I russi hanno schierato in Siria una forza di caccia intercettori Sukhoi Su-30 per scortare tutti i velivoli impegnati nella Repubblica Araba. La conferma arriva direttamente dal portavoce del ministero della Difesa russo, il generale Igor Konashenkov.
"I nostri caccia scorteranno tutti i bombardieri della Russian Aerospace Force Air Group impegnati in Siria”.
Da rilevare che i russi, nel comunicato ufficiale, parlano del caccia intercettore e non della sua variante ‘M’, che svolge anche il compito di cacciabombardiere di precisione. Dal Cremlino parlano di scorta ai bombardieri, ma ci si chiede contro quali nemici. Sarebbero degni avversari contro gli aerei della coalizione, ma non di certo contro lo Stato islamico che, come sappiamo, al massimo possiede droni commerciali e qualche elicottero (ovviamente trafugato alle truppe lealiste). Appare evidente, quindi, che il nuovo contingente si colloca come una dimostrazione di forza contro la NATO e gli Stati Uniti.
Questi ultimi, come è noto, ritirando la USS Theodore Roosevelt dal Golfo Persico, non dispongono più dei 65 aerei da combattimento che fino alla scorsa settimana, partecipavano ai raid in Siria ed Iraq (restano gli F-16 in Turchia). Una mossa, quella dell’invio dei caccia intercettori russi, che non farà altro che rafforzare il dominio aereo sulla Regione.
Secondo il portavoce del Ministero della Difesa, nelle ultime 24 ore sono state distrutte 25 roccaforti dello Stato Islamico nei pressi del villaggio di Salma, nella provincia di Latakia. Tra venerdì e sabato scorso, i russi hanno effettuato 55 sortite per 53 obiettivi distrutti.
“Russian Aerospace Force Air Group in Syria” al dodici ottobre 2015
La base navale di Tartus, sulla costa mediterranea della Siria è protetta da cinque navi da guerra con in testa l’incrociatore lanciamissili classe Slava, il Moskva. Quest’ultimo, grazie ai suoi 64 missili terra aria S-300 PMU-1/2, ha di fatto imposto una no-fly zone che comprende la maggior parte della Siria, Israele e la zona meridionale della Turchia.
Il Bassel al-Assad International, aeroporto a 20 km sud di Latakia sulla costa mediterranea della Siria collegato al porto principale del paese, dispone di una forza di in grado di colpire i bersagli a terra. I russi dispongono di dodici bombardieri tattici a bassa quota Su-24 Fencer, dodici aerei da attacco al suolo e supporto ravvicinato Su-25 Frogfoot, quattro caccia di quarta generazione avanzata Su-30SM e quindici elicotteri pesanti d’attacco.
Dalla base di al-Hmeimim decollano i Kamov Ka-52 'Alligator'. La base di al-Hmaimim, probabilmente la più fortificata dai russi, è divenuto il principale avamposto per tutti gli attacchi condotti dalle piattaforme Su-34. Da notare che la presenza dei cacciabombardieri, nonostante l’esiguo numero a disposizione, è stata tenuta nascosta fino a pochi giorni fa. Mosca ha in servizio meno di 50 Su-34, ma in Siria potrebbe averne schierati da otto a dodici. La forza aerea è rifornita da dieci tanker. Da sei a dodici caccia intercettori Su-30 sono stati schierati a difesa dei bombardieri.
Gli aeroporti e la base navale di Tartus sono protetti da tre battaglioni (circa 500 uomini) di fanti di Marina. La forza terrestre comprende anche nove carri armati di terza generazione T-90, 35 BTR-82A, svariati pezzi di artiglieria pesante tra cui lanciarazzi multipli e 500 soldati. Probabile la presenza di qualche sistema TOS-1. Tutte le basi sono protette da diversi sistemi terra-aria. Il Bassel al-Assad International è utilizzato dal Cremlino anche per tutte le missioni da ricognizione ed attacco dei droni schierati in territorio siriano. Il perimetro difensivo comprende la base militare di Al-Sanobar, a sette km a nord di Latakia ed il complesso di stoccaggio di Istamo, a tre km in direzione ovest. Complessivamente, Mosca ha in Siria tra i 2000 ed i 2500 soldati.
