21 agosto 1984: "Operazione Mar Rosso"

24/02/23

La posa di mine nel Canale di Suez ed in Mar Rosso aveva creato un problema specifico di sicurezza internazionale che, per quanto non sia stato di immediata evidenza per il grande pubblico, aveva un rapporto diretto e riconoscibile anche con le esigenze di sicurezza della Nazione. Per questo, l'Italia non ha potuto restare estranea di fronte ad un avvenimento che, oltre ad avere il carattere di grave ed irresponsabile atto terroristico, di fatto intendeva anche materializzare un preciso impedimento verso la libertà di navigazione da e per il Mediterraneo, elemento fondamentale per una Nazione come l’Italia, con un apparato industriale ed economico marittimi.

Oltre all'importanza della missione sul piano strettamente tecnico-militare, non può certo sfuggire il suo significato politico, in correlazione con le missioni delle FF.AA. italiane in Libano e con il ruolo di presenza svolto dalle unità navali in Sinai. Si tratta di tre eventi che sottolinearono la necessità e la legittimità che una linea politica, pur strettamente e coerentemente difensiva come quella italiana, non possa e non debba essere tradotta sul piano della presenza militare in una semplice attività di frontiera, costretta entro gli angusti limiti delle acque territoriali.

D'altronde la politica della Difesa aveva sin da allora pienamente recepito tale necessità, individuando una specifica missione Interforze che prevedeva per le Forze Armate anche possibili compiti di sicurezza internazionale, di interposizione armistiziale, di garanzia dei diritti umani di gruppi minoritari, di protezione di nostri concittadini all'estero, quale contributo dell'Italia al mantenimento della pace in tutta l'area Mediterranea.

Azioni irresponsabili come quelle del minamento del Mar Rosso, con tutte le ambiguità ed i misteri che le circondarono, rendendo impossibile qualunque previsione ed avallando il timore che possano ripetersi, avevano confermato in modo drammatico l'importanza che invece fin dal tempo di pace deve essere annessa alla guerra di mine ed alla sua importanza nel più ampio contesto della difesa sul mare.

Una guerra quella delle mine, che anche nella concezione delle Marine più avanzate e moderne spesso stenta a ricevere il pieno riconoscimento del respiro strategico che essa può avere, al pari di quella combattuta dalle più importanti unità di superficie o dai sommergibili, e la necessità di disporre costantemente di mezzi di contromisure aggiornati ed efficaci per far fronte alla minaccia delle mine di moderna generazione.

Nel suo ciclo evolutivo, l'arma "mina" ha assunto diversi aspetti che ne hanno determinato, volta per volta, impieghi affatto differenti, in relazione alle diverse caratteristiche e prestazioni offerte.

La mina vera e propria, nel suo significato moderno di arma subacquea, si ebbe solo nel 1810 e fu realizzata dall'americano Robert Fulton. Pur nella sua concezione assai semplice, essa aveva caratteristiche e possibilità simili a quelle delle mine ormeggiate che alcune Marine hanno tutt'ora in dotazione.

Le prime perdite cospicue, dovute alle tecniche di minamento, cominciarono a registrarsi nel corso della guerra civile americana: l'affondamento di 22 navi da guerra e il grave danneggiamento di almeno il doppio di esse sofferto dai Nordisti, determinarono la necessità di uno studio approfondito di tutte le possibili forme di impiego della mina e naturalmente delle contromisure.

Nella Prima Guerra Mondiale i risultati delle azioni di minamento furono superiori ad ogni aspettativa: le perdite complessive, ascritte a tali armi, assommarono a 150 unità militari e mercantili, di cui circa 35 sommergibili, per gli Imperi Centrali; e l'affondamento di un centinaio di navi da guerra e di circa 600 navi mercantili a danno degli Alleati.

Le armi impiegate furono nella maggior parte mine ancorate con sistemi di attivazione a contatto, che ancorché di concezione assai semplice, erano capaci di risultati davvero sorprendenti.

Mentre, fino alla fine degli anni '30, esistevano soltanto mine cosi dette "ad urto" o a "contatto", cioè con un congegno di attivazione che richiedeva l'impatto diretto con la nave e il sommergibile bersaglio, all'inizio della seconda guerra mondiale fecero apparizione le prime mine ad influenza, realizzate dai tedeschi. 

Il loro sistema di attivazione si basava sulla capacità dell'arma di "avvertire" la presenza o il passaggio di uno scafo, mediante la misura delle variazioni da esso indotte sulle condizioni preesistenti dell'ambiente circostante; condizioni che possono essere l'intensità e la direzione del campo magnetico terrestre, influenzato dalla presenza di corpi metallici, oppure del campo acustico e barico che accompagnano sempre in qualche misura ogni sollecitazione dinamica del solido d'acqua.

La mina ad influenza magnetica fu la prima tra le armi di nuova generazione a fare apparizione nell'ultimo conflitto, provocando con i devastanti effetti di cui si mostrò capace, una tale diffusa preoccupazione, da scatenare una frenetica attività di ricerca sulle possibili contromisure.

Il pericolo maggiore era rappresentato dalla possibilità di minamento occulto, con sommergibili ed aerei che la nuova arma, destinata a posarsi sul fondo, consentiva; a ciò si aggiungevano le notevoli difficoltà che comportava la scoperta di questi ordigni, fino al punto che talora non si aveva la minima percezione della posa di interi campi effettuata nottetempo, se non attraverso i loro distruttivi effetti sulle unità che vi si trovavano a transitare.

Fu allora che si ebbe misura del rilievo che tale arma poteva avere non solo in un contesto puramente difensivo, ma anche nell'ambito di un piano strategico di attacco a vasto raggio ed a lungo termine.

L'impressione fu confermata dai fatti poco più tardi, durante la campagna del Pacifico, che vide una intensa e dinamica attività di minamento aereo da parte degli Stati Uniti con oltre 12.000 mine depositate in vicinanza delle coste giapponesi, lungo le principali vie di accesso ai porti; esse provocarono l'affondamento di 1.000.000 di tonnellate di naviglio, oltre a costringere parte della flotta giapponese a rimanere inoperosa ai propri ormeggi per lunghi periodi di tempo.

