(Continua) I cinque piroscafi, Troilus, Burdwan, Orar (britannici), Tanimbar (olandese) e Chant (statunitense), assegnati all’operazione e inquadrati nel convoglio WS.19Z, salparono dal Firth of Clyde il 5 giugno, inoltrandosi nell’Atlantico sotto la scorta degli incrociatori HMS Liverpool e HMS Kenya e dieci cacciatorpediniere; la petroliera Kentucky raggiunse invece per conto proprio Gibilterra il 2 giugno dove fu sottoposta a lavori per incrementarne l’armamento imbarcato.
Le unità si riunirono a Gibilterra l’11 giugno, dove i mercantili del convoglio, rinominato GM4, passarono sotto la responsabilità del capitano di vascello Campbell Hardy, imbarcato sul HMS Cairo e comandante della scorta ravvicinata che comprendeva anche quattro dragamine; i due incrociatori giunti dalla Gran Bretagna si unirono invece alla Force H del viceammiraglio Curteis, che si accinse a fornire protezione a distanza al convoglio.
Le unità britanniche si inoltrarono quindi nel Mediterraneo, rallentate dalla ridotta velocità (13 nodi) che i mercantili potevano sviluppare; il 13 giugno i cacciatorpediniere della Force X si rifornirono in mare dalla Brown Ranger, con un certo ritardo dovuto all’errato posizionamento della petroliera; l’unità fu poi distaccata con le sue due corvette di scorta perché provvedesse al rifornimento delle navi britanniche durante il loro viaggio di ritorno.
Di fatto, il loro spostamento era stato notato. L’11 giugno il Servizio Informazioni Militare intercettò un messaggio dell’addetto militare statunitense al Cairo, il colonnello Bonner Fellers, che decrittò essendo in possesso del codice Black Code dove si dava notizia di due convogli alleati verso Malta.
Le prime notizie, che confermavano il movimento del convoglio, raggiunsero l’alto comando della marina italiana (SUPERMARINA) la mattina del 12 giugno; benché imprecise queste informazioni segnalavano il passaggio per lo Stretto di Gibilterra di una trentina di unità britanniche dirette su Malta.
SUPERMARINA si accinse quindi a prendere le disposizioni del caso: nove sommergibili furono disposti in due linee parallele tra le isole Baleari e la costa dell’Algeria, con il compito di segnalare il passaggio delle unità nemiche e di lanciare un primo attacco; nel pomeriggio del 13 giugno una formazione di aerosiluranti italiani fu fatta decollare dagli aeroporti della Sardegna, ma rientrò alla base senza aver intercettato il nemico.
Quella sera due ricognitori italiani, inviati a pattugliare il tratto di mare verso cui si presumeva fossero dirette le unità nemiche, riuscirono infine ad avvistare due incrociatori britannici che si erano spinti in avanti per perlustrare gli approcci al Canale di Sicilia: alle 16:30 del 13 giugno, da Cagliari, fu fatta salpare la VII divisione incrociatori dell’ammiraglio di divisione Alberto da Zara, con gli incrociatori leggeri Eugenio di Savoia (nave ammiraglia) e Raimondo Montecuccoli scortati da sette cacciatorpediniere della XIV e X squadriglia (ridotti poi a cinque a causa delle avarie al motore di due di loro, il Vincenzo Gioberti e il Nicolò Zeno, che rientrarono in porto), ma le unità italiane non intercettarono le navi britanniche, che si erano nel frattempo ritirate, e Da Zara rientrò a Palermo quella notte stessa.
Nelle prime ore del 14 giugno le unità britanniche entrarono nel raggio d’azione dei sommergibili italiani; dislocato al largo di Philippeville, il sommergibile Uarsciek avvistò una formazione britannica intorno alle 01:40, ma i tre siluri lanciati non colpirono alcun bersaglio. Alla sua prima missione operativa, il sommergibile Giada avvistò alle 04:40 le unità della Force H ed il tenente di vascello Gaspare Cavallina portò il battello in emersione ad appena 2.500 metri dalle navi britanniche, lanciando una salva di quattro siluri contro la portaerei Eagle; subito immersosi per sfuggire all’immediato contrattacco dei cacciatorpediniere avversari, il Giada riferì di aver udito due esplosioni ma nessuna unità britannica riportò danni. Il battello subì diversi attacchi con bombe di profondità da parte dei cacciatorpediniere, ma riportò solo lievi danni.
A partire dalle 09:00 del 14 giugno la formazione britannica iniziò a subire anche gli attacchi aerei dei velivoli dell’Asse di base in Sardegna, inizialmente otto Fiat C.R.42 con bombe alari accompagnati da due Savoia-Marchetti S.M.79 del 36º stormo. Questi aerei non solo mancarono i bersagli ma vennero anche falcidiati dai caccia Fulmar decollati dalla portaerei HMS Argus (foto).
