Truk, il cimitero di una flotta

(di Mario Veronesi)
10/10/24

Alla voce "Truk", le enciclopedie dicono: gruppo insulare dell’arcipelago delle Caroline orientali, a 7°25’ di latitudine nord e 151°47’ di longitudine est. Formato da un grande atollo, con una superficie di 132 chilometri quadrati, aperto da più passaggi da cui emergono numerose cupole o picchi vulcanici. Ma da questa laguna, considerato un ottimo porto naturale, non emergono solo i coni dilavati dei vulcani, ma numerose carcasse arrugginite di navi affondate, che sporgono dal pelo dell’acqua, mute testimonianze del furioso bombardamento aereonavale statunitense, abbattutosi sull’isola nel corso del secondo conflitto mondiale.

Truk, era divenuta la più potente base navale nipponica, il suo ampliamento e potenziamento era iniziato nel 1937, epoca dall’entrata in guerra con la Cina. Quando il Giappone aveva scatenato la campagna di conquista del Pacifico, l’isola era divenuta una perfetta base aeronavale, situata al centro del perimetro di difesa del Sol Levante. Base operativa della flotta imperiale, ed importante base aerea, tanto da essere paragonata e chiamata la “Gibilterra del Pacifico”.

Dal 1919 anno in cui questo grande atollo era divenuto “Torokku”, nome con il quale lo aveva ribattezzato i nuovi padroni nipponici, nessuna persona che non fosse giapponese aveva mai messo piede sull’isola, e nessuna notizia era filtrata se non quelle diffuse ad arte dai giapponesi stessi, sulla presunta inespugnabilità della base. Truk roccaforte inviolabile, continuamente menzionata nei bollettini di guerra, come luogo di partenza delle forze nipponiche lanciate alla conquista del Pacifico.

Le vecchie carte geografiche risultavano incomplete ed imprecise, pertanto gli americani, iniziarono alcuni voli sulla base al solo scopo di fotografarne la situazione, e su queste foto lavorarono per predisporne l’attacco.

Nel frattempo a Truk l’ammiraglio Mineichi Koga (1885-1944) successore dell’ammiraglio Isoroku Yamamoto (1884-1943), alla testa della flotta combinata, preoccupato del peggioramento della situazione nelle Salomone, aveva spostato a Rabaul la divisione di incrociatori leggeri del contrammiraglio Omori, stanziati a Truk. Inoltre il vice ammiraglio Hitosci Kabayasi, governatore di Truk, in seguito alle numerose sconfitte subite dalla Marina e dall’Aviazione nipponica, era stato invitato da Tokio, di ripiegare un’altra parte della flotta verso le isole Palau. Kabayasi si aspettava un attacco all’isola, ma nessuno era in grado di comunicargli come e quando quest’attacco si sarebbe svolto.

Ridotta la flotta e messo in stato di allerta gli aviatori, il comando di Truk si approntava a respingere l’attacco americano, che arrivò improvviso come un forte vento monsonico, spazzando via tutto.

Dopo la conquista degli atolli di Maturo, Kwajalein e d’Eniwetok nell’arcipelago delle Marshall, il giorno dopo la presa delle isole Gilbert, la 5° flotta americana, ottenne tre corazzate veloci, tra cui la “Jowa” e la “New Jersy” da 45.000 tonnellate, tre portaerei veloci due del tipo “Essex” e una leggera del tipo “Langley”, e due portaerei di scorta.

La 58a Task Force della 5a flotta, aveva quindi a disposizione 12 portaerei, con un totale di 715 aerei tra caccia, bombardieri da picchiata e bombardieri siluranti. La 58a Task Force fu divisa in quattro gruppi, di cui il 3° gruppo sotto il comando del contrammiraglio F.E. Sherman, comprendeva la portaerei della flotta “Bunker Hill” con 89 aerei, le portaerei leggere “Monterrey” 34 aerei, “Cowpens” 33 aerei. La 7a divisione composta da corazzate, al comando del contrammiraglio O. V. Hustvedt, con le corazzate “Jowa” e “New Jersy” e l’incrociatore pesante “Wichita”, ed il 46° squadrone di cacciatorpediniere con nove cacciatorpediniere.

Il 4 febbraio gli americani occuparono l’atollo di Kwajalein nell’arcipelago delle Marianne, il 17 febbraio toccò ad Eniwetok, atollo situato a 670 chilometri a nord-ovest di Kwajalein (foto). Il 23 febbraio cessò ogni resistenza in quest’isola che si trova a circa 5.000 chilometri ad ovest-sud-ovest di Pearl Harbor, e a 1.150 chilometri a nord-est di Truk. Gli atolli di Wotje, Maloelap, Mili e Jaluit, furono abbandonati alla loro sorte, e le truppe giapponesi che vi si trovavano di guarnigione, vissero alla peggio fino alla capitolazione avvenuta il 2 settembre 1945.