Si potrebbero ovviamente citare molti altri esempi di come tale tipo di arma abbia assunto nel contesto della moderna guerra sul mare un ruolo di deciso rilievo anche come strumento di attacco, di grande efficacia e flessibilità di impiego, tale da giustificarne le continue ricerche attuali verso un sempre maggiore perfezionamento.

Ma torniamo un attimo brevemente agli accenni fatti sullo sviluppo della mina e della conseguente paritetica ricerca dei mezzi per contrastarla. Come detto, la vera mutazione genetica di tale arma, avvenne alla fine degli anni '30 con la realizzazione della prima mina da fondo ad influenza, magnetica.

La tecnica allora usata contro le mine ad urto dovette essere urgentemente rivista.

La contromisura ideata, e che comportò non poco tempo data la complessità del problema, consistette alla fine nella realizzazione di vari tipi di apparecchiatura elettriche, installate su unità di dragaggio costruite in materiale amagnetico, e in grado di generare a distanza dal mezzo dragante un campo magnetico di caratteristiche simili a quello generato da uno scafo metallico.

Era una significativa evoluzione della tecnica di dragaggio, ma ben presto l'incalzare degli eventi impose nuove ricerche.

Alle mine ad induzione magnetica fecero infatti rapidamente seguito quelle ad influenza acustica e successivamente la comparsa di armi sensibili alla depressione creata sul fondo, per effetto "Venturi", dal transito di una unità navale. Quest'ultime in particolare, si rivelarono al momento praticamente indragabili se non con il ricorso a navi "cavia", con tutte le evidenti controindicazioni dal punto di vista costo/efficacia dell'operazione.

Il contrasto a siffatto genere di armi, mano mano perfezionato con l'aggiunta di congegni a tempo, orientò lo studio, a metà degli anni '50, verso una nuova tecnica di contromisure, indirizzata alla ricerca e individuazione degli ordigni sul fondo, e quindi alla loro distruzione con vari sistemi, piuttosto che alla creazione delle condizioni ambientali per la loro spontanea attivazione.

In pratica, sviluppando le conoscenze nel campo degli ecogoniometri per la ricerca antisommergibile, furono realizzate delle apparecchiature elettroacustiche che lavorando su appropriate frequenze, erano in grado di localizzare la cassa sia delle mine ormeggiate, che di quelle posate sul fondo.

Questa nuova tecnica, detta "cacciamine" e notevolmente perfezionata negli anni a seguire, è quella che ha dato luogo alle realizzazioni più significative e di maggiore efficacia nel campo delle contromisure.

Attualmente è infatti possibile superare gran parte delle difficoltà create anche dalle mine di concezione più avanzata, cosiddette "intelligenti", capaci cioè distinguere attraverso sistemi automatici di analisi e confronto, segnali appartenenti ad un determinato tipo di nave, e di rimanere quindi insensibili a quelli prodotti dai mezzi di contromisure.

Sebbene alcune Marine in particolare la U.S. Navy ritengono che il dragaggio nei confronti delle mine ad influenza attuato con altre tecniche, come ad esempio gli elicotteri, sia tuttora un procedimento efficace e conveniente, tra le Marine Occidentali c'è un generale consenso nel ritenere che il sistema migliore e più affidabile sia quello della "caccia".

Tale concetto implica che le mine debbano essere localizzate, identificate come tali e infine naturalizzate una alla volta.

La Marina Italiana si è indirizzata con notevole anticipo rispetto ad altre marine occidentali, verso la soluzione cacciamine, nella convinzione che la disponibilità di pochi mezzi sicuramente efficaci, facesse premio rispetto a quella di molti mezzi più economici la cui efficacia è però condizionata dalla natura statistica del procedimento adottato, come avviene nel caso del dragaggio convenzionale.

Negli anni '70, la MMI decise l'acquisizione di una componente cacciamine, facendola derivare dalla trasformazione di dragamine costieri, per restringere nel minor tempo possibile e compatibilmente con le risorse, il divario esistente tra le nuove armi e i mezzi di contromisure allora disponibili.

La linea raggiunse la consistenza di 7 cacciamine derivati dalla trasformazione di altrettanti dragamine, che rappresentano il tramite naturale tra i sistemi convenzionali di CMM (ControMisure Mine) e le nuove tecniche di cacciamine adottate ora estensivamente sulle unità di nuova generazione.

Ai 4 cacciamine classe "Lerici" iniziali sono seguiti poi nell'arco di circa un quinquennio altre 8 unità leggermente modificate (classe "Gaeta") per un totale della linea tale che, pur ancora lontano dagli obiettivi ottimali, costituisce pur sempre un'aliquota di mezzi sufficienti ad assicurare l'assolvimento dei compiti essenziali nel settore.

Le ridotte dimensioni della nave, l'elevata resistenza allo schock, dovuti alla realizzazione dello scafo in vetroresina rinforzata insieme a soluzioni tecniche che consentono il massimo isolamento dei macchinari, la dotazione di sistemi di navigazione di elevata precisione, le caratteristiche operative generali, ne fanno un mezzo di notevole efficacia, e che ha suscitato come è noto, anche l'interesse di numeroso Marine straniere.

Con le nuove unità (in programma, ndr) la Marina Italiana disporrà di uno dei mezzi di concezione più avanzata attualmente esistenti, e dotati delle soluzioni tecniche capaci di far fronte non solo alla minaccia posta dalla maggior parte delle mine di nuova generazione ma anche alle nuove esigenze di sorveglianza e supporto alle insorte diverse nuove attività subacquee quali ad esempio la sorveglianza dei gasdotti.

Sintesi delle attività svolte

Dopo questa rapida panoramica mirata ad inquadrare gli aspetti più importanti del problema segue ora una sintesi dell'operazione del Mar Rosso.

Non vi sono dubbi sulla particolare importanza di questa missione, vi sono ragioni di carattere operativo, particolarmente per quanto essa ha consentito di rilevare e di migliorare sul piano della preparazione professionale, delle capacità degli uomini, dell'idoneità e delle oggettive possibilità dei mezzi; vi sono poi motivi, come accennato in premessa, che si ricollegano al problema degli indirizzi e della concezione stessa della difesa, che la missione ha riproposto chiamando a determinazioni molto significative sul piano dei principi più generali.

