Il riacutizzarsi della crisi mediorientale, seguita all’attacco terroristico del 7 ottobre 2023, ha comportato il rinnovarsi di vecchi attriti mai realmente sopiti e ha favorito l’entrata di nuovi (ma vecchi) attori sul teatro del Golfo Persico e del Mar Rosso.
Tra questi ultimi va sottolineata l’iniziativa degli Houthi che, mossi da ragioni politico strategiche dichiarate legate al conflitto in corso a Gaza, hanno messo in atto azioni offensive nel tentativo di ostacolare selettivamente il transito marittimo commerciale lungo le rotte del Mar Rosso meridionale e del Golfo di Aden (Anti Access/Area Denial – A2/AD).
In tale ambito, non avendo alcuna Marina, gli Houthi non intervengono direttamente in mare ma operano “da remoto”, impiegando un’ampia gamma di droni e missili antinave, sia balistici (Anti Ship Ballistic Missile ASBM, che rientrano nella categoria degli Short-Range Ballistic Missile SRBM), con profilo di volo a U rovesciata, caratterizzato da notevole ripidità dell’angolo di avvicinamento al bersaglio ed elevata velocità finale, sia con tradizionale traiettoria sea skimmer, ovvero con profilo di volo che, generalmente, porta il missile vicino alla superficie del mare, al fine di rendere più difficoltosa la scoperta con radar o con sensori infrarossi, anche se i radar hanno ormai circuiti MTI (Moving Target Indication) in grado di localizzare bersagli veloci in avvicinamento, anche se a bassa quota.
Le operazioni marittime
Allo scopo di ostacolare la strategia A2/AD degli Houthi, tornati aggressivamente sulla scena internazionale, il mondo occidentale ha inviato le proprie navi militari a pattugliare quelle acque e a difendere un principio irrinunciabile quale quello della libertà di navigazione (leggi articolo “Spazi marittimi e sicurezza internazionale”).
Allo scopo di proteggere i traffici mercantili in acque internazionali, quindi, le marine occidentali sono oggi impegnate in due diverse operazioni marittime.
L’Operazione Prosperity Guardian è finalizzata a incrementare la presenza e la sorveglianza nell’area, vede la partecipazione di una coalizione di Forze aeronavali organizzata dagli Stati Uniti ed è strutturata come Task Force 153, con sede in Bahrain. Dallo scorso 3 aprile è sotto comando italiano.
Un’altra attività in corso è l’Operazione Eunavfor Aspides, a guida UE, la cui missione è fornire supporto difensivo alle navi commerciali in transito nella regione, fino ad arrivare alla protezione ravvicinata. Il Comando a livello strategico è assegnato alla Grecia, mentre il Comando operativo e tattico è svolto da bordo di una flagship della Marina Militare ed è attualmente assegnato all’Italia.
In tale ambito, le capacità di comando, coordinamento e controllo, assicurate dalle portaerei o da altre capital ships, sono fondamentali per garantire l’efficacia delle operazioni marittime e la sicurezza dei gruppi navali operanti in acque lontane dal territorio nazionale. Si tratta, infatti, di unità che sono in grado di ospitare un comando complesso, che hanno notevole autonomia logistica, che posseggono sviluppate capacità difensive e offensive e che offrono standard di abitabilità che consentono di rimanere on task per lungo tempo (leggi articolo “Importanza della portaerei in una Marina moderna”).
Va, infine, ricordata l’Operazione Poseidon Archer, attività condotta dagli Stati Uniti con il supporto del Regno Unito, che ha lo scopo di neutralizzare la minaccia attraverso attacchi mirati contro i siti missilistici e le basi per il lancio di droni, direttamente sul territorio yemenita controllato dagli Houthi.
Dato che la minaccia è rappresentata dall’uso estensivo di droni aerei e di missili, potrebbe sorgere il dubbio che questi mezzi, sensibilmente più veloci di una nave militare, possano esporre le unità d’altura (e in particolare le capital ships) a un maggior livello di rischio. Sottolineando che il pericolo zero non esiste in nessuna attività operativa in mare, va anche evidenziato che i gruppi navali hanno sviluppato numerosi strumenti di difesa per rendere inefficaci eventuali attacchi missilistici.
Le capacità di difesa del gruppo navale
La più elementare misura di protezione è la manovra. Operando da remoto, infatti, i missili lanciati contro un bersaglio navale impiegano del tempo per raggiungere l’area. Questo permette ai sistemi di sorveglianza di dare tempestivamente l’allarme e, quindi, permette all’unità o al gruppo navale di cambiare gli elementi del moto, “obbligando” il sistema di navigazione del missile a ricalcolare la traiettoria. Ciò richiede più o meno tempo a seconda dello sviluppo tecnologico degli apparati montati sull’arma.
