Tra le figure più importanti, durante la Seconda guerra mondiale, per l’impero giapponese (e non solo) vi fu l’ammiraglio Isoroku Yamamoto.
Yamamoto, classe 1884, era originario di Nagaoka, parte della prefettura di Niigata nel Giappone settentrionale. Nel 1901 entrò nell’Accademia Navale di Eta Jima, ne uscì nel 1904 e prese parte alla guerra russo-giapponese del 1904-1905.
Con il grado di guardiamarina fu a bordo dell’incrociatore Nisshin – incrociatore costruito in Italia, nei cantieri Ansaldo di Sestri Ponente1 – durante la battaglia di Tsushima nel maggio del 1905 (vedi articolo "La battaglia di Tsushima (1905) e l’importanza geopolitica delle isole Curili").
Yamamoto, tra il 1919 e il 1921, fu addetto navale a Washington e in quel periodo frequentò anche la prestigiosa università di Harvard. Durante la permanenza negli Stati Uniti il giovane Yamamoto maturò la convinzione che le le future battaglie navali sarebbero state combattute con gli aerei. Una sua tesi, infatti, era: La nave da guerra più importante del prossimo conflitto sarà una nave in grado di trasportare aeroplani. Tale previsione fu poi confermata…
Tornato in Patria, nel 1921, Yamamoto ricoprì importati incarichi di comando e nello stesso tempo approfondì le discipline aeronautiche. Infatti, insistette molto affinché la marina si dotasse di una propria aviazione. Alla fine, accadde che nel 1924 il brillante ufficiale venne nominato capo di stato maggiore del corpo aereo della marina.
Un paio di anni dopo, nel 1926, tornò negli Stati Uniti questa volta come addetto militare presso l’ambasciata nipponica a Washington e vi rimase per due anni fino al 1928 per poi tornare nuovamente in Giappone. La sua carriera militare proseguiva con successo.
Nel settembre del 1934 Yamamoto venne scelto come capo delegazione giapponese per partecipare alla conferenza navale di Londra (un mese più tardi sarà promosso ammiraglio di squadra).
Alla conferenza navale di Londra (foto) l’ammiraglio si mostrò critico verso le limitazioni poste dalla conferenza sul disarmo navale di Washington del 1921. In sostanza prevedeva il rapporto cinque-cinque-tre fra le navi da guerra degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e del Giappone. L’impero nipponico abbandonò la conferenza e non fu firmato nessun trattato in merito alla questione navale.
L’ammiraglio Yamamoto raggiunti, ormai, i vertici della carriera militare iniziò a dedicarsi, fra il 1935 e il 1940, alla costruzione di una grande flotta da guerra nella quale le portaerei avevano un ruolo determinate.
Il 1940 fu fondamentale per l’ammiraglio; infatti venne nominato comandante in capo delle forze navali imperiali nipponiche, e in “questa veste affrontò la Seconda guerra mondiale”2.
Tra i suoi maggiori successi vi fu, ovviamente, l’attacco a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941. Da questa grande impresa ottenne una tale popolarità, fama e un tale prestigio in Patria che la sua posizione non fu mai in discussione anche dopo il disastro delle Midway e la disfatta di Guadalcanal.
Nella primavera del 1943 l’impero giapponese non aveva più “il vento in poppa” come all’inizio del conflitto, e il quadro strategico-militare stava mutando a loro svantaggio. Nonostante tutto ciò, nell’aprile del 1943, l’ammiraglio Yamamoto iniziò a concepire un nuovo piano difensivo delle Salomone centrali con la partecipazione della marina, con l’obiettivo di “formare una serie di posizioni imprendibili”3.
Yamamoto era convinto del suo piano e così decise di completare un giro di ispezione nelle basi più importanti delle Salomone centrali. L’ammiraglio desiderava rendersi conto di persona dei provvedimenti difensivi locali per escogitare un nuovo piano strategico destinato a fermare l’inesorabile avanzata statunitense.