Certa la presenza, a ridosso delle coste siriane, di almeno un sottomarino d’attacco. Nel mar Caspio, infine, i russi dispongono di una batteria missilistica multipla formata dalla Daghestan, fregata classe “Gepard” e dalle corvette classe Buyan, Grad Sviyazhsk, Uglich e Veliky Ustyug. L'ultima volta che Putin chiese l’autorizzazione per utilizzare le forze armate fuori dai confini nazionali risale ai primi mesi del 2014 durante la crisi Ucraina.
Guerra lampo o di logoramento?
Prima o poi, la situazione si dovrà evolvere. L’arrivo dei caccia intercettori a lungo raggio non può essere visto come game changer del conflitto, ma più come una misura per scoraggiare possibili intrusioni dello spazio aereo, quei possibili “incidenti non intenzionali” paventati dalla Casa Bianca e dal Cremlino.
Considerando l’attuale forza messa in campo dai russi, appare evidente che nel breve termine, la strategia sta funzionando. Alzare il morale delle martoriate truppe siriane, rassicurate dall’orso russo, mai così in forma negli ultimi 25 anni. Prima o poi, però, si arriverà al giro di boa, per evitare quel “pantano” (così come affermato da Obama) in cui potrebbe ritrovarsi Putin. Perché al di là della tecnologia di quarta generazione avanzata, i russi non possono sconfiggere lo Stato islamico dall’aria. Lo hanno capito gli americani, dovrebbero saperlo anche i russi.
Che Putin stia incorrendo nello stesso ciclico errore degli americani?
Tra qualche settimana l’esercito siriano dovrà passare all'offensiva contro i nemici, formati sia dai gruppi ribelli “moderati” che dallo Stato islamico. Ma i russi, adesso, sono costretti a muovere la scacchiera. Quello che vediamo in Siria non è la sintesi dell’esercito russo, ma una piccola proiezione speculare di una forza in riammodernamento, ancora prevalentemente formata da attrezzature e mezzi obsoleti. Putin ha fissato il termine per riarmo completo dell’esercito al 2020 (probabile 2022), ma questo procede comunque a rilento. Di certo, la strategia russa non teneva conto di una guerra in stile americano, per un impegno fuori dagli ex domini sovietici. La Russia, impegnata negli ultimi anni in “piccole schermaglie” , si ritrova invischiata in una guerra civile dentro un paese (potrebbero essere due se l’Iraq inoltrasse richiesta ufficiale) a migliaia di chilometri di distanza dai propri confini. I russi sperano di reprimere dall’aria la rivolta siriana, ma questa è più una speranza che una visione realistica della guerra in atto, per una forza di terra composta da uomini scarsamente addestrati per non parlare dell’aviazione. Basti pensare che l’aviazione di Assad non dispone di velivoli in grado di eseguire missioni notturne (questo però non ha impedito al dittatore di utilizzare gli aerei per attaccare i civili).
Dati alla mano, un’offensiva nelle province di Hama e Homs, potrebbe essere fattibile, ma richiederebbe uno sforzo logistico notevole. Sforzo che i russi non hanno ancora messo in campo. Ed ecco, allora, che Putin potrebbe aver rispolverato la storia per risolvere la crisi siriana: provocare il massimo danno dal cielo imponendo una schiacciante superiorità aerea e costringere le parti ad una resa. Ricordiamo che il Cremlino prevede di chiudere la pratica siriana al massimo in quattro mesi. Le variabili, però, sono troppe. Dall’età delle attrezzature (le piattaforme Su-25/25 volavano già in Afghanistan), alla logistica per un contesto desertico. Basti pensare che la scorsa estate, quando aumentarono i pattugliamenti aerei lungo i confini della NATO, in sole due settimane i russi persero cinque aerei. C’è poi da considerare, infine, la reazione del popolo russo, qualora questa guerra lampo si dovesse tramutare in conflitto di logoramento.
(foto: Sputnik)