Siamo ormai abituati a vedere aerei decollare ed atterrare sulle portaerei, a ritmo serrato, insieme a modernissimi elicotteri che si alzano in volo con geometrie una volta impensabili per effettuare le loro missioni.
Dalla seconda guerra mondiale in poi, l’impiego di velivoli imbarcati è diventato un fattore essenziale nelle operazioni navali (non a caso chiamate aeronavali).
In particolare, gli elicotteri imbarcati sono comunemente utilizzati in tutte le forme di lotta marittima, ma anche in compiti logistici come il trasferimento di personale e materiali e per le situazioni di emergenza (evacuazione medica "MEDEVAC" e/o ricerca e salvataggio "SAR"). Operazioni complicate e ad alto rischio, in quanto coinvolgono accuratezza, addestramento e procedure precedentemente stabilite in un ambiente che non è usuale ed è costantemente soggetto a variazioni dell’assetto del ponte di volo.
Si dice, a ragione, che i piloti di elicottero siano due volte piloti. Non tutti sanno però che l’impiego degli elicotteri a bordo di una nave non si sarebbe mai potuto realizzare senza le sperimentazioni effettuate negli anni ’30 su un velivolo curioso chiamato autogiro.
La prima volta fu su una nave italiana
La Regia Marina italiana fu una la prima a voler testare queste strane macchine volanti da un’unità navale in navigazione, e oggi racconteremo quella prima volta … quando un autogiro atterrò e decollò dal Regio Incrociatore pesante Fiume.
Prima di raccontare questo evento, parliamo dell’autogiro, un innovativo velivolo sviluppato dalla La Cierva Autogiro Company, un’azienda aeronautica britannica fondata nel 1926 su progetto dell’aviatore ed ingegnere spagnolo, Juan de la Cierva (da cui il nome), con il sostegno finanziario di James George Weir, un industriale scozzese ed appassionato aviatore.
Ne furono realizzati molti esemplari ma non senza inconvenienti tecnici. Inizialmente gli autogiro subirono frequenti incidenti ed erano considerati poco affidabili.
Il primo dei progetti Cierva ad essere realizzato nel Regno Unito fu il C.8 in collaborazione con la ditta Avro. Il modello sviluppato tra le due guerre mondiali di maggior successo fu il Cierva C.30 (foto), che fu realizzato in quasi 150 esemplari su licenza nel Regno Unito (Avro), in Germania (Focke-Wulf) ed in Francia (Lioré et Olivier).
Nel dicembre del 1934, un pilota collaudatore della compagnia Cierva, un pilota britannico di nome Reginald Brie, firmò un contratto con la Regia Marina italiana per effettuare delle prove di decollo e atterraggio di un autogiro dal Regio Incrociatore pesante Fiume. Fu identificato il modello C.30A che pesava circa 553 kg a vuoto ed era in grado di raggiungere una velocità massima di 177 km / h con il suo motore da 140 CV. Si trattava di un biposto, con rotore tripala di 12 metri di diametro, montato su un supporto a tripode e testa carenata. Anche nel C–30A la calettatura delle pale del rotore veniva comandata direttamente dal pilota con la barra di controllo a portata di mano.
Dopo aver analizzato le procedure fu deciso di effettuare la prima prova con il RN Fiume (foto) alla fonda nel porto di La Spezia e, in seguito, con l’unità in navigazione. La nave fu dotata per l’occasione di un “ponte di volo” in legno (di forma trapezoidale, lungo 40 metri, largo 15 a prua e 10 a poppa) realizzato a poppa, dove l’autogiro, un La Cierva C.30A, sarebbe decollato e atterrato sempre ai comandi del pilota della RAF Reginald Brie.
Il primo test fu effettuato il 4 gennaio 1935, mentre le prove in navigazione due giorni dopo, il 6 gennaio. Il Fiume mantenne inizialmente una velocità compresa tra 16 e 18 nodi per poi spingersi fino a 24.
Storicamente fu il primo tentativo di decollo e atterraggio di un aeromobile da una piattaforma mobile in mare. Non fu facile e ci furono momenti di tensione a bordo, ma alla fine tutti i test ebbero esito positivo.
Eravamo negli anni ’30 per cui c’erano ancora molte riserve verso quelle strane macchine volanti. Ciononostante, sebbene la tecnologia degli autogiro fosse considerata non ancora affidabile e sufficientemente capace per applicazioni militari, la Regia Marina italiana restò interessata allo sviluppo di questi velivoli ed ordinò due C.30A per i propri scopi.
L’interesse della Regia Marina italiana verso gli autogiro scaturì dopo che la neonata Regia Aeronautica italiana, dopo aver acquisito tutti i mezzi aerei della marina, aveva espresso disinteresse per l’impiego di mezzi volanti del tipo autogiro/elicottero. La sperimentazione sulla RN Fiume fu quindi un tentativo per la Regia Marina italiana di valutare l’impiego di un mezzo aereo alternativo per scopi navali al fine di riacquisire una propria componente aeronavale.
Purtroppo, contro ogni logica, il successo degli esperimenti effettuati sul Fiume portò l’Arma Azzurra ad ostacolare la Marina, secondo il principio poco visionario, che “tutto ciò che volava”, doveva comunque appartenere alla Regia Aeronautica. I due autogiro acquisiti passarono quindi alla Regia Aeronautica che, comunque, non ne sviluppò ulteriormente la tecnologia non essendo di suo interesse.
Cosa avvenne agli autogiro?
Nel 1936, Cierva, perì in un incidente aereo a Croydon dopo il decollo di un aereo di linea a causa della nebbia, per cui il posto di direttore dell’ufficio tecnico venne ricoperto da J. Bennett che riuscì a proporre uno dei suoi modelli, il Cierva C.41, alla Royal Navy. Lo sviluppo venne però interrotto dallo scoppio della seconda guerra mondiale.
Bennett in seguito decise di lasciare la Cierva e nel 1945 venne assunto dalla Fairey Aviation dove supervisionò lo sviluppo del Fairey FB-1 Gyrodyne (foto).
Due anni prima, nel 1943, il dipartimento aeronautico della G & J Weir Ltd. venne ricostituito come Cierva Autogiro Company per sviluppare nuovi autogiro da proporre all’Air Ministry. Grazie a quei studi fu realizzato nel 1948 il Cierva W.11 Air Horse (foto in fondo), il più grande elicottero mai costruito al mondo in quegli anni. La “W” nella designazione significava che era una continuazione della serie di autogiro ed elicotteri sviluppata da G & J Weir, Ltd., nel periodo 1932-1940.
Purtroppo l’aeromobile non ebbe successo ed il primo prototipo precipitò, uccidendo nell’incidente Alan Marsh, l’allora manager e pilota collaudatore capo dell’azienda, John “Jeep” Cable, capo collaudatore dei test su elicotteri del Ministry of Supply, e J. K. Unsworth, ingegnere di volo. Un disastro che portò alla cessazione degli investimenti.
In Nord America, Pitcairn continuò gli studi di perfezionamento degli autogiro (foto), sviluppando un modello con rotore ripiegabile e forza motrice selezionabile tra l’elica traente e le ruote del carrello ed effettuò una serie di dimostrazioni che ebbero un certo successo. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, le esperienze maturate servirono per lo sviluppo definitivo dell’elicottero che avvenne negli anni seguenti.
Curiosamente, nel dopoguerra, tra gli appassionati di volo, è tornato un certo interesse per gli autogiro, ma solo a livello ricreativo non avendo in realtà nessun vantaggio operativo su aerei ed elicotteri.
(articolo originariamente pubblicato su http://www.ocean4future.org)