La situazione geopolitica libica è una delle più complicate a livello mondiale. Il conflitto che divide il paese di fatto dalla fine di Gheddafi, non solo vede contrapposte due diverse fazioni: quella dei ribelli guidati da Haftar, da un lato, quella del governo di accordo nazionale di Sarraj (l’unico riconosciuto internazionalmente) dall’altro, ma contempla anche ulteriori divisioni interne nelle stesse zone d’influenza dei due governi, la Cirenaica e la Tripolitania. Per non parlare del Fezzan dove le tensioni fra Tuareg e Tebu si sovrappongono alla contesa fra le Tribù leali ad Al Serraji e quelle che sostengono Haftar per la conquista di Tripoli.
Se dalla parte di Haftar milita una nutrita coalizione che prevede oltre a Francia, l’Egitto, Israele, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e la Russia, dall’altra, a fianco di Al Serraj, troviamo il Qatar e la Turchia (dopo l’uscita di scena dell’Italia che fino a pochi mesi or sono sosteneva formalmente il campo di Al Serraji). La disparità di forze a favore di Haftar avrebbe dovuto essere determinante per la caduta di Tripoli. In tale prospettiva l’Italia si era premunita cercando un avvicinamento con il generale ribelle. Ma Tripoli non è stata presa, anzi resiste. Se ciò non è accaduto è perché Erdogan ha avuto il coraggio di schierare in Libia truppe regolari Turche in aggiunta agli irregolari provenienti dalla Siria a protezione di Tripoli; consapevole dell’importanza del potere marittimo ha schierato anche un robusto gruppo navale davanti alle coste della Tripolitania, per garantire la protezione del litorale e l’ingresso via mare degli armamenti necessari alla difesa di Tripoli.
La determinazione e aggressività neo-ottomana ha cambiato non solo i rapporti di forza sul terreno, ma anche nel Mediterraneo centrale. La politica espansiva di Erdogan ha avuto come risultato quello di mettere in discussione il ruolo italiano nel Mediterraneo centrale. Erdogan è stato pronto a sfruttare lo stato di necessità di Al Serraji sotto assedio a Tripoli, non per ottenere promesse e benevolenza futura, ma per firmare accordi immediatamente operativi sulla divisione degli spazi marittimi e delle concessioni di sfruttamento dei fondali, a scapito fra gli altri, della Grecia e dell’Italia.
L’arrivo dei Turchi ha di fatto rallentato se non fermato la pressione di Haftar, ma gli accordi di Berlino e l’avvio della missione navale dell’EU denominata Irene, previsto per il 1° di Aprile (Covid permettendo), potrebbero penalizzare le ambizioni della Turchia.
Il “blocco navale” europeo, qualora non si rivelasse una mera operazione di facciata, ridurrebbe il flusso di armi verso la Tripolitania andando a scapito degli interessi Turchi, poiché è del tutto evidente che la Cirenaica continuerebbe a essere rifornita attraverso il confine terrestre con l’Egitto. Si tratterebbe in sostanza della prima timida iniziativa contro la Turchia presa dall’EU. Da vedere quale sarà il comportamento delle navi militari turche qualora il gruppo navale EU volesse davvero bloccare navi cariche di armi per Tripoli.
La contesa per il controllo della Libia è adesso resa ancora più complessa dall’avvento della pandemia di Covid-19. Dopo molte reticenze al riguardo, sia dalla Tripolitania che dalla Cirenaica, entrambi i governi hanno dovuto prendere una posizione, anche e soprattutto in relazione all’allarme rosso nei lager dove sono confinati migliaia di migranti e dove un contagio come quello del coronavirus potrebbe determinare una carneficina sanitaria. Se Fayez al-Sarrraj ha dichiarato lo stato di emergenza e ha annunciato la chiusura dei porti e degli aeroporti del Paese, a partire da lunedì 9 marzo, non è avvenuto lo stesso a Bengasi, nella Cirenaica, dove soltanto dopo qualche giorno, l’11 marzo un funzionario del Centro Medico di Bengasi ha lanciato l’allarme facendo presente che se il Covid-19 dovesse arrivare in Libia sarebbe un disastro.
La dichiarazione di emergenza da parte del Governo di Accordo Nazionale, lungi dal rafforzare la tregua formalmente in atto ha stimolato Haftar a tentare di approfittare della situazione, per sferrare un attacco alla città vecchia di Tripoli in data 21 marzo, nonostante il monito dell’ONU.
Solo a questo punto si è levata la voce degli Stati Unici che hanno fatto pervenire una richiesta pressante e diretta contro il signore dalla guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar: “fermare le armi, rifiutare le interferenze esterne, consentire alle autorità sanitarie di combattere il coronavirus”. Il dipartimento di Stato ha fatto uscire la nota con cui l’amministrazione Trump dichiarava di condividere l’apertura fatta per primo del governo di accordo nazionale guidato da Fayez Serraj, ‘primo ministro libico’ internazionalmente riconosciuto, a favore della cessazione umanitaria delle ostilità. Haftar, sembra aver ceduto alle pressioni dando l’ok per una tregua umanitaria, ormai richiesta da tutti gli attori politici in campo.
Forse però più dell’influenza americana su Haftar, potrebbe essere la paura del contagio che starebbe minando il morale dei miliziani della Cirenaica ad aver indotto il generale ad alleggerire la pressione militare su Tripoli, per evitare diserzioni in massa nelle sue fila.
I prossimi sviluppi dei combattimenti saranno dettati anche dell’evoluzione della pandemia in Libia e nei Paesi che sostengono le fazioni in campo. Le ostilità potrebbero verosimilmente entrare in una sorta di “limbo”, non pace non guerra, pronta a riprendere appena le condizioni lo consentiranno. Sarebbe infatti irragionevole immaginare che gli interessi geopolitici di Russia e Turchia sulla Libia svaniscano con la fine del Coronavirus, ma sul “quando” e sul “come” riprenderà la contesa libica dipenderà molto da quale delle Potenze in gioco romperà per prima l’assedio del Covid 19.
Foto: web / Türk Silahlı Kuvvetleri