Le ultime notizie circa gli spostamenti delle truppe russe verso la Crimea parlano di tre reggimenti del VDV (Vozdušno-desantnye vojska), le forze aviotrasportate, ufficialmente per partecipare a una esercitazione. Questo secondo il ministro della Difesa Sergei Choïgou, aggiungendo poi che si tratta anche di una reazione alle minacce dell’Alleanza.
Inoltre il Cremlino ha disposto il blocco della navigazione, per sei mesi (dal 24 aprile al 31 ottobre), lungo le coste della penisola di Crimea, vietando di fatto l’accesso al Mar Nero, dove la Marina della Federazione Russa svolgerà manovre militari per le prossime due settimane.
Le tre zone interessate da questa misura sono la punta occidentale della Crimea, Sebastopoli meridionale e un'area vicino allo stretto di Kerch, che, collegando il Mar Nero a quello di Azov, è di fondamentale importanza per le esportazioni di grano e acciaio ucraini.
La NATO stima che l’entità delle forze così spostate verso il confine occidentale della Russia sia di circa 40.000 soldati. In altre parole, un movimento di truppe importante quanto quello osservato nel 2014, cioè all'inizio delle ostilità tra separatisti filo-russi del Donbass e le forze ucraine. Ostilità che, dopo una fragile tregua nel 2020, hanno ripreso vigore nelle ultime settimane.
Il generale Tod Wolters (foto), comandante supremo delle Forze Alleate in Europa, ha valutato il rischio di una possibile invasione dell'Ucraina da parte della Russia come "medio-basso" per le prossime settimane. Questo è infatti quello che ha detto durante un'audizione al Congresso il 15 aprile.
Tuttavia, il governo di Kiev è molto meno ottimista. L’ambasciatore ucraino in Germania, Andriy Melnyk, citando i dati dell'intelligence ucraina durante un'intervista con la radio tedesca Deutschlandfunk , ha affermato che la Russia sta schierando 90.000 soldati ai confini del suo paese. "Partiamo dal presupposto che questo numero aumenti a 110.000: è la metà del nostro intero esercito", ha poi aggiunto.
“Siamo bloccati in una situazione difficile ed estremamente pericolosa. Il Cremlino cerca di annientare l'Ucraina come stato e come popolo. Ci cancellerà dalla mappa nei prossimi giorni”, ha continuato il diplomatico, prima di implorare un maggiore sostegno occidentale alle forze ucraine.
“Non ci servono solo le espressioni di solidarietà che abbiamo ricevuto. […] Ma con tutto il rispetto, queste dichiarazioni non ci aiuteranno molto", ha detto Melnyk, considerando che le armi consegnate, in particolare dagli Stati Uniti (missili controcarro Javelin, per esempio) non sarebbero sufficienti per arginare un eventuale attacco russo.
“Dobbiamo modernizzare l'esercito ucraino. Abbiamo bisogno di sistemi d'arma all'avanguardia per rafforzare le nostre difese", ha detto l'ambasciatore. Ma soprattutto, ciò che più conta per Kiev è l'adesione alla NATO, che era già stata rifiutata nel 2008.
“È giunto il momento di fare un passo avanti, di invitarci a entrare nell'UE e nella NATO, perché non vogliamo dover mendicare. Non solo sarebbe giusto, ma è anche quello che chiedono i cittadini ucraini”, ha detto anche il presidente ucraino Zelensky su questo argomento in un'intervista pubblicata da Le Figarò.
L’adesione alla NATO e all’Unione Europea è diventata di vitale importanza per l’establishment ucraino, altrimenti si dovranno trovare altre soluzioni.
"O facciamo parte di un'alleanza come la NATO e contribuiamo anche a rendere questa Europa più forte, in modo tale che diventi più sicura di sé, o abbiamo una sola opzione: considerare lo status nucleare”, sentenzia l’ambasciatore Melnyk.
Fino a non molti anni fa l'Ucraina era una potenza nucleare, la terza al mondo per numero di testate (circa 1.700), grazie all'arsenale lasciato dalle Forze Missilistiche sul suo territorio dopo il crollo dell'Unione Sovietica. Dalla sua indipendenza, Kiev rivendicava la proprietà di queste armi, arrivando a rifiutare il Protocollo di Lisbona (del 23 maggio 1992) che, firmato dagli Stati Uniti e da quattro repubbliche ex sovietiche, riconosceva la Russia come unica erede dell’arsenale nucleare della disciolta URSS.
Tuttavia, accettando il Memorandum di Budapest (1994), Kiev accettava di aderire al TNP (Trattato di Non Proliferazione). In cambio l’Ucraina avrebbe avuto dalla Russia (ma anche dagli Stati Uniti, Francia e Regno Unito) ampie garanzie circa la sua integrità territoriale.
Un eventuale ritiro di Kiev dal Trattato porterebbe a gravissime conseguenze diplomatiche nonché costituirebbe una gravissima minaccia per la Russia.
Foto: MoD Ukraine / U.S. DoD