La situazione in cui gli uomini ed i mezzi erano chiamati a lavorare non era esattamente quella in cui generalmente si svolgono le missioni di addestramento che, per quanto attuate in condizioni sempre molto impegnative, risentono inevitabilmente dei limiti della simulazione e dell'artificio.

Le condizioni oggettive di impiego erano particolarmente difficili, per molti motivi:

  • la distanza delle zone assegnate da una base capace di assicurare un adeguato supporto tecnico e logistico e la conseguente necessità di provvedervi con una unità di appoggio non espressamente attrezzata allo scopo;
  • le condizioni climatiche ed ambientali molto diverse da quelle alle quali gli operatori subacquei e gli equipaggi sono usi ad operare;
  • i ritmi di lavoro necessariamente molto intensi per l'urgenza del compito, concretatisi in ultimo in 42 giorni ininterrotti di ricerca, dalle prime luci dell'alba al tramonto.
  • Non trascurabile il fatto poi, che per la prima volta in tanti anni gli uomini erano chiamati ad operare in una situazione effettivamente rischiosa oltre che tecnicamente difficile, ed a rispondere di un impegno decisivo per la sicurezza della navigazione, impegno assunto nei confronti di una nazione straniera e che si svolgeva sotto gli occhi attenti di tanta parte del mondo.

L'operazione Mar Rosso è stata quindi per la MMI un banco di prova di grande utilità, che ha consentito il preciso riscontro, in un contesto reale, dell'ottimo livello di preparazione tecnica e professionale degli uomini, offrendo altresì una opportunità per l'accertamento in concreto della validità e della efficacia dei mezzi, dimostrandone in ultimo la totale idoneità a conferma della validità delle scelte effettuate.

Alcune considerazioni riguardano le indicazioni di politica di difesa che emergono dalla missione.

Il Mediterraneo ha visto, negli ultimi 50 anni, la crescita di Paesi di nuova indipendenza e di non trascurabile peso politico, rispetto ai quali l'Italia si è costantemente impegnata in una volontà di amicizia e cooperazione, di aiuti e di scambi economici, di pacifica convivenza in situazioni di parità e di rispetto.

Non vi è dunque altro diretto interesse dell'Italia nel Mediterraneo che quello di garantirvi una condizione di stabilità necessaria a sostenere la sua vita economica, strettamente legata come è noto, alla possibilità di ricevere via mare l'indispensabile flusso di materie prime.

Per questo, la libertà di navigazione in Mediterraneo e lungo le sue vie di accesso, oltre che di principio di valore assoluto, è un requisito fondamentale, che porta a dover escludere a priori l'ammissibilità di qualsiasi tentativo di porvi delle limitazioni.

In questa occasione la MMI è stata appunto chiamata a fronteggiare tale eventualità come ad un suo compito istituzionale.

Non è infatti possibile ignorare il pericolo immediato che fatti come quello del Mar Rosso pongono all'Italia, e la minaccia derivante da situazioni di crisi o conflitti locali in Mediterraneo; ecco perché una eventuale decisione di non partecipare ad operazioni pacifiche di contenimento, intese ad evitare che un semplice contenzioso locale possa innescare la spirale di un confronto di più ampie dimensioni, potrebbe risultare in netto contrasto con gli interessi nazionali.

È sotto questa spinta che è nata e si è svolta la missione del Mar Rosso, missione alla quale il Governo ha voluto giustamente attribuire carattere esclusivo di bilateralità, come fatto di sicurezza nazionale e sostegno dell'Italia verso una nazione amica; questo intendimento non sarebbe emerso con altrettanta evidenza qualora si fosse ricorso ad una soluzione in consorzio con altri paesi, o all'istituzione di consultazioni militari multilaterali, che avrebbero potuto oltretutto alimentare il sospetto, ventilato da alcune parti, che l'operazione di bonifica potesse mascherare scopi diversi attribuibili a questa o a quella potenza.

I cacciamine italiani non hanno pertanto costituito una forza integrata con i mezzi delle altre nazioni, ma hanno operato sotto diretto controllo nazionale, riferendo, per il solo coordinamento operativo in zona, al comando egiziano di Adabya.

La missione ha visto impegnate le unità di CMM per 59 giorni, di cui 42 trascorsi nelle zone di operazioni.

È stata esplorata in totale un'area di 124 miglia quadrate (circa 285 Km2).

Sono stati localizzati 483 contatti, di cui 236 investigati e classificati come "non mine"

Per assolvere la missione le unità hanno effettuato in totale 2.485 ore di moto e percorso 15.644 miglia.(circa 30 mila Km)

Le unità hanno risposto pienamente al compito assegnato.

Pur trattandosi di scafi vetusti, operanti in severe condizioni ambientali, si sono verificate soltanto avarie di lievissima entità, peraltro prontamente riparate con i mezzi di bordo e che non hanno inciso sull'assolvimento della missione.

Gli equipaggi sono stati duramente impegnati nella condotta delle operazioni, protrattesi praticamente senza interruzione per ben 42 giorni in condizioni climatiche per essi inconsuete.

Complessivamente sono stati impegnati 305 uomini, di cui 32 Ufficiali, 128 Sottufficiali, 140 marinai e 5 civili.

SVILUPPO DELLA DELLA MISSIONE

Nel corso della descrizione della missione verranno esaminati brevemente i presupposti dell'operazione con riferimento alla varie fasi delle trattative preliminari con il Governo egiziano.

Dopo una sintetica descrizione delle caratteristiche delle unità partecipanti, verrà illustrato lo svolgimento delle operazioni nelle tre aree assegnate, Baia di Suez, Golfo di Suez e Laghi Amari tra loro sensibilmente differenziati sotto l'aspetto delle condizioni ambientali e quindi anche dal punto di vista operativo.

A conclusione una sintesi dell'attività svolta e l'esame degli insegnamenti tratti e l'analisi della missione.

