Come i cambiamenti climatici stanno influenzando le politiche della NATO

(di Andrea Mucedola)
31/07/23

Leggendo qua e là sui media spesso si leggono informazioni errate, distorte da pregiudizi ideologici che non rispecchiano la realtà delle cose.

Tra le tante vittime della cattiva informazione abbiamo l’Alleanza Atlantica spesso accusata di essere ideologicamente “a rimorchio della volontà statunitense”.

Perché le cose non stanno così...

La NATO è oggi un’Alleanza di 31 nazioni che condividono la stessa missione ovvero preservare la pace, la sicurezza e l’integrità territoriale degli Stati membri dell’Alleanza mantenendo una loro identità e sovranità. A tal fine ha una struttura politica, paritetica fra tutte le nazioni, e militare che vede il coinvolgimento dei vari Paesi sia da un punto di vista organizzativo che di forze sul campo. In particolare, prima del 2002, i due comandi supremi della NATO erano conosciuti come allied command Europe, fondato nel 1951 con sede prima a Parigi e poi a Bruxelles, e allied command Atlantic creato nel 1952 con sede a Norfolk, Virginia.

La struttura militare si evolse nel tempo considerando i cambiamenti politici durante e dopo la guerra fredda. Fu così che, alla fine di quest’ultima, l’iniziale struttura di comando passò da 78 quartier generali a 20.

L’anno della svolta fu il 2002 quando fu presa la decisione di riorganizzare la struttura di comando per renderla più snella ed efficiente. Non si trattò di un semplice cambio organizzativo ma concettuale; i Paesi aderenti alla NATO, a fronte del nuovo assetto geopolitico che vedeva all’epoca la Russia indirizzata ad un’apertura verso il mondo occidentale, sperarono di intraprendere una nuova strada che avrebbe assicurato reciproci vantaggi.

Il consiglio atlantico ritenne opportuno modificare la struttura di comando basandosi sulla funzionalità piuttosto che su una mera distribuzione geografica. In accordo con questa volontà comune, l’allora comando operativo atlantico (SACLANT) e quello europeo (SACEUR) si fusero in un nuovo comando supremo operativo, ACO, comando alleato per le operazioni, responsabile di tutte le operazioni dell’Alleanza, comprese ovviamente le operazioni marittime in aree anche al di fuori di quelle di responsabilità NATO.

L’allied command atlantic (SACLANT) si trasformò nell’allied command transformation (ACT), responsabile di guidare l’Alleanza nel suo processo di adeguamento per affrontare le sfide future attraverso lo studio delle dinamiche sociali e dei fattori destabilizzanti presenti e futuri. Fu così creato un team multidisciplinare composto da militari e civili per analizzare dinamicamente tutti gli aspetti economici, ambientali e politici ed armonizzare le risorse disponibili. Un processo complesso che iniziò in un momento molto delicato in cui, a seguito dello sfaldamento del Patto di Varsavia, nuove nazioni si affacciavano verso la NATO desiderosi di unirsi all’Alleanza. Un lavoro di oltre due anni di continui contatti, in cui i Paesi richiedenti (le nazioni devono chiedere di far parte dell’Alleanza) venivano analizzati a fondo per comprenderne l’affidabilità dal punto di vista politico, economico e militare, e quindi guidati nel loro adeguamento ad un modello organizzativo occidentale.

Tra i tanti studi effettuati in quel periodo vorrei citare il Multiple Futures Project (MFP), durato oltre due anni con la partecipazione di numerose prestigiose università di diversi Paesi, che fu presentato alla comunità internazionale nel 2009. In parole semplici, analizzando tutte gli elementi destabilizzanti prevedibili in un arco temporale fissato al 2030, vennero identificate aree di debolezza dove investire per mitigare gli effetti negativi del cosiddetto prossimo futuro. Vere e proprie sfide sociali che purtroppo si sono rivelate attuali; per citarne solo alcune: aumento della desertificazione, genesi di nuove epidemie, migrazioni forzate di grandi masse di individui e l’aumento delle attività criminali sia sul territorio che in mare.

Una visione confermata dagli eventi di questi ultimi cinque anni che hanno influenzato le politiche sociali di molti alleati, sottolineate durante il recente Summit NATO del 2023 a Vilnius, al termine del quale l’Alleanza ha pubblicato tre importanti rapporti sulla sua strategia climatica:

– una valutazione dell’impatto sulla sicurezza collettiva dei cambiamenti climatici; una serie di casi di studio che evidenziano le condizioni meteorologiche in relazione allo stress operativo, al degrado delle attrezzature militari ed alle operazioni future;
 
– un compendio di best practices ovvero una raccolta degli sforzi in corso nell’Alleanza sulle misure per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici (efficienze energetiche, tecnologie sostenibili e innovazione dei sistemi);

– una metodologia analitica di mappatura delle emissioni di gas serra, comprese quelle delle infrastrutture civili e militari.

Questi rapporti, che influenzeranno i futuri concetti strategici, considerano le attuali tendenze climatiche, e sono stati sviluppati con il supporto di partenariati accademici e industriali per affrontare grazie agli sviluppi della geoingegneria questioni spinose come il terrorismo climatico. Uno sforzo accademico in cui la NATO ha deciso di dotarsi di un nuovo centro di eccellenza per studiare il rapporto cambiamenti climatici e sicurezza, che sarà presto sviluppato a Montreal, Canada.

In estrema sintesi, le relazioni tra cambiamenti climatici e sicurezza collettiva sono stati argomenti chiave durante il Summit di Vilnius al punto che, il vicesegretario generale Mircea Geoană ha ribadito che “il cambiamento climatico è una minaccia esistenziale per il futuro del nostro pianeta e, pertanto, è importante per la nostra sicurezza. La NATO non è, e non dovrebbe, essere assente da nessuna nuova sfaccettatura di questa nuova definizione di sicurezza”.

Parole forti che trovano radici nel secolo scorso, nel 1969, quando la NATO riconobbe per la prima volta le nuove minacce ambientali istituendo il Comitato sulle sfide della società moderna. Un interesse perseguito per anni con diversi gruppi di studio anche con la partecipazione di Nazioni non facenti parte dell’Alleanza, culminato con la nascita dell’allied command transformation, il comando supremo che, dopo vent’anni dalla sua nascita, continua a considerare attentamente gli effetti dei cambiamenti ambientali sulla sicurezza globale: dalle nuove rotte marittime rese disponibili dallo scioglimento dei ghiacci nell’High North, alle situazioni di instabilità locali legate al clima. Aree in cui la mancanza di acqua potabile, per le prolungate siccità in molte aree sensibili del mondo, o l’innalzamento dei mari a seguito dello scioglimento dei ghiacci creeranno i presupposti per migrazioni incontrollate, gestite dai nuovi negrieri del III millennio, e lo sviluppo di fenomeni criminali come la pirateria ed il narcotraffico.

Un fattore, quello climatico, che continua quindi ad essere all’attenzione dell’Alleanza che si prepara ad affrontare le nuove sfide del III millennio.

Foto: Bundeswehr / Cremlino / NATO

(articolo originariamente pubblicato su https://www.ocean4future.org)