L’attacco degli Houthi alla Strinda e l’ipotesi di “regionalizzazione” marittima della guerra di Gaza

(di Filippo Del Monte)
13/12/23

Lunedì notte la nave cargo norvegese Strinda è stata colpita da un missile da crociera antinave lanciato dal territorio dello Yemen settentrionale controllato dalle milizie Houthi, alleate di Hamas e Iran. La nave, di proprietà dell’armatore norvegese Mowincknel Chemical Tankers, aveva caricato olio vegetale e biocarburanti in Malesia, con destinazione il porto di Venezia. Le merci sono destinate alle bioraffinerie di Eni. A gennaio la nave avrebbe dovuto ritirare un carico nel porto di Ashdod, in Israele. Questo è il motivo, hanno spiegato gli Houthi, per cui la nave è stata colpita.

A rispondere alle richieste di aiuto della Strinda, il cui equipaggio stava tentando di spegnere l’incendio divampato a bordo dopo la caduta del missile, è stato il cacciatorpediniere americano Mason (foto), mentre la Marine Nationale francese ha comunicato di aver abbattuto un drone che minacciava la nave norvegese. A condannare gli attacchi contro le navi civili, dopo Stati Uniti e Regno Unito, si è aggiunta, adesso, anche la Norvegia.

Pur non avendo mietuto vittime e con il carico in salvo, l’attacco condotto dagli Houthi contro la Strinda apre un capitolo nuovo della guerra di Gaza, costituendone, nei fatti, una “regionalizzazione”. Ad essere interessato da queste vicende è il tratto di mare dello stretto di Bab el Mandeb, a tutti gli effetti un “collo di bottiglia”, divenuto ora pericoloso da attraversare per il naviglio mercantile diretto verso Israele.

È vero che gli iraniani non hanno, né potrebbero avere, il controllo totale sulle scelte strategiche e tattiche del complesso network di milizie che compone il proprio strumento per la conduzione di proxy wars in Medio Oriente ed Asia centrale, ma è altrettanto plausibile che della volontà degli Houthi di partecipare al conflitto contro Israele siano stati a conoscenza fin dal principio. Senza dimenticare che, nei fatti, attaccare Israele significa per gli Houthi “tenere il punto” anche sulla guerra nello Yemen condotta contro l’Arabia Saudita. Dunque, questioni interne yemenite e vicende esterne regionali si incontrano nella partecipazione diretta degli Houthi alla guerra di Gaza tra Israele ed Hamas.

La differenza sostanziale dell’aggressione alla Strinda, rispetto agli attacchi missilistici diretti contro il territorio israeliano, iniziati ai primi di novembre, è che le tecnologie militari dei miliziani yemeniti, che non possono impensierire né Israele né i suoi alleati occidentali – vedasi le navi statunitensi e francesi che incrociano nelle acque prospicenti lo Stato ebraico – sono pericolose per le navi mercantili.

Gli Houthi hanno fatto sapere, infatti, che qualunque nave mercantile potrà essere considerata un bersaglio se diretta verso Israele, a prescindere da “quando” effettivamente essa attraccherà nei porti dello Stato ebraico. Nessuna bandiera garantirà la sicurezza del naviglio, in quanto l’obiettivo della milizia zaydita yemenita – e, con essa, di Teheran e Hamas – è quello di strozzare i commerci di Israele, spingendo gli armatori a non assumersi il rischio di inviare navi in quelle acque, con la possibilità di perderle assieme al carico di merci.

Si sta verificando una situazione non troppo diversa da quella collegata alle vicende della pirateria greca nel Mediterraneo e nell’Egeo durante la guerra d’indipendenza della Grecia (1821-1830), in particolare nella fase più difficile per le forze rivoluzionarie, tra il 1821 ed il 1827, quando non solo navi isolate, ma anche squadre della marina greca – essenzialmente un consorzio di armatori privati – si dedicarono alla pirateria, attaccando non solo le navi ottomane, ma anche i bastimenti mercantili neutrali.

Al netto della questione puramente economica connessa all’attività di preda, assente nel caso degli Houthi, con la pirateria greca di inizio ‘800 la strategia dei miliziani yemeniti ha un fattore politico in comune: la minaccia di attacchi indiscriminati contro navi mercantili di qualunque Paese, senza alcun tipo di garanzia di bandiera, serve a danneggiare certamente il commercio israeliano, ma anche a costringere molti dei Paesi che oggi sostengono lo Stato ebraico a rivedere la propria posizione, spingendo Tel Aviv-Gerusalemme ad allentare il blocco di Gaza. Per gli Houthi, infatti, gli attacchi missilistici contro il naviglio neutrale sono la conseguenza dell’impedimento da parte israeliana di far arrivare a Gaza aiuti medici. Lo stesso fecero i “politici” greci legati alla pirateria, i quali pensavano che assaltando anche i bastimenti battenti bandiera britannica o degli Stati Uniti delle Isole Ionie (già possedimenti veneziani, poi protettorato britannico fino al 1864), generalmente considerati un “salvacondotto” da armatori e marinai, avrebbero costretto Londra ad intervenire a favore della causa greca.

Il calcolo, nel caso greco, fu errato perché, a fronte delle enormi perdite commerciali (stimate in 4 milioni di franchi per l’Austria, 900.000 per la Gran Bretagna e 400.000 per la Francia, solo per citare gli Stati maggiormente colpiti) causate dai pirati, le potenze reagirono inviando squadre navali militari nell’Adriatico e nell’Egeo, estirpando il fenomeno. Operazioni a cui partecipò con successo anche la Regia Marina sabaudo-ligure.

Nel caso di Bab el Mandeb, le aggressioni alle navi mercantili neutrali con missili e droni da parte degli Houthi, se non possono causare – né, probabilmente, vogliono – lo stesso ammanco economico, potrebbero, comunque, generare una situazione di insicurezza nel Mar Rosso tale da spingere qualcuno a ridiscutere tempi e modi dell’appoggio occidentale ad Israele (che è già contornato di eccezioni e specificazioni).

In più, come è stato evidenziato da più parti, vista la elevata strategicità di Bab-el-Mandeb – certificata dalla iper-militarizzazione di Gibuti, ove sono presenti basi di molte potenze straniere, ivi compresa l’Italia – non è escluso che per garantire la sicurezza di navi isolate e convogli non si decida di rafforzare la presenza navale nella zona. Questa sarebbe una delle ipotesi più accreditate di “regionalizzazione” del conflitto israelo-palestinese, che uscirebbe, così, dalla sua dimensione “ristretta”, per lambire anche le coste dell’Oceano Indiano.

Foto: U.S. Navy