Tra i risultati più importanti dell’ultimo congresso nazionale del partito comunista cinese (2017) è certamente da annoverare quello di entrare, entro il 2020, nel gruppo di testa delle nazioni leader nel campo dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie ad essa collegate, per poi guadagnare, entro il 2030, la leadership mondiale.
Propositi riconfermati lo scorso ottobre, al termine del V Plenum (il congresso si riunisce in sessione plenaria ogni 5 anni, intervallato da plenum annuali che deliberano su linee guida da sottoporre poi al voto dell’assemblea del popolo).
Il Plenum, come già riportato in precedenza (v.articolo), ha sancito l’obiettivo dell’autosufficienza nei cosiddetti cluster tecnologici (intelligenza artificiale - AI, potenza di calcolo, 5G, robotica, guida autonoma) e in quello, ad essi collegato, della produzione di microchip e semiconduttori, che la Cina acquista in massima parte all’estero (USA e Taiwan).
L’attenzione dell’attuale dirigenza verso l’innovazione e le nuove tecnologie costituisce ormai una costante in tutte le dichiarazione e i documenti pubblici, e riecheggia sempre nei discorsi con cui Xi Jinping richiama il “ringiovanimento” della Nazione.
Anche il Next Generation AI Development Plan1, pubblicato lo stesso anno dal congresso nazionale del partito, procede in questa direzione, delineando una strategia sinergica tra civili e militari, per consentire alla Cina di diventare, entro il 2030, leader mondiale delle nuove tecnologie.
Obiettivo, questo, strettamente collegato all’altro, parimenti fondamentale nel disegno dell’attuale timoniere, di acquisire, entro il 2025, la piena modernizzazione dello strumento militare, e, entro il 2050, disporre di forze armate in grado di eguagliare, per capacità, gli Stati Uniti.
La nuova Cina che Xi Jinping ha in mente è una società nuova, "AI driven”, in cui le “disruptive tecnologies” permeino tutti gli aspetti delle vita sociale, e ne orientino le capacità di tutela dei propri interessi nazionali.
Washington, in tutto questo tempo, non è rimasta ferma. Gli Stati Uniti mantengono ancora la leadership in molti dei settori del 4.0, cui, solo per fare un esempio, il Pentagono ha assegnato, per il 2021, la cifra importante di 840 milioni di dollari2.
Ma la velocità con cui la Cina sta coprendo il gap che la separa dagli americani è in costante crescita, avvantaggiata dalla capacità e dalla forza del comitato centrale di influenzare la ricerca e sviluppo del settore privato. Non a caso, un osservatore attento come Eric Schmidt, ex CEO di Google, ha recentemente quantificato in non più di “uno o due anni” l’attuale ritardo tecnologico che separa Cina dagli USA.
Con il risultato che, nell’impiego della AI in campo militare, si è nel tempo consolidata una vera e propria “visione cinese”. La quale preconizza l’imminente transizione dall’ambiente operativo attuale, completamente informatizzato3 ("informationized"), ad uno nuovo, intelligente ("intelligentized"), in cui a fare la differenza saranno algoritmi, machine learning, cloud computing, big data e velocità di calcolo. Oltre ai sistemi a pilotaggio remoto. E nel quale la sinergia uomo - macchina autonoma - sistema sarà sempre più stretta e decisiva.
Non che nel dibattito ancora in corso in seno alla comunità scientifica cinese non vi siano punti di vista plurali: mai confondere la capacità dell’autorità centrale di imporre la sua volontà a un miliardo e quattrocento milioni di persone, con le discussioni, ampie, orizzontali e laiche, in seno alla comunità scientifica nazionale.
Gli scienziati di Pechino sono però tutti concordi sul fatto che la guerra del futuro sarà essenzialmente una “guerra tra sistemi4” (di comando e controllo, di comunicazione, informatici e delle loro molteplici applicazioni) in cui attacchi cinetici e non cinetici si alterneranno equamente fra loro.
Nei sistemi, e nei sistemi di sistemi, l’intelligenza artificiale troverà la sua principale applicazione, per disorientare i sensori ad essi collegati, per alterare le capacità di fusione delle informazioni in arrivo, e, in ultima analisi, per impedire il corretto esercizio del processo decisionale. Oppure, al contrario, per contrastare i tentativi nemici di alterarne la funzionalità.
L’Information Warfare riveste quindi un ruolo cruciale nella nuova strategia dell’Esercito di Liberazione cinese (PLA), nell’ambito di uno schema concettuale secondo cui nelle “iper-guerre” del futuro (v.articolo), la velocità e la quantità di dati saranno tali da poter essere gestite esclusivamente con l’apporto di sistemi intelligenti, e nell’ambito di processi in cui non sempre l’uomo potrà controllare tutte le fasi.
Non più guerre di manovra, quindi, caratterizzate, come ancora prevale nel pensiero militare statunitense, dalla concentrazione di forze e dalla gravitazione del fuoco, nelle quali anche l’utilizzo di droni e di sistemi autonomi è funzionale a uno schema classico delle operazioni (fuoco e manovra).
Guerre di sistemi e guerre fra sistemi: una nuova frontiera che pone profondi interrogativi, non ultimo sulla centralità che l’uomo potrà continuare a rivestire nello sviluppo dei conflitti.
E sul loro controllo...
3 La versione inglese del Libro Bianco cinese 2019, in relazione alle caratteristiche della guerra moderna, osserva che “The form of war is accelerating toward an informationized warfare evolution, there are indications intelligentized warfare is emerging” (http://eng.chinamil.com.cn/view/2019-07/24/content_9567553.htm).
4https://www.rand.org/content/dam/rand/pubs/research_reports/RR1700/RR170...
Foto: xinhua / Ministry of National Defense of the People's Republic of China