L’offensiva nel Kursk: l’arte militare e le analisi poco analitiche

(di Emilio Tirone)
27/08/24

L’offensiva ucraina, intrapresa il 6 agosto scorso, per subitaneità, risolutezza ed efficacia, ha suscitato, pur tra qualche isolata perplessità di tipo strategico e qualche timore per una sempre possibile incontrollata escalation reattiva russa, il quasi unanime entusiasmo dei media occidentali e le lodi “tecniche” della maggior parte degli analisti e dei commentatori, moltiplicatisi con la guerra, sia di geopolitica sia di questioni, strategiche e tattiche, strettamente militari.

L’iniziativa ucraina è stata presentata come il frutto di un improvviso colpo di genio militare, attribuito, almeno formalmente, non conoscendo se e, nel caso, di quali “consigli” abbia usufruito, al generale Oleksandr Syrs'kyj. Un ingegno condottiero attestato dalla piena rispondenza dell’azione alla corretta attuazione di quelle leggi e principi generali considerati i pilastri applicativi dell’arte della guerra, di quella guerra che nella sua forma classica tanti “esperti”, prima del presente conflitto, avevano già relegato al retaggio dei libri di storia1. Leggi e principi generali universalmente accettati, pur nella differenziazione esplicativa relativa all’eterogeneità delle attuali scuole di pensiero2

Attraverso l’improvvisa ed agile puntata offensiva delle brigate ucraine, tali principi sono sembrati aver finalmente trovato, in un complesso e simultaneo sistema, una perfetta ed efficace applicazione sul contingente terreno del conflitto in corso, in piena aderenza alla situazione politico-militare in atto. Innanzitutto, va effettivamente riconosciuto quello relativo all’aver saputo prendere l’iniziativa, conquistando una piena libertà d’azione nel portare l’offensiva (attacco), quest’ultima a sua volta caratterizzata dalla richiesta aggressività e decisione. Dove iniziativa - libertà d’azione - offensiva, costituiscono quella perfetta triade che, il tanto nominato ma poco conosciuto, Clausewitz, nell’esegesi del Fuller, il suo autorevole studioso, individua alla base del cosiddetto impiego delle forze.

A questi principi la riuscita dell’attacco ha affiancato quelli della massa/concentrazione delle forze, della manovra (impiego combinato delle forze e del fuoco nel tempo e nello spazio) e della sorpresa. Quest’ultima, confermandosi ancora possibile sul campo di battaglia, non è imputabile solo a una défaillance della branca informativa russa ma, evidentemente, anche ad un indispensabile e sofisticato ombrello cyber che, sicuramente, ha reso meno trasparente la manovra, facendo passare inosservato o sottovalutato l’ammassamento delle forze necessarie a condurre l’attacco con una netta superiorità locale. Tale supposta, ma più che ipotizzabile, copertura tecnologica rende non solo plausibile un coinvolgimento diretto straniero ma certamente non credibile una sorpresa da parte statunitense.

In ogni caso il piano di occultamento si è materializzato nell’essere riusciti ad ingannare il nemico, quale necessaria premessa della riuscita della successiva manovra a sorpresa. Tutti fattori, sempre secondo i parametri dell’arte della guerra, considerati, e a ragione, moltiplicatori delle risorse (o fattori di potenza).

Ma basta quanto descritto a giustificare l’espresso entusiasmo ucraino e degli analisti occidentali così amplificato dai media? La penetrazione in territorio russo ha permesso o permetterà il raggiungimento di obiettivi strategici tali da giustificare non solo i rischi corsi, il logorio delle forze, in termini soprattutto di perdite umane e di mezzi oltre che di munizionamento, ma soprattutto l’esposizione alle successive iniziative russe, agevolate anche in altri settori del fronte dalla sottrazione delle forze utilizzate per condurre l’attacco?

La maggior parte degli analisti occidentali sembra fermarsi a solo una parte dell’applicazione dei principi della guerra connessi con la condotta dell’offensiva ucraina. La maggioranza sembra aver dimenticato che, se non si considerano tutti gli elementi in gioco, il rispetto di tutti i principi dell’arte militare e non solo di una parte, il prodotto finale dell’azione, nonostante l’apparenza del momento per l’iniziale successo in campo tattico, risulterà nullo o addirittura fatale, in particolare in quello strategico.

Non c’è bisogno di un’analisi complessa per individuare che in realtà di principi elementari ne sono stati dimenticati diversi. Prima di tutto la sicurezza, in quanto un attacco in profondità, condotto con forze limitate su di un terreno così esteso e aperto, se non raggiunge in breve tempo i suoi obiettivi tattici ma soprattutto strategici espone le proprie forze, specie avendo contro un avversario potenzialmente più forte e dotato di una versatile capacità di offesa, alla catastrofe, sia relativamente all’impiego in combattimento sia per la facile provocazione di una crisi logistica. Una sicurezza che viene meno, per sottrazione di forze impiegate, anche in altri settori, privandosi, nell’economia globale del conflitto, di una vitale riserva mobile da impiegarsi, dove più necessario, proprio in un momento dove, in altri settori, i progressi russi sono innegabilmente evidenti. In tal modo si è sacrificato anche quel principio indicato nel linguaggio settoriale militare come economia delle forze.