Le navi americane lasciarono l’ancoraggio di Majuro nelle isole Marshall per avvicinarsi all’obbiettivo, e lo stesso giorno dell’attacco d’Eniwetok, il 17 febbraio 1944, comparvero nei paraggi di Truk. Gli americani prevedevano una rabbiosa reazione aerea da parte dei nipponici, ed i caccia avevano il compito di liberare il cielo dagli apparecchi nemici prima dell’arrivo dei bombardieri. Nei quarantacinque minuti necessari ai caccia americani per raggiungere l’obiettivo, la formazione statunitense fu avvistata, ma i giapponesi riuscirono a far decollare solo 45 caccia Zero, che diedero battaglia. Il cielo e il mare si riempirono di fumo, di scoppi, di luci e di morti. Pochi minuti dopo 260 aerei nipponici erano distrutti al suolo, e le istallazioni militari avevano subito ingenti danni. Affondarono 3 cacciatorpediniere, 7 navi ausiliarie, 6 petroliere, 17 cargo.

L’incrociatore leggero “Agano” fu affondato dal sommergibile “Skate”. Mentre le corazzate compivano il periplo dell’atollo, affondarono a cannonate l’incrociatore leggero “Katori” e il cacciatorpediniere “Maikaze”. La seconda ondata avvenne la mattina successiva, gli aerei americani abbatterono altri 32 apparecchi giapponesi e portarono a termine l’opera di distruzione di tutte le infrastrutture presenti sull’isola: caserme, depositi di carburanti, officine ecc. Nella reazione giapponese soltanto un aerosilurante riuscì a colpire a poppa la portaerei “Intrepid”, provocando diciassette feriti e danni alla nave riparabili in breve tempo.

Nonostante i ridotti effettivi nipponici, quest’operazione contro Truk, denominata “Hailstone”, che comportava la neutralizzazione, non la conquista della base nemica, e delle altre isole delle Caroline, fu una vittoria sensazionale americana, per di più costata in termini umani e di mezzi, rispetto al risultato ottenuto, molto poco: 35 aerei e ventinove morti tra gli aviatori, undici tra i marinai, e il leggero danneggiamento alla sola portaerei “Intrepid”.

Questa inattesa sconfitta fu comunicata da Radio Tokio, che avvisò la popolazione che le isole Caroline e l’importante base navale di Truk erano state attaccate dalla flotta statunitense. Hideki Tojo (1884-1948) usando il pretesto della sorpresa a Truk sostituì il capo di stato maggiore della Marina ammiraglio Osami Nagano (1880-1947), con l’ammiraglio Shigetaro Shimada (1883-1976).

Chester Nimiz (1885-1966) riservò a Truk lo stesso trattamento che aveva riservato a Jaluit e Wotje e ad altri atolli delle isole Marshall, li isolò per poi lasciarli al loro destino privi ormai di difesa, di munizioni e di rifornimenti.

Il 22 marzo la Task Force 58, con tre gruppi di portaerei, 6 corazzate veloci, 13 incrociatori e 26 cacciatorpediniere, continuò ad una serie di devastanti incursioni contro le basi giapponesi delle isole Palau e di Yap. Ormai la potente macchina militare americana era avviata, ed iniziava come un rullo compressore, a travolgere tutto quello che intralciava il suo cammino, si sarebbe fermata solo alla fine delle ostilità.

Da quel tragico evento, le carcasse delle navi affondate dal raid americano giacciono sul fondale o spuntano dall’acqua ferma della laguna, masse ferrose coperte dalla ruggine. Per i ragazzi nati dopo il secondo conflitto mondiale in questa remota isola delle Caroline, fanno ormai parte del paesaggio, quei relitti sono stati usati per i loro giochi, come trampolini per i loro primi tuffi.

In tutti questi anni la vegetazione tropicale è cresciuta, riuscendo a nascondere le ferite di quella battaglia, i crateri delle bombe sono divenuti laghetti, e le rovine delle fortificazioni ricoperte da erbe e fiori multicolori. Giardini di corallo e sciami di colorati pesciolini, racchiudono come drappi funebri viventi le navi morte, anche i cannoni sono coperti da leggiadri gioielli che oscillano dolcemente, all’ondeggiare delicato dell’acqua della laguna.

Nell’ancoraggio situato a nord-ovest della laguna a circa cinquanta metri sul fondo, si trova un gruppo di navi contenente ancora il suo carico. Poco lontano un altro relitto, un bombardiere giapponese abbattuto nelle vicinanze del campo d’atterraggio, probabilmente uno dei pochi che erano riusciti a decollare. Nella melma giace un cappello da marinaio, da una fenditura d’acciaio ormai arrugginito, spunta una scarpa. Un silenzioso ricordo accudisce questa lugubre tomba, posta sul fondo di un mare racchiuso da una splendida laguna tropicale. La laguna di Truk è ancora in agonia, e forse ne uscirà fra qualche decennio, i morti non avranno memoria, ma i vivi ne dovranno portare il ricordo.

Dopo l’attacco americano, la guarnigione giapponese e gli abitanti di Truk hanno patito la fame, mentre tonnellate di viveri in scatola giacevano irrecuperabili sul fondo della laguna. Un aspetto che colpisce il visitatore è la totale assenza di grossi animali marini, che di solito s’impadroniscono dei relitti per farne le loro abitazioni. Non si notano cernie, murene, aragoste, è possibile che Truk non sia mai stata frequentata da queste specie, che abbondano negli altri atolli di quest’immenso Oceano. La risposta è molto semplice, non tutti i depositi di munizioni saltarono in aria nei giorni dell’attacco. I superstiti giapponesi e gli abitanti dell’isola saccheggiarono i depositi rimasti per pescare e la pesca con la dinamite ha praticamente eliminato quelle grandi specie ittiche che impiegano decenni per crescere.

Foto: web / U.S. Navy