Alle 10:00 giunsero quindici bombardieri Savoia-Marchetti S.M.84, sempre del 36º stormo, ma la reazione nemica ne abbatté sei, tra cui quello del colonnello Giovanni Farina; solo uno, quello pilotato dal tenente Oliviero Donati, riuscì ad ammarare evitando la morte dell’equipaggio. Subito dopo, alle 10:15, sopraggiunsero altri aerosiluranti S.M.79, bombardieri CANT Z.1007 e Junkers Ju 88: la prima ondata contava 18 bombardieri, 32 aerosiluranti e una scorta di caccia, ma in più ondate successive e fino alla fine della giornata furono coinvolti 250 aerei italiani e 48 tedeschi.
Il piroscafo Tanimbar, da 8.200 tonnellate di stazza e 13.000 t di carico, fu centrato con un siluro da un SM.79 del 130º gruppo spezzandosi immediatamente in due ed affondando per l’esplosione del carburante avio e delle munizioni a bordo, mentre l’incrociatore HMS Liverpool incassò un siluro sul lato di tribordo, probabilmente lanciato dall’aereo del pilota Arduino Buri, imbarcando un gran quantitativo d’acqua che provocò il blocco del timone e uno sbandamento di 7°; con una velocità ridotta a 4 nodi l’incrociatore fu preso a rimorchio dal cacciatorpediniere HMS Antelope, e lentamente cercò di rientrare verso Gibilterra sotto la protezione di un secondo caccia, il HMS Westcott.
HMS Liverpool (foto) il 14 giugno venne colpita alla sala macchine da un aerosilurante italiano. L’esplosione bloccò il timone e gli apparecchi di punteria delle torrette X e Y per cui la velocità venne ridotta a quattro nodi e la nave iniziò ad inclinarsi lateralmente a causa della falla nello scafo. Rimorchiata dal cacciatorpediniere Antelope verso Gibilterra, venne fatta oggetto di ulteriori attacchi aerei, venendo ulteriormente danneggiata da bombe cadute vicino allo scafo. Il 17 giugno giunse infine a Gibilterra.
Alle 18:00 passarono all’azione 92 aerei della Regia Aeronautica e 48 della Luftwaffe. In particolare da Castelvetrano presero il volo quattordici S.M.79 del 132º gruppo autonomo aerosiluranti che, incontratisi in cielo con la scorta di 17 Reggiane Re.2001 del 2º gruppo caccia terrestre (2º gruppo volo) al comando del tenente colonnello Aldo Quarantotti, assieme a sette Macchi M.C.202 del 54º stormo con il maggiore Pier Giuseppe Scarpetta che abbatte un Hurricane, avvistarono la flotta britannica sopra l’isola tunisina di La Galite verso le 19:00.
Mentre i Reggiane rivendicavano undici Sea Hurricane con la perdita di un solo velivolo (ma non del pilota), gli S.M.79 sganciarono i loro siluri, che però non esplosero perché, come venne poi accertato, provenienti da una partita di ordigni sabotati usciti dal silurificio di Baia. Nel frangente venne abbattuto l’S.M.79 del sottotenente Giannino Negri.
Nel pomeriggio del 15 il rimorchiatore Salvonia salpato da Gibilterra prese in consegna l’incrociatore Liverpool, raggiunto il giorno successivo anche dal cacciatorpediniere HMS Panther e da altre unità di scorta: la formazione giunse poi felicemente a Gibilterra alle 17:30 del 17 giugno. Agli attacchi contro il convoglio cercò di prendere parte anche il sommergibile italiano Alagi, ma i suoi tentativi di portarsi a tiro furono vanificati dalla sorveglianza delle unità di scorta; solo dopo il tramonto il sommergibile riuscì ad avvicinarsi abbastanza da lanciare due siluri contro una portaerei, che tuttavia non andarono a segno.
Al tramonto del 14 giugno, con il convoglio ormai giunto all’altezza di Biserta e all’imboccatura del Canale di Sicilia, la Force H invertì la rotta e diresse per Gibilterra: l’alto comando britannico riteneva che la marina italiana avrebbe impiegato solo forze leggere nel canale, facilmente contrastabili dal Cairo e dai cacciatorpediniere della scorta ravvicinata, senza quindi la necessità di rischiare ulteriormente le principali unità da battaglia.
Il posamine Welshman, capace di una velocità molto più elevata dei mercantili, si separò dal convoglio alle 20:00 e proseguì in solitaria per Malta: giunto a La Valletta, consegnò il suo carico e ripartì alle prime luci del 15 giugno, onde fornire protezione contraerea al resto del convoglio in arrivo.
(Continua)
Leggi prima parte - Lo scontro navale di Pantelleria, anche detto "battaglia di mezzo giugno": premesse
Leggi terza parte - Lo scontro navale di Pantelleria, anche detto "battaglia di mezzo giugno": l'Operazione Vigorous
Foto: Regia Marina / Regia Aeronautica / IWM
(articolo originariamente pubblicato su https://www.ocean4future.org)