Gli ASBM, pur rappresentando un’evoluzione rispetto ai precedenti vettori progettati per colpire bersagli di superficie, sono tuttavia armi che hanno delle difficoltà per colpire un bersaglio in movimento.
Un continuo cambio della rotta e della velocità, inoltre, risulta particolarmente efficace nei confronti di quei missili che non hanno la disponibilità di una guida attiva o che, per vari motivi, nella fase finale del profilo di volo si affidano ai soli dati della piattaforma inerziale. Questi, infatti, si dirigeranno su un punto che è il risultato dell’ultima rilevazione nota del bersaglio prima della fase “cieca” e quindi, qualora l’unità abbia cambiato posizione, avranno scarse possibilità di raggiungere l’obiettivo.
Anche i missili ipersonici sono “ciechi” nella fase finale del volo, in quanto l’elevata velocità causa una ionizzazione dell’aria davanti all’ogiva, creando una sorta di scudo che impedisce ai sensori attivi del missile di aggiornare la posizione del bersaglio. Di conseguenza, mentre contro bersagli statici e di grandi dimensioni (come le infrastrutture terrestri) questi missili sono micidiali, risultano avere delle notevoli criticità contro bersagli puntiformi e in grado di manovrare rapidamente muovendosi a velocità considerevoli. Da considerare, poi, che anche nel caso di disponibilità di un sensore esterno al missile (satellite, nave appoggio, stazione radar terrestre) in grado di fornire i nuovi elementi del moto del bersaglio, con le velocità in gioco risulta difficilissimo eseguire significative variazioni del profilo di volo durante la fase finale. Per paradossale che possa sembrare, quindi, la più antica e meno tecnologica misura difensiva risulta ancora efficace anche in un contesto multidominio e contro minacce tecnologicamente avanzate.
Considerazioni analoghe valgono per le azioni condotte con i droni aerei per i quali va, tuttavia, evidenziata una minore letalità a fronte di una maggiore probabilità di colpire, in relazione alle modalità con cui vengono individuati e assegnati i bersagli ai velivoli. In alcune occasioni gli Houthi sembrano sfruttare i dati AIS (Automatic Identification System) riportati dagli stessi mercantili per la sicurezza della navigazione mentre, in altre, vengono impiegate le eventuali capacità di homing dei droni, oltre che il riporto da parte di unità terze che si trovano in area, inclusi droni di superficie dotati di esplosivo e di diversi sensori, a iniziare da quelli optoelettronici.
Ma le misure antimissile difensive non si limitano alle variazioni del moto. Anche le navi, infatti, sono equipaggiate con le migliori soluzioni tecnologiche disponibili e sono, quindi, in grado di contrastare efficacemente un ventaglio di possibili minacce multidimensionali.
In tale ambito, i sistemi di sorveglianza imbarcata sulle unità navali occidentali che partecipano, per esempio, alle operazioni in Mar Rosso, si avvalgono anche delle capacità early warning dei velivoli imbarcati sulla portaerei Eisenhower, presente in teatro, e hanno il supporto dei sistemi di allarme satellitari, che avvisano dell’avvenuto lancio di missili dalla costa yemenita. Le navi militari possono, inoltre, avvalersi dei sistemi di inganno e disturbo elettromagnetico di cui sono dotate e che vanno dagli apparati elettronici ai razzi per il lancio delle cosiddette chaffs.
Tutto l’insieme di questi sistemi si è rivelato estremamente efficace per consentire il proficuo impiego delle armi di bordo nella difesa di area e di punto dalle minacce aeree e missilistiche degli Houthi.
In più occasioni, infatti, i sistemi d’arma delle unità militari occidentali hanno abbattuto droni e missili utilizzando una combinazione di missili superficie-aria, prevalentemente Standard (di costruzione USA) o Aster europei (in misura minore), e tiri di artiglieria (solo contro i droni). Tra le modalità di neutralizzazione della minaccia anche l’impiego di velivoli imbarcati, prevalentemente aerei ma in talune circostanze anche elicotteri, sempre sotto la puntuale guida dei team di controllo imbarcati, e grazie alle informazioni ricavate dai sensori e dai diversi sistemi di condivisione dati di bordo, che rendono efficace il coordinamento anche tra le diverse Task Forces.
In sostanza, nonostante oltre 170 attacchi finora registrati con sei diversi tipi di missili ASBM, nei pochi casi in cui il missile balistico (o il drone aereo) non è stato distrutto in volo, si sono principalmente registrati impatti in acqua e solo in poche occasioni sono state colpite navi mercantili, che non erano sotto protezione ravvicinata e notoriamente non predisposte per una navigazione con profili di manovrabilità e reattività tipici delle navi militari.
