Il colpo di stato cileno è l’esito violento di una partita, le cui più importanti mosse sono state tutte compiute dai cospiratori prima dell’ultima, l’11settembre 1973.
Sono diversi i fiumi che hanno portato al mare golpista. Uno, forse il più importante, è statunitense.
Nel 1973 in piena guerra fredda, Henry Kissinger, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente americano Nixon, è convinto che in Cile sia necessario evitare una nuova Cuba in due sensi, boicottare qualunque formula politica, pur democratica, che scivoli nel comunismo (e porti l’Urss nel giardino statunitense), e farlo senza coinvolgimento esplicito di forze Usa. La via cilena al socialismo del presidente Salvador Allende sembra infatti all’aquila americana un orso russo.
Gli Usa decidono di indebolire Allende in ogni modo, per poi permettere alle forze armate cilene di rimuoverlo senza più resistenze. Eletto nel 1970, Allende sta attuando un programma di sinistra radicale, ai limiti del costituzionale, con il quale riformare una struttura socio-economica elitaria, attraverso nazionalizzazioni, aumenti salariali, spesa pubblica. Vuole redistribuire il reddito e così aumentare potere d’acquisto e consumi. Aumentano però deficit, inflazione e