Una crisi è un improvviso cambiamento nella vita di una collettività e non è, per sua stessa natura prevedibile, un rischio è invece una eventualità e dunque, ove non prevedibile, quantomeno calcolabile. Per gli effetti di tipo non solo sanitario ma anche politico, sociale, economico e financo culturale, la pandemia da Covid-19 è una crisi che può portare anche ad una rottura del sistema in caso di malagestione.
L’attuale emergenza epidemiologica da Covid-19 ha innescato un dibattito, che ad oggi coinvolge principalmente gli addetti ai lavori, sulla necessità di riformare ovvero rafforzare i meccanismi di protezione civile nazionali trasformandoli in strumenti di vera e propria difesa civile.
Questo perché l’attuale legislazione in materia e, cosa ancora più importante, la prova sul campo, hanno dimostrato che la Protezione Civile può essere adatta a fronteggiare rischi naturali ed antropici che rientrano, per loro fattispecie, all’interno di piani integrati d’intervento; cosa ben diversa è trovarsi di fronte ad una crisi sistemica per la quale l’attuale struttura di Protezione Civile non è adatta.
Nel corso della gestione dell’emergenza è emersa una sostanziale incompatibilità tra il “Metodo Augustus” e l’impatto concreto del virus – a tutti i livelli – sul corpo sociale.
Il “Metodo Augustus”, sviluppato dal Dipartimento di Protezione Civile alla fine degli anni ’90, fa orbitare l’intero meccanismo d’assistenza attorno alle funzioni di supporto rispondenti ad una ben delineata catena di comando che dal livello comunale arriva fino agli organi nazionali. Teoricamente la gestione dell’emergenza, attuabile attraverso il rispetto delle funzioni attribuite a singoli operatori o organi, risponde a criteri di tipo militare; nella pratica la struttura verticistica del sistema di Protezione Civile genera “compartimenti stagni” a causa delle differenze sostanziali tra ciò che sulla carta è previsto in merito alle funzioni, al personale ed agli uffici incaricati e ciò che, al contrario, le realtà periferiche, quelle in “prima linea”, cioè le Amministrazioni comunali e con esse i Centri Operativi Comunali attuano con i mezzi (spesso scarsi) a disposizione.
L’attuale conformazione della Protezione Civile che si basa sulla cooperazione tra apparato politico-amministrativo ed associazioni di volontariato a livello locale per andare a professionalizzarsi salendo nella scala gerarchica, è il frutto di una riflessione a livello più ampio di correnti di pensiero fortemente orientate alla “smilitarizzazione” dell’organizzazione anche per quel che riguarda la terminologia (ad esempio la vecchia Direzione Comando e Controllo – DICOMAC, per l’emergenza Covid-19 è stata sostituita dal Comitato Operativo della Protezione Civile) e che ne hanno impedito la trasformazione in un organo di Difesa Civile Nazionale. Difesa Civile Nazionale che si rende necessaria a maggior ragione ora, nella fase 2 e che diventerà uno strumento essenziale nella gestione della fase 3 quando ai rischi per la salute andranno a sommarsi le tensioni sociali frutto della crisi economica che inevitabilmente ci saranno e che sono state già preannunciate dal Copasir.
Risultano evidenti le connessioni tra la persistenza dell’emergenza epidemiologico-economico-sociale e la sicurezza dello Stato. La Difesa Civile si occupa infatti di questioni d’interesse nazionale ed il suo presupposto è l’esistenza di uno stato di crisi conclamato, cosa ben diversa dal semplice rischio che attiva l’attuale struttura di Protezione Civile.
Come già detto, sull’onda del Covid-19 non è più rimandabile ormai una azione di strutturazione della Difesa Civile Nazionale al fine di disciplinare organicamente e con gli strumenti della legge ordinaria l’intero settore, stabilire in maniera chiara quali siano gli organismi atti ad occuparsi di tale area (istituendo un corpo ad hoc che vada a superare l’attuale Protezione Civile) e chiarire quindi una volta per tutte il rapporto tra Difesa Civile e Protezione Civile in termini di responsabilità, compiti, organi e strutture di comando, ribaltando così una situazione anomala e tutta italiana di Difesa Civile subordinata alla Protezione Civile, la quale dovrebbe invece esserne parte.
Chiaramente lo studio sulle funzioni e la dotazione organica della Difesa Civile spettano agli apparati tecnici ed ai decisori politici, ma è fondamentale che il dibattito in materia esca dalle “stanze dei bottoni” per diventare patrimonio dell’opinione pubblica e che soprattutto coinvolga le strutture istituzionali e volontarie di soccorso, protezione e difesa periferiche (comunali prima di tutto ma anche provinciali) che stanno raccogliendo in questa fase un bagaglio d’esperienze importante per il futuro e per la definizione d’una futura linea condivisa che possa portare, nel medio periodo, ad una maggiore integrazione tra Difesa Civile (tutta da costruire) e Forze Armate.
Foto: ministero della difesa