L’efficacia delle unità militari nella protezione da minacce portate da droni e missili in Mar Rosso e nel Golfo di Aden, alcune delle quali ipersoniche, costituisce un significativo risultato che testimonia anni di lavoro delle Marine nello studio della lotta antiaerea e antimissile, che oggi converge in un campo unico denominato Integrated Air Missile Defence (IAMD) che, nel particolare teatro operativo, trova efficace applicazione anche in dispositivi operanti a protezione del naviglio mercantile e, quindi, a tutela degli interessi nazionali.
Considerazioni finali
La situazione in atto nel Mar Rosso, se da un lato genera fiducia nella possibilità di autodifesa delle capital ships, fondamentali per l’esercizio del potere marittimo in ottica multidominio, è anche uno stimolo a continuare nello sviluppo capacitivo attraverso sensori e attuatori che consentano di continuare a migliorare la capacità di difesa aerea e antimissile delle Marine.
Particolare attenzione sul tema si registra da parte della U.S. Navy, con lo sviluppo della famiglia dei sistemi di combattimento integrato per unità navali AEGIS per le nuove navi della classe “Arleigh Burke” e, in campo europeo, con nuovi sensori e con le versioni aggiornate dei già citati missili Aster.
L’obiettivo è di disporre di capacità di soft-hard kill integrate e idonee a coprire tutti i settori della IAMD, dal contrasto di minacce balistiche e ipersoniche a quello di missili da crociera e di tutte le altre tipologie di armi antinave, compresi i droni.
Il tutto in un contesto geopolitico e geostrategico estremamente fluido e, quindi, in rapida evoluzione, dove le tensioni internazionali dalla regione mediterranea all’indo-pacifico richiedono lo sviluppo coerente di capacità militari di proiezione, che trovano nello strumento aeromarittimo un elemento cruciale sia per gli effetti che può generare sia per l’apporto abilitante nei confronti dell’intero apparato militare.
Le future crisi si svilupperanno prevalentemente sul mare, dal mare, sopra e sotto il mare ed è in questo particolare ambiente operativo multidimensionale che esse andranno contrastate, fornendo tempestivamente adeguati strumenti a chi è preposto ad assolvere tale missione. E, assieme alle capacità subacquee, dell’aviazione navale e dello spazio, le unità maggiori rappresenteranno l’essenza della presenza dello Stato sui teatri internazionali.
In tale ambito le capital ships mantengono, quindi, tutto il loro significato strategico. Lungi dall’essere una debolezza esse sono, invece, un punto di forza per tutelare efficacemente gli interessi economici e politici nazionali e saranno il nucleo che permetterà la condotta coordinata ed efficace delle future operazioni marittime ovunque nel mondo, siano queste di protezione del traffico mercantile sia di proiezione di potenza, al fine di rendere inefficaci gli attacchi contro il traffico commerciale marittimo. Non comprendere questo fatto significa soffermarsi sul particolare di un quadro perdendo di vista tutto l’insieme (leggi articolo “La tutela degli interessi nazionali sul mare”).
Anche se non sono più prevedibili grossi scontri navali simili a quelli del secondo conflitto mondiale, è indubbio che le Marine giocano e continueranno a giocare un ruolo politico-militare ed economico fondamentale nel garantire la libertà di navigazione sui mari del mondo e nel tutelare gli interessi vitali e il prestigio del proprio Paese. E le capital ships sono, e continueranno a esserlo in futuro, una componente indispensabile per permettere a una Marina moderna di poter assolvere efficacemente la propria missione (leggi articolo “La necessità di una intelligente strategia marittima nazionale”).
È, quindi, compito dei decisori politici sviluppare tempestivamente politiche e pianificazioni che tengano conto dell’evoluzione della minaccia negli scenari marittimi e con una visione che vada oltre la semplicistica staccionata del giardino di casa, senza prestar fede a quelle sirene che cantano canzoni di piccolo cabotaggio e dalla limitatissima portata. In sostanza, guardare oltre l’orizzonte senza lasciarsi sedurre da comode ma fuorvianti teorie minimaliste prive di supporto logico, storico ed operativo.
Ciò che sarà l’Italia e quanto riuscirà a tutelare il proprio prestigio e i propri interessi nazionali va deciso avendo una visione non distorta né ideologica, ma avendo ben presenti gli interessi economici e politici nazionali che, oggi e domani, interessano tutti i mari del mondo. Fare finta di nulla non risolve i problemi e permette alla minaccia di crescere e prosperare.
Foto: U.S. Navy