Al momento gli obiettivi dell’avanzata ucraina ancora non sono chiari, e a questo punto sembra che non lo siano neanche per gli stessi attaccanti. L’impressione è che l’offensiva sia stata indirizzata semplicemente dove più deboli erano le difese russe. Gli unici vantabili sono quelli nel campo propagandistico, per il valore simbolico connesso con la violazione del territorio nemico e per aver dimostrato agli alleati occidentali che il relativo paletto psicologico, determinato dalla minaccia russa di utilizzare il proprio arsenale nucleare tattico, tutto sommato può essere superato.

In realtà, ed è possibile, e un’analisi seria deve considerare anche questa possibilità, che lo scopo di quest’offensiva, poteva essere proprio quello cinicamente pragmatico di provocare una reazione spropositata da parte di Mosca, per indurre, o giustificare, una reazione e finanche un coinvolgimento diretto occidentale. Se così fosse il tentativo è andato frustrato dalla composta reazione russa, che in tal caso va letta non come un sintomo di debolezza ma di avveduto calcolo, rimandando alla collaudata dottrina, a cui più volte con successo si è ricorso nel corso della storia, ogni qual volta un esercito invasore si è inoltrato in territorio russo, di assorbire la penetrazione in profondità dell’offensiva nemica, fino a renderla operativamente, tatticamente e logisticamente, controproducente, opponendogli la deprimente e inabilitante vastità dei propri territori privi di obiettivi strategici e persino di appigli tattici.

Quella della cessione di aree di appartenenza nazionale è psicologicamente difficile da comprendere per gli analisti occidentali, in quanto per la maggior parte dell’Europa la cessione di soli 50 Km potrebbe significare l’abbandono di infrastrutture preziose, di centri abitati di valore storico morale rilevante e l’esposizione al nemico di centinaia di migliaia di civili.

Fallimentari sono anche gli altri obiettivi indicati, dall’aver voluto distogliere forze di Mosca dal Donbass, all’avere un potere contrattuale al tavolo di negoziato, entrambi stracciati dal progredire dell’avanzata russa volta al pieno controllo di Donetsk e Lugansk.

Lo scopo dichiarato, infine, di voler creare una zona cuscinetto, per la limitatezza dello stesso, non ha alcun senso pratico.

In definitiva, tutto sembra indicare che l’operazione ucraina nel Kursk, nel tralasciare alcuni principi di base dell’arte militare, sia finita per diventare un evento controproducente, aprendo un ulteriore fronte dove bruciare preziose risorse, utili altrove, per fronteggiare un nemico molto più dotato sotto ogni aspetto militare, mentre persino l’entusiasmo morale, inizialmente conseguito fra le truppe e nel fronte interno ucraini, si sta rapidamente volatilizzando a causa delle perdite subite e sotto i prevedibili massici bombardamenti russi iniziati il 26 agosto.

Per dirla con le parole di Bovio, militare e storico italiano di rilievo del nostro recente passato, “L’applicazione dei principi dell’arte militare è legata a circostanze di tempo, di luogo, alle caratteristiche del terreno, ai rapporti di forze e alla relazione col piano complessivo del comando supremo. Anche nell’interpretazione degli avvenimenti bellici i principi debbono essere usati con grande cautela. Essi non sono regole, come quelle che si applicano in un gioco, né sono scientifiche o norme infallibili che assicurano da sole il successo3. Ma se la loro applicazione trova forme sempre diverse in base ai parametri contingenti, il tralasciarle espone all’insuccesso. “Essi […] derivano cioè non tanto dal riconoscimento della bontà della loro applicazione positiva, quanto dalla constatazione delle dannose conseguenze che volta a volta sono derivate dalla loro inosservanza4

Non si è voluto qui tenere una lezione sull’arte della guerra ma semplicemente rammentare, di fronte al dilagare di precipitosi ed entusiastici commenti vestiti da analisi, che nessuno dei suoi principi può essere tralasciato dall’esame. Inoltre, l’analisi, in campo militare, a livello tattico e strategico, per svolgere al meglio il proprio servizio, deve essere coraggiosamente asettica, non facendosi fuorviare dai desiderata ideologici, perché le smentite sul campo di battaglia arrivano sempre, a volte anche immediatamente, senza possibilità di appello.

2Cfr.:

T. COLIZZA, I princìpi della guerra in “Informazioni della Difesa”, n. 4 del 2023;

T. COLIZZA, I principi della guerra alla prova del conflitto in Ucraina in “Informazioni della Difesa”, n. 5 del 2023.

3 O. BOVIO, Storia dell’arte militare, SME Ufficio Storico, Roma 20082, p. 3.

4 E. BASTICO, Evoluzione dell’arte della guerra, Firenze, Casa Ed. Militare Italiana, 1930 in BOVIO, op. cit. p. 3.

Fotogramma: X (Ukraine MoD)