Azioni preliminari

A seguito della serie di esplosioni subacquee verificatesi nel Mar Rosso a partire dai primi di luglio e della conseguente richiesta egiziana di un intervento di unità di contromisure mine della M.M.I., il giorno 13 agosto venne inviata al Cairo una commissione di esperti composta da rappresentanti dello S.M.M. per acquisire gli elementi necessari alla pianificazione dell'eventuale intervento italiano a definirne le modalità esecutive.

Nel corso della prima riunione, tenutasi il 14 agosto, le autorità egiziane illustrarono i criteri di suddivisione delle zone di lavoro, di massima già concordate con i rappresentanti delle nazioni interessate per le forze di CMM degli Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Tali zone erano disposte lungo le rotte di transito del Golfo di Suez e per il loro sminamento era previsto l'impiego a nord di forze della Gran Bretagna, al centro degli Stati Uniti, ed a sud della Francia.

Alla delegazione Italiana venne proposta per le operazioni delle nostre unità, una zona del Golfo compresa fra quella Inglese e quella Statunitense.

La scelta dell'area non sembrò molto appropriata e la delegazione espresse le sue perplessità basate essenzialmente sulla irrilevante probabilità che nella zona assegnata fossero presenti delle mine, considerata l'assenza di incidenti sino allora verificatisi a fronte di un rilevante numero di transiti di unità mercantili, inoltre gli elevati fondali del tratto di golfo assegnato (compresi fra 55 e 70 metri) anche nel poco probabile caso di presenza di mine ne avrebbero limitato di molto la pericolosità.

Fu osservato infine che la distanza della zona dal più vicino porto (minimo trenta miglia) avrebbe comportato rilevanti perdite di tempo per i trasferimenti e difficoltà di carattere logistico.

La delegazione rappresentò pertanto alle autorità egiziane la opportunità di concentrare tutti gli sforzi di CMM nelle zone già interessate dalle esplosioni (Baia di Suez, stretto di Jubal) e di esaminare la possibilità di assegnare alle unità cacciamine italiane una di queste zone prossima a Suez.

Alla luce di queste argomentazioni, nel corso di una seconda riunione tenuta il 16 agosto, le autorità egiziane riconsiderarono le assegnazioni effettuate ed accettarono le proposte informandosi al criterio suggerito di intervenire prioritariamente nelle aree in cui si erano verificate le esplosioni e successivamente nelle altre.

In questa nuova ottica furono confermate le assegnazioni delle zone originarie agli USA e Francia, modificata leggermente l'area assegnata alla Gran Bretagna ed assegnate all'Italia le zone del Grande Lago Amaro e della Baia di Suez come prima priorità, ed, in seconda priorità, una zona di circa 18 mg. X 3,5 mg. compresa tra la zona inglese e quella USA

Gli egiziani infine riservarono alle proprie forze le acque del Mediterraneo antistanti Porto Said.

La delegazione, prendendo atto di quanto proposto, rappresentò nel contempo alle autorità egiziane i criteri a cui si sarebbe informato l'intervento italiano, e più precisamente:

  • autonomia di comando e controllo e coordinamento dell'attività a cura delle autorità egiziane sulla base di contatti bilaterali e
  • piena discrezionalità nazionale circa i modi ed i tempi di impiego delle forze con particolare riguardo agli eventuali interventi degli operatori subacquei per operazioni di controminamento.

In merito all'andamento dei colloqui, è da osservare che nel corso di entrambe le riunioni era emersa da parte egiziana una ampia disponibilità ad accettare suggerimenti e proposte degli "esperti" delle altre nazioni circa le possibili soluzioni del problema dello sminamento del Golfo di Suez e del Mar Rosso.

Questa situazione aveva ovviamente privilegiato gli interlocutori esteri che per primi avevano avuto l'opportunità di discutere con le autorità egiziane le modalità dei propri interventi.

Ciononostante, la zona della Baia di Suez proposta nel corso dell'ultima riunione per lo svolgimento delle operazioni di contromisure mine dell'unità italiane, offriva numerosi vantaggi quali:

  • la vicinanza alla base navale di Adabiya
  • i fondali di non elevata profondità
  • l'importanza politico/strategica connessa alla sua incidenza sull'accesso sud al Canale

La zona di seconda priorità, pur essendo distante circa 50 miglia da Suez, molto probabilmente non minata e con fondali di 50 60 metri, offriva il vantaggio delle limitate dimensioni con conseguente prevedibile modesto impegno temporale per la sua esplorazione.

Forze partecipanti

A seguito delle risultanze dei predetti colloqui il Governo Italiano decise di fornire il concorso richiesto per lo sminamento del Mar Rosso, e conseguentemente il giorno 21 agosto venne costituito il 14° gruppo navale formato dalla nave appoggio Cavezzale e dai cacciamine costieri Frassino, Castagno e Loto, ed assegnato alle dipendenze dirette dello stato maggiore Marina.

Per quanto riguarda le caratteristiche dei tre cacciamine, si tratta di piccole unità in legno di circa 400 tonnellate di dislocamento, lunghe 40 metri, con equipaggio standard di 41 unità, incrementato a 45 per l'esigenza specifica.

Le unità costruite intorno al 1955 prestarono lungo servizio come Dragamine costieri finché negli anni '70 non venne decisa la loro trasformazione in cacciamine

L a M.M.I. si trovava in quel periodo a dover fronteggiare una sensibile evoluzione della minaccia derivante dagli sviluppi realizzati nel campo delle mine marine e contro la quale soltanto le nuove tecniche di caccia alle mine potevano fornire una adeguata risposta.

Per acquisire la indispensabile esperienza nel settore e quale necessaria fase di transizione verso i nuovi cacciamine in vetroresina tipo "Lerici", lo S.M.M. decise di procedere alla trasformazione di sette dragamine fra i quali tre interessati alla missione in Mar Rosso.

Sbarcate tutte le apparecchiatura per il dragaggio ad influenza, i dragamine furono dotati di un propulsore ausiliario costituito da un'elica intubata, orientabile e retrattile, sistemata nella zona di centro/poppa, in grado di assicurare la necessaria silenziosità e manovrabilità dell'unità nei pressi delle mine.

