dolorosamente appreso in queste settimane con gli ostaggi civili, israeliani e stranieri, di Hamas.

3 E. Abu Jahal, “Israel announces destruction of underwater Hamas tunnel,” Al Monitor, June 19, 2018.

4 British Army Review, Special Report, Urban Operations, Vol. 1, Winter 2018, pp. 104-115.

Foto: IDF / web