Il programma della visita venne preparato in maniera accurata e subito diffuso per radio ai comandi interessati all’ispezione. Il testo era questo: Il giro di ispezione del comandante in capo delle Flotte Riunite a Ballale, Shortland e Buin avverrà il 18 aprile con questo programma: ore 06.00, partenza da Rabaul su un bombardiere medio scortato da sei caccia; ore 08.00, arrivo a Ballale; immediatamente partenza per Shortland a bordo di un cacciasommergibile predisposto dalla prima squadra; ore 08,40 arrivo previsto a Shortland; ore 09,45 partenza da Shortland a bordo di cacciasommergibile; ore 10,30 arrivo a Ballale; ore 11.00, partenza da Ballale a bordo di un bombardiere medio con arrivo a Buin alle 11.10; colazione al comando della prima squadra con la presenza del comandante delle 26° flottiglia aerea; ore 14.00, partenza da Buin con un bombardiere medio e arrivo a Rabaul alle ore 15.40. In caso di cattivo tempo, il viaggio sarà rinviato di 24 ore4.
Il messaggio giapponese venne intercettato la sera del 13 aprile a Wahiawa, nelle Hawaii, dalla stazione radio statunitense del Fleet Radio Unit Pacific (l’unità radio della flotta del Pacifico - foto seguente). Il messaggio, in seguito, venne subito girato al servizio informazioni dell’ammiraglio Nimitz a Pearl Harbor.
Nella notta tra il 13 e il 14 aprile il messaggio in codice fu decifrato. Una volta scoperto il contenuto, Nimitz – comandante in capo della flotta del Pacifico – decise di cogliere l’opportunità: si doveva eliminare Yamamoto.
All’ammiraglio William Halsey, detto “Bull”, venne affidato l’arduo compito di provare a “far fuori” Yamamoto. Intanto anche a Washington si era venuti a conoscenza riguardo a Yamamoto: il messaggio, infatti, fu intercettato in quei giorni anche a Dutch Harbor (nelle isole Aleutine) da una stazione di ascolto e in seguito decifrato dai servizi di decifrazione di Washington. Il segretario alla Marina Frank Knox venne immediatamente informato dell’accaduto e come Nimitz riteneva fondamentale abbattere l’aereo su cui avrebbe viaggiato l’ammiraglio nipponico. Infatti, Knox sapeva molto bene che Yamamoto godeva di una reputazione e di un prestigio enormi e che, “per un gran numero di giapponesi, egli incarnava le virtù e la potenza della marina nipponica; sapeva inoltre, che bastava la sua persona a suscitare una devozione, un’adorazione confinati con il mito, con il fanatismo”5. Eliminarlo, quindi, voleva dire scombussolare l’impero giapponese.
Il segretario alla Marina decise di consultare il generale Henry H. Arnold, capo di stato maggiore dell’aviazione dell’esercito statunitense, Charles Lindbergh, l’aviatore specialista nelle lunghe tratte e Frank Meyer, ingegnere capo dei collaudi della società statunitense Lockheed.
In quell’incontro si si decise che l’intercettazione del veicolo dell’ammiraglio Yamamoto sarebbe avvenuta con gli aerei della Lockheed: i P-38 Lightning (foto) disponibili all’aeroporto Henderson di Guadalcanal. Gli aerei furono muniti di serbatoi supplementari sganciabili, così da avere l’autonomia necessaria per portare a termine l’incursione.
Il presidente Roosevelt venne informato del piano e il 16 aprile diede il via libera all’operazione. L’operazione fu denominata Vengeance (vendetta) e il nome in codice scelto per Yamamoto fu il Pavone.
Come riportato in precedenza la missione venne affidata a William Halsey, il quale a sua volta diede l’incarico di pianificarla e di guidarla nei minimi dettagli all’ammiraglio Marc Mitscher, comandante delle forze aeree nelle isole Salomone. Il 16 aprile venne inviato un messaggio da parte di Halsey a Mitscher che si concludeva con questa frase: Pare che il pavone sarà in perfetto orario. Prendilo per la coda.