Venne quindi installato il sistema per la caccia alle mine, facente capo ad una centrale operativa e destinato ad assolvere le funzioni di localizzazione, identificazione e neutralizzazione delle mine.

Le apparecchiatura principali associate alle tre funzioni sono (per la ricerca e la localizzazione):

un sistema di radionavigazione di precisione e tracciamento automatico e un radar di precisione anch'esso associato al sistema di tracciamento automatico

un ecogoniometro a profondità variabile per le funzioni identificazione e neutralizzazione

un nucleo di 6 operatori subacquei con battello pneumatico attrezzato al trasporto e rilascio di cariche esplosive di controminamento

una televisione subacquea semovente e filoguidata.

Un cenno particolare è opportuno venga dedicato alla preparazione logistica della missione.

I cacciamine sono infatti configurati per operare nelle acque costiere metropolitane e pertanto, prospettandosi una dislocazione di durata incerta, in una zona operativa molto distante dalle loro basi di adeguato supporto tecnico-logistico, si rese necessario attuare alcune misure che garantissero alle unità la possibilità di esprimere con continuità la loro potenzialità operativa.

Nei modesti limiti temporali concessi per l'approntamento delle unità, furono effettuate manutenzioni straordinarie ai motori ed alle apparecchiature di bordo; vennero incrementate le scorte di pezzi di rispetto ed integrato il personale di bordo con alcuni Ufficiali e Sottufficiali specialisti.

Ma soprattutto, venne deciso di inserire nel gruppo operativo la nave appoggio Cavezzale con compiti di unità comando e supporto.

Tale unità aveva già operato con compiti analoghi nel corso di esercitazioni della NATO, in occasione di impiego delle unità CMM in Turchia, Grecia e nel Mediterraneo occidentale, e pertanto la filosofia del gruppo d'impiego tattico di CMM era ben nota.

Sul Cavezzale trovarono posto il comando e lo staff del 14° gruppo navale, un nucleo di tecnici specialisti degli apparati di CMM, ulteriori scorte di materiale e, ove possibile, di interi apparati di rispetto, personale subacqueo aggiuntivo e personale sanitario; in breve tutto quello che si reputava necessario per dare completa autonomia tecnica e logistica alle unità.

SVOLGIMENTO DELLE OPERAZIONI

Sintesi degli avvenimenti

Le unità del 14° gruppo navale hanno lasciato La Spezia il mattino del 22 agosto arrivando a Porto Said la sera del 28 agosto.

Il trasferimento non è stato caratterizzato da eventi di rilievo; il tempo si è mantenuto mediamente buono a meno di un paio di giorni di mare molto mosso e di forte vento contrario che consigliarono di rallentare la navigazione dei cacciamine, essendovi peraltro sufficiente margine di tempo per l'arrivo a Porto Said in tempo utile per aggregarsi al secondo dei due convogli programmati per l'attraversamento del Canale nella nottata.

Il modesto ritardo allarmò però i nostri giornalisti, in attesa sin dal primo pomeriggio a Porto Said ed impazienti di spedire i loro servizi.

Il fatto, considerata la naturale tendenza della stampa alla caccia di eventi sensazionali aveva generato una serie di ipotesi abbastanza drammatiche.

Per soddisfate l'attenzione che gli organi di informazione riservavano alla missione, fù predisposta una conferenza stampa a bordo del Cavezzale alla fonda in un area di attesa prima della costituzione del convoglio.

Per problemi doganali però non fu concesso ai giornalisti l'imbarco con le conseguenze intuibili sul loro umore, fu pertanto organizzata una rapida conferenza stampa a terra alle tre di notte, approfittando delle poche ore a disposizione prima della formazione e partenza del convoglio, per tranquillizzare gli animi e fugare ogni possibile dubbio e perplessità sull'efficienza delle navi.

Superato il difficile scoglio delle "public relations", le unità transitarono il canale di Suez come programmato il 29 agosto ed arrivarono nella base navale di Adabiya la sera dello stesso giorno.

Sulla base dei contatti iniziali con il comando navale egiziano responsabile di tutta l'operazione fu approntato il programma della attività tenendo conto delle differenti condizioni ambientali presenti nelle tre aree operative assegnate.

Più in particolare, gli elementi presi in considerazione per la pianificazione furono:

- orografia e accessibilità alla costa prospiciente la zona di operazioni per accertare la possibilità di impiego del sistema di navigazione primario che utilizza come detto tre trasponder collocati sulla costa, oppure del sistema secondario costituito dal radar e da particolari boe di segnalazione in dotazione ai cacciamine,

- andamento dei fondali e visibilità sul fondo per determinare il più idoneo mezzo di investigazione dei contatti (operatore subacqueo o TV filo-guidata),

- prevalenti condizioni meteorologiche per determinare la migliore tecnica di ricerca,

- andamento del traffico mercantile e conseguente disponibilità di zone da esplorare, per determinare il tasso di impiego delle unità e il conseguente loro ciclo di manutenzioni.

Il mattino del 31 agosto presero l'avvio le operazioni nella zona di maggiore priorità, la Baia di Suez.

La baia è circoscritta da coste agevolmente accessibili via mare e via terra con punti di coordinate geografiche facilmente rilevabili e ciò rendeva possibile impiegare il sistema di radio navigazione principale.

I fondali, di natura abbastanza consistente variano fra gli 8 ed i 35 metri con una visibilità sul fondo fra 1 e 5 metri. In tali condizioni le operazioni di investigazione dei contatti possono essere effettuate sia dagli operatori subacquei che con l'uso della TV filo-guidata.

Le condizioni meteorologiche si presentavano statisticamente favorevoli.

Il traffico mercantile intenso con ingressi e uscita delle navi dalla baia distribuiti lungo l'arco delle 24 ore e con necessità di istradamenti particolari per gli spostamenti nelle zone di fonda delle aree di attesa, comportava difficoltà nel mantenere sgombre ampie aree per le nostre operazioni e limitava il tasso di impiego delle unità CMM.

Avendo posto la base logistica ad Adabiya, le unità hanno condotto le operazioni di CMM nella baia di Suez dal 31 agosto al 17 settembre.

In media sono state impiegate giornalmente due unità dalle 0800 alle 1.800, mentre la terza sostava in porto per manutenzioni.

Gli unici problemi si sono avuti nel coordinare l'attività delle unità di CMM con l'intenso traffico mercantile.

Complessivamente è stata esplorata un'area di circa 30 miglia quadrate conseguendo una percentuale di bonifica del 96%, e sono stati investigati 205 contatti.

Il giorno 18 settembre, ultimate le operazioni nella baia di Suez, le unità si trasferirono da Adabiya al Grande Lago Amaro, area circoscritta da coste accessibili sia via mare sia via terra con punti cospicui di coordinate facilmente rilevabili.

A nche qui è stato quindi possibile impiegare il sistema di navigazione principale.

I fondali varianti fra 8 e 18 metri si prestavano molto bene all'impiego dei subacquei, un po' meno a quello della TV filo-guidata a causa della scarsa visibilità sul fondo (0-2 metri). Le operazioni di investigazione erano agevolate anche dal persistere delle ottime condizioni meteorologiche.

Il traffico mercantile, che si presentava particolarmente intenso, era però regolamentato con molta precisione; ciò a ridotto sensibilmente i problemi di coordinamento ed è stato possibile operare giornalmente su aree molto ampie incrementando il tasso d'impiego delle unità.

Le operazioni nel Grande Lago Amaro iniziate il 19 settembre, furono interrotte la sera del 20, dopo che era stata esplorata il 45% dell'area, a seguito della richiesta egiziana di intervenire urgentemente nell'area di seconda priorità nel Golfo di Suez. Era stata infatti registrata una ulteriore esplosione nella parte centrale del Golfo, assegnata agli inglesi ed il fatto aveva riacceso le preoccupazioni generali e allarmato particolarmente le autorità egiziane.

Il Gruppo navale si trasferì quindi a sud il 21 settembre nella nuova area caratterizzata da condizioni ambientali del tutto diverse da quelle fino allora incontrate.

Il Golfo di Suez è fiancheggiato da linee di costa lontane dalla zona di operazioni, difficilmente accessibili o, addirittura, inaccessibili per i campi minati terrestri ancora esistenti della guerra del Kippur, con pochi punti cospicui di coordinate geografiche difficilmente rilevabili.

Ciò rese necessario impiegare il sistema di navigazione secondario, il radar, al quale però erano associati margini di errore più ampi.

Non era inoltre possibile impiegare i sommozzatori per investigare i contatti a causa dei fondali elevati inoltre le condizioni meteorologiche particolarmente avverse, rendevano difficoltose le operazioni di ricerca e molto spesso impedivano anche l'impiego della TV filo-guidata.

Il traffico mercantile non si presentava particolarmente intenso, o meglio era alquanto diradato sia nel tempo che nello spazio, e non poneva alcuna limitazione all'impiego dei cacciamine che hanno p otuto quindi operare con un elevato tasso di utilizzazione.

Sintomatico delle particolari e prolungate condizioni meteorologiche avverse, è il fatto che per poter investigare solo due contatti (quelli di più elevata "confidenza") le unità cacciamine hanno dovuto sostare alla fonda in attesa di un miglioramento delle condimeteo per ben 5 giorni, avendo precedentemente già operato per altri 5 giorni con mare forza 3/4 e vento 25/30 nodi.

In questa zona, come già detto, i movimenti di unità mercantili non hanno in alcun modo interferito con la regolarità delle operazioni di CMM in quanto i percorsi dei cacciamine nelle zone assegnate erano paralleli alle correnti di traffico.

In detta area le operazioni si sono protratte dal 23 settembre al 3 ottobre impiegando giornalmente tutte le unità dall'alba al tramonto.

È stata esplorata un'area di 75 miglia quadrate con percentuale di bonifica pari all'84% localizzando complessivamente 100 contatti. La loro classificazione è stata ostacolata dagli alti fondali, maggiori di 54 metri, che non hanno permesso impiego degli operatori subacquei e dalle avverse condizioni meteo, che hanno limitato sensibilmente l'impiego dei sistemi televisivi.

Di conseguenza sono stati identificati, come già detto, solo i due contatti ritenuti più pericolosi.

Tutti i rimanenti contatti sono stati segnati su carte nautiche consegnate alle autorità egiziane al termine delle operazioni.

Ultimate le operazioni le unità lasciarono la zona il 3 ottobre dirigendo per Adabiya per rifornimenti e riposo equipaggi.

Il giorno 5 ottobre le unità si trasferirono da Adabiya al Grande Lago per completare le operazioni interrotte precedentemente.

Le condizioni ambientali particolarmente favorevoli, bassi fondali e mare calmo, permisero un agevole e rapido espletamento del compito, ultimato il 7 ottobre.

In questa arca sono stati investigati in totale 40 contatti.

Dal Grande Lago Amaro le unità si trasferirono ad Ismalia dove effettuarono uno scalo tecnico sino al mattino del 10 ottobre, data in cui iniziarono il trasferimento per l'Italia conclusosi a La Spezia il mattino del 19 ottobre.

ANALISI DELLA MISSIONE, CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE ED INSEGNAMENTI TRATTI

Prima di iniziare l'esame dei fatti, è opportuna una ulteriore precisazione sulle multiformi possibilità di impiego dell'arma "mina".

È essenziale ribadire il concetto della sua estrema flessibilità e della capacità di quest'arma di essere utilizzata, meglio di ogni altra, quale strumento di pressione facilmente graduabile e di poter essere impiegata in questa forma anche da chi ne possieda solo un limitato numero e non sia dotato di mezzi di posa specificatamente dedicati a questa finalità.

Così di fatto avvenne nel Mar Rosso, dove la Libia, per aumentare le sue continue pressioni esercitate nelle più diverse forme sul governo egiziano, utilizzando una nave mercantile (il RoRo Ghat), su cui aveva imbarcato del personale militare, realizzò la posa di un imprecisato numero di mine nel Golfo di Suez.

Le armi utilizzate, come è stato possibile accertare in seguito dopo il ritrovamento ed il recupero di una di esse, erano di costruzione sovietica, moderne e dotate di congegni sofisticati ma armate solo con una parte della carica di esplosivo prevista (100 kg anziché 600 kg).

L'ipotesi più attendibile sulla finalità di quella operazione è di considerarla un primo pesante avvertimento sulla possibilità di realizzare il blocco totale del traffico attraverso Suez con le ovvie conseguenze immediate sulla economia della zona, di cui la Compagnia del Canale è uno dei pilastri, e, a breve e medio termine, sulla economia dei paesi europei e occidentali in genere.

Per meglio valutare, inoltre, i risultati conseguiti dalle forze intervenute per la bonifica è essenziale evidenziare come le operazioni di sminamento o meglio di Contromisure Mine (CMM), hanno essenzialmente la finalità di assicurare al naviglio militare e mercantile il libero transito lungo le linee di comunicazione marittime e lungo le rotte di accesso ai porti e conseguono il risultato prefissato quando al termine dell'attività può essere assicurato che nelle zone interessate non esistono mine o perché quelle posate sono state tutte neutralizzate o perché è stato accertato che, di fatto, non ne è presente alcuna.

Questa seconda possibilità, che non va mai sottovalutata, è direttamente connessa alla già citata flessibilità della mina che ne consente il suo utilizzo anche e soprattutto come arma psicologica.

La sola dichiarazione di aver posato un campo minato da parte di una nazione che ne ha la presunta capacità costituisce di fatto una minaccia reale, e quindi da eliminare.

Ciò premesso è opportuno esaminare alcuni degli elementi di interesse mai analizzati approfonditamente nel periodo in cui i "mass media" diedero maggior risalto agli eventi in esame e, più precisante:

  • le presumibili motivazioni che spinsero i quattro governi interpellati dalle autorità egiziane a decidere l'intervento delle proprie forze di CMM in Mar Rosso;
  • i diversi tempi e le diverse modalità di intervento;
  • i criteri di assegnazione delle zone di operazione da parte delle autorità egiziane alle Marine intervenute.

I tre elementi sopra citati sono ovviamente strettamente interdipendenti tra loro incidendo le motivazioni sulla rapidità d'intervento e sulle modalità di esecuzione; la capacità di intervenire tempestivamente, nonché i mezzi prescelti per l'intervento, sui criteri di assegnazione delle zone di operazione.

Conoscendo anche solo superficialmente gli atteggiamento e i comportamenti delle diverse classi politiche dei paesi interessati è quasi consequenziale ipotizzare le presumibili motivazioni di intervento:

per la Francia si è trattato di non mancare ad una manifestazione da "grande potenza" e soprattutto i supportare a sua attività promozionale nel campo delle costruzioni navali militari in un'area di notevole interesse commerciale;

per la Gran Bretagna, che già aveva le sue unità di CMM dislocate in Mediterraneo con un occhio attento a possibili minacce di minamento nello stretto di Ormuz, si è trattato di una pura e semplice operazione militare;

per gli Stati Uniti si è trattato di un obbligo assolto con lo spirito di una esercitazione di prontezza operativa (denominata “Quick Look”); utilizzando tra l'altro mezzi, quali gli elicotteri, sicuramente idonei ad un rapido ridislocamento in qualunque area (anche se in fase esecutiva sorsero gravi problemi logistici risolti grazie alle enormi disponibilità della USN) ma altrettanto sicuramente poco idonei a portare a termine un'effettiva operazione di bonifica considerato che le loro capacità consentono esclusivamente una rapida ricerca a spese di una efficace e sistematica investigazione dell'area assegnata;

per l'Italia si è trattato di una travagliata scelta politica, da un lato ostacolata dalle critiche in buona e malafede di chi in generale non conosceva in termini reali i fattori operativi del problema, e dall'altra sollecitata dal nuovo "ampio respiro" dato alla politica Mediterranea e Medio Orientale dell'Italia e dalla velata speranza di ripetere all'interno i "fasti giornalistici" della missione in Libano.

Dal punto di vista tecnico-operativo l’operazione ha invece costituito un encomiabile sforzo organizzativo della Marina Militare Italiana (MMI), non tanto per la distanza dell'intervento dalle basi metropolitane quanto per tutte le incognite legate all'incertezza della sua durata alle scarse conoscenze della situazione ambientale ed all’affidabilità dei mezzi, mai provata in un impegno così prolungato.

A proposito di quest'ultimo aspetto va inoltre notato come, per la farsesca diatriba dell'apertura del ponte sul fiume Magra, anch'essa essenzialmente di natura politica, la MMI anziché poter utilizzare i nuovi cacciamine classe Lerici fu obbligata ad inviare 3 vecchi dragamine costruiti nel 1955 e trasformali in cacciamine negli anni '70 che peraltro, ad onore dei loro equipaggi, si comportarono più che egregiamente.

In conseguenza dei tempi di reazione sopra accennati i cacciamine inglesi e gli elicotteri Usa furono i primi ad intervenire seguiti rapidamente dai francesi e, quindi, dagli italiani.

Più che la data di arrivo nella zona di operazione per l'Italia è stato determinante essere l’ultima a decidere l'intervento e quindi avviare dopo tutti gli altri le trattative col governo Egiziano.

Arrivare al tavolo delle trattative per la suddivisione dei compiti e l'assegnazione delle aree di responsabilità a cose in pratica già concordate con gli altri partecipanti, alcuni dei quali tra l'altro in mare con le loro forze operanti, ha significato per la delegazione italiana affrontare l'arduo compito di sottrarre ad altri parte delle zone più significative sia dal punto di vista della reale necessità di sminamento (ad esempio nei Golfo di Suez esistono tratti di mare in cui la presenza di mine non costituirebbe un reale pericolo per la profondità dei fondali) sia, più in generale, da un punto di vista politico e strategico (ad esempio non tutte le aree costituivano passaggi obbligati o avevano significativa rilevanza).

L’alternativa sarebbe altrimenti stata di limitare la partecipazione italiana alla sola presenza formale "per mostrare bandiera" rendendo, tra l'altro, in tal modo valide alcune delle critiche della vigilia.

Per completare il quadro della situazione è opportuno sottolineare come ad atteggiamenti temporeggiatori italiani, da un lato, facessero riscontro, dall’altro, dichiarazioni di disponibilità, sin dall'insorgere dell'emergenza, da parte dei governo Olandese per inviare proprie unità di CMM in Mar Rosso e contemporanee pressioni sul governo Egiziano per essere invitato a partecipare alla missione assieme alle altre quattro nazioni (o al posto di qualcuna di esse).

Da un esame dei dati resi noti dalle nazioni partecipanti alla missione in Mar Rosso emergono due diverse categorie di risultati legati, tra l'altro, alle caratteristiche delle aree di operazione.

La prima riguarda i cacciamine inglesi ed italiani che hanno portato a termine un’operazione di bonifica sistematica realizzando di fatto qualcosa di molto simile ad una mappa del fondo marino con l’indicazione di tutti gli oggetti presenti (parecchie centinaia) della più svariata natura .

In questo tipo di operazione i cacciamine italiani accertarono l’assenza di mine dall’area loro assegnata mentre i cacciamine inglesi ebbero la fortuna (!) di individuare l’unica mina correlabile alla posa effettuata dalla Ghat (foto).

Per contro, nella zona assegnata ai cacciamine inglesi, nella parte più meridionale non ancora bonificata, ebbe luogo l’unica esplosione avvenuta nella intera operazione.

Questi due eventi stanno a significare come le due aree, italiana ed inglese, immediatamente a sud del porto di Suez erano di fatto, oltre che strategicamente importanti, le due aree più significative dal punto di vista operativo ed a confermare quindi la corretta intuizione della delegazione italiana che pretese più che concordare l’assegnazione di quel tratto di mare.

La seconda categoria di risultati riguarda:

gli elicotteri USA che, di fatto effettuarono una rapida esplorazione di un'ampia zona di mare lungo le due direttrici di traffico nella parte meridionale dei Golfo di Suez senza conseguire risultati significativi;

i cacciamine francesi che, in prossimità dello stretto di Gubal di fronte al porto di Hurgada, tra l'altro al di fuori delle principali direttrici di traffico, ritrovarono un certo numero di vecchie mine risalenti ad uno dei confronti arabo-israeliani.

Diverso è stato quindi sia lo spirito con cui la missione in Mar Rosso è stata affrontata. sia i risultati conseguiti dalle singole forze partecipanti, fondamentale è stato comunque il risultato globale.

Forse per la prima volta si è verificata una pronta, efficace e coordinata risposta delle nazioni occidentali di fronte ad una crisi improvvisa.

Francia, Inghilterra, Italia e Stati Uniti, anche se interessati direttamente dall'evento, hanno saputo partecipare esclusivamente come sostegno ad una nazione amica a cui, tra l'altro, fu attribuito il coordinamento dell'intera operazione rafforzando in tal modo legami già esistenti e soprattutto consolidando la fiducia dell'Egitto in un eventuale ulteriore tempestivo supporto in caso di future emergenze.

In conclusione l'Egitto, al termine di tutta l'operazione, anziché subire un danno economico, consegui un notevole successo politico rafforzando non solo la propria immagine di leader del mondo arabo moderato, ma anche il prestigio della propria struttura militare che seppe gestire e coordinare brillantemente l'attività di forze di diverse nazioni senza problemi di sorta.

Questo risultato globale avrebbe dovuto, in campo nazionale, sopire tutte le pretestuose polemiche a suo tempo sorte tanto più che guardando anche solo ai risultati minori, o meglio meno noti, l'impresa valeva sicuramente la pena di essere affrontata da parte dell’Italia per l'irripetibile occasione di provare realisticamente le prestazioni e le capacità dei propri mezzi di CMM, e confermare la validità delle scelte fatte per lo sviluppo futuro degli stessi.

Senza sottovalutare la gratitudine delle massime autorità egiziane per la qualità e serietà dei lavoro svolto dai cacciamine italiani in un contesto di diretto paragone con le unità inglesi nei confronti delle quali non sfigurarono affatto.

A dimostrazione del successo della missione il ministro della Difesa Egiziano, generale Abu Gazala, ha insignito il comandante della missione con la più alta decorazione civile conferibile ad uno straniero.

CONCLUSIONE

La missione affidata al 14' Gruppo Navale è stata pienamente assolta.

Le aree di prima priorità (Baia di Suez e Grandi Laghi Amari) sono state bonificate senza rinvenire alcuna mina.

Nell'area di seconda priorità (Golfo di Suez) sono stati riportati e marcati tutti i contatti e investigati quelli le cui caratteristiche risultavano più prossime a quelle di una mina.

Le predisposizioni logistiche, menzionate all'inizio, si sono dimostrate adeguate e sufficienti. In pratica tutte le manutenzioni e gli interventi per l'eliminazione di una serie limitata di avarie, derivanti dall'impiego intensivo e prolungato di tutti i sistemi ed apparecchiatura di bordo, sono stati possibili impiegando il materiale di rispetto imbarcato alla partenza.

Insegnamenti tratti

Gli insegnamenti tratti sono in pratica conferme di cose già note:

  1. Gli equipaggi quando sono motivati, quando i sacrifici richiesti hanno una finalità chiara a tutti, forniscono un rendimento che va ben oltre qualunque aspettativa e rendono facile ed agevole anche operazioni che all'inizio potrebbero apparire piene di difficoltà ed incognite.
  2. L'affidabilità evidenziata dalle apparecchiature del sistema di cacciamine e l'efficacia/efficienza dello stesso nel suo complesso hanno confermato la validità delle scelte effettuate dalla M.M.I. nel 1970 quando fu decisa ed attuata la trasformazione di 7 dragamine in cacciamine. I buoni risultati di tutte le esercitazioni da allora effettuate sono stati ampiamente superati da quelli conseguiti nel corso della missione in Mar Rosso.
  3. Le operazioni di lunga durata lontano dal territorio metropolitano sono fattibili per le unità di CMM solo col supporto di una unità appoggio in grado di assicurare, come ha fatto il Cavezzale, sia i rifornimenti logistici sia soprattutto gli interventi tecnici realizzabili con macchinari e personale non installabili su una unità di piccole dimensioni come i cacciamine.

cv (r) Fernando Cinelli (comandante Comgrupnav 14)

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