Il primato internazionale degli Stati Uniti, reduce dal "decennio perduto" della mancata realizzazione del "Pivot to Asia" obamiano, il ritiro dall'Afghanistan e la sfida egemonica lanciata da Russia, Cina ed Iran all'Occidente, è stato messo in discussione. Questo fattore impone agli Stati europei di partecipare più attivamente ai dispositivi di sicurezza e difesa collettivi dell'Alleanza Atlantica nel momento in cui il pericolo ad est si è fatto reale e gli americani guardano con sempre maggiore attenzione all'Indo-Pacifico.
La fine o, comunque, il ridimensionamento strategico di quello che un tempo era definito l'ombrello americano sull'Europa è uno dei temi sui quali il vertice della NATO in programma a Washington per i prossimi giorni dovrà soffermarsi, anche senza discuterne esplicitamente.
L'ex ambasciatore italiano e vicesegretario generale alla NATO, Alessandro Minuto Rizzo, su "Il Foglio" ha spiegato che "ogni anno la NATO deve affrontare significati sempre più ampi del termine 'sicurezza'. Sicurezza non è più un soldato con un fucile in mano, ma vuol dire proteggersi dalla disinformazione, affrontare il tema della resilienza della popolazione, parlare anche di sanità o di cambiamento climatico". Parole che assomigliano molto a quelle del neo-segretario di Stato per gli Esteri del Regno Unito, il laburista David Lammy, che, teorizzando la sua dottrina "realista progressista", ha evidenziato la centralità di temi più ampi, un tempo decisamente lontani dalla sfera militare, nel quadro della sfida per la "sicurezza globale".
La NATO sembrava uno degli ultimi baluardi del mondo della guerra fredda, sconfitta dalla “fine della storia” unipolare. L’atlantismo oggi è tornato, invece, ad essere centrale non solo come valore, ma anche come strumento della politica estera degli Stati occidentali.
L'atlantismo, cioè l'idea secondo cui Europa occidentale e Stati Uniti debbano cooperare per il raggiungimento di obiettivi militari, politici ed economici comuni, in Italia non viene messo in discussione come uno dei pilastri della politica estera, ma, di pari passo, si tende ad interpretare l'appartenenza all'Alleanza Atlantica sempre in termini "passivi".
In ogni vertice NATO i rappresentanti italiani puntano a portare avanti una propria agenda politica con l'obiettivo di sostenere la centralità del cosiddetto "fronte sud" dell'Alleanza, cioè le aree geografiche di Mediterraneo, Nord Africa e Medio Oriente, che, sospinte fuori dai radar euroatlantici - per l'evidente peso che la guerra tra Russia ed Ucraina ha assunto - restano comunque di primaria importanza per la stabilità e la politica di sicurezza italiane.
Ma non si può pretendere che un'Alleanza il cui attore principale, cioè gli USA, ha un baricentro strategico ormai spostato sull'Indo-Pacifico, e che sta fronteggiando la minaccia russa, possa interessarsi assiduamente al "fronte sud" quando chi vi ha interessi di sicurezza diretti sembra non volersi assumere le responsabilità che essere un attore di peso della comunità internazionale comporta.
Se l'attenzione della NATO è spostata sul fianco orientale non è solo perché la Russia ha attaccato l'Ucraina, ma perché chi garantisce la sicurezza della "cortina di ferro" a oriente, cioè Polonia e Stati baltici su tutti, ha deciso di accompagnare le proprie richieste ed esigenze politiche di sicurezza ad un impegno concreto per quanto riguarda le spese militari, dunque per il mantenimento in efficienza delle proprie Forze Armate.
L'Italia è tra i nove Paesi membri della NATO che non raggiungerà, neanche stavolta e comunque non prima del 2028, l'obiettivo minimo di destinare il 2% del proprio pil alla Difesa. E se questo può essere tollerato per le potenze minori, di certo non può essere accettato per una media potenza.
Cercare di "imporre" agli alleati la propria agenda politica senza volersi assumere la responsabilità di contribuire direttamente al rafforzamento del dispositivo di sicurezza collettiva è una scelta quantomeno discutibile. E la questione va ben al di là della partecipazione italiana alle missioni internazionali; anche perché il peacekeeping non è metro di giudizio o classificazione affidabile quando la prospettiva è quella del ritorno al confronto convenzionale tra eserciti e non quella delle operazioni di controguerriglia.
Interpretare l'atlantismo in termini "passivi" significa credere che per la propria sicurezza basti l'ombrello americano. I carri armati che hanno sfondato il confine ucraino il 22 febbraio di due anni fa hanno dimostrato che non è più così.
In uno scenario di questo tipo, agli Stati europei si chiederà conto - a ragion veduta - di quanto e come stanno spendendo per la difesa. Posto che in sede NATO non si fanno processi a nessuno, l'Italia sarà uno degli osservati speciali. Non basta essere contributori importanti nelle operazioni militari della NATO, l'Italia deve spendere di più, meglio e rapidamente se vuole che la sua agenda politico-strategica relativa al "fronte sud" (definizione troppo ampia e che non definisce geograficamente un'area chiara) venga quantomeno presa in considerazione dagli altri membri dell'Alleanza al di là di generiche promesse.
Foto: presidenza del consiglio dei ministri