L’esecuzione materiale dell’operazione venne affidata a 18 piloti di caccia bimotori Lockheed P-38 Lightning del 347° gruppo da combattimento della United States Army Air Forces di base a Guadalcanal. A comandare l’importante missione ci sarebbe stato il maggiore John Mitchell comandante della 339° squadriglia da caccia. L’obiettivo era quello di intercettare l’ammiraglio Yamamoto prima dell’inizio “della fase di atterraggio del suo primo trasferimento a Ballale”6.
All’alba del 18 aprile 1943, intorno alle sei del mattino, 2 bombardieri bimotori Mitsubishi decollarono da Rabaul. Uno trasportava il pavone mentre l’altro trasportava il viceammiraglio Matome Ugaki, capo di stato maggiore di Yamamoto. La loro scorta era assicurata da sei caccia Zero.
Intorno alle 07.25 i P-38 statunitensi partirono dalla base di Henderson Field di Guadalcanal. Alle 09.30 i piloti americani avvistarono gli aerei giapponesi in prossimità della parte meridionale dell’isola di Bouganville (circa 15 minuti da Ballale). Nel giro di poco i nipponici si accorsero dei P-38. Una volta scoperti i piloti statunitensi si liberarono dei serbatoi supplementari e, mettendo al massimo i motori, piombarono sui giapponesi. Iniziava lo scontro…
I sei caccia Zero fecero di tutto per proteggere i due Mitsubishi che stavano scortando, ma non furono in grado di bloccare l’attacco statunitense. Infatti, la battaglia non durò molto: i due bombardieri giapponesi colpiti più volte dai piloti Tom Lanphier e Rex Barber precipitarono.
L’aereo su cui viaggiava l’ammiraglio Yamamoto cadde nella giungla mentre quello di Matome Ugaki finì in mare non molto lontano dalla base di Buin. Il viceammiraglio Ugaki riuscì a salvarsi allo schianto e in seguito venne recuperato in mare. Ma con l’eliminazione del pavone gli Stati Uniti ottennero la loro vendetta (da esami successivi venne fuori che l’ammiraglio Yamamoto fu colpito da più proiettili e che quindi fosse già morto prima che l’aereo precipitasse). In tutto ciò, la squadra statunitense rientrò alla base di Guadalcanal solamente con una perdita.
Due giorni dopo l’attacco la salma dell’ammiraglio Yamamoto venne recuperata e in seguito ci fu la cremazione. Le ceneri dell’ammiraglio tornarono in Giappone il 21 maggio del 1943. Fino a quel momento le autorità giapponesi avevano tenuto all’oscuro la popolazione riguardo la morte dell’ammiraglio.
Quello stesso giorno venne diramato alla radio e ai giornali un comunicato che rivelava che Yamamoto era caduto per mano nemica. Ebbe funerali doppi: uno il 5 giugno del 1943 a Tokyo mentre l’altro il 7 giugno nella sua terra natia a Nagaoka e vi parteciparono centinaia di migliaia di persone.
Da sottolineare che l’obiettivo dell’Operazione Vendetta non era solo quello di eliminare Yamamoto ma anche quello, come accennato in precedenza, di provocare costernazione e confusione in campo nipponico. Infatti, a tal proposito per concludere si può citare Bernard Millot il quale scrive: Non vi è dubbio che un colpo psicologico importante era stato inferto al Giappone.
Si trattava della fine di un mito, la fine del simbolo della vittoria e dell’invincibilità delle forze armate giapponesi.
1 F. Riggi, I grandi condottieri della Seconda guerra mondiale, Newton Compton, Roma, 2020, p. 1451
2 B. Palmiro Boschesi, Le grandi battaglie segrete delle Seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano, 1973, p. 122
3 B. Millot, La guerra del Pacifico 1941-1945. Il più grande conflitto aeronavale della storia, BUR, Milano, 2018, p. 478-79
4 B. Palmiro Boschesi, op. cit., p. 123-24
5 B. Millot, op. cit., p. 480
6 F. Riggi, op. cit., p. 1491
Foto: web / Naval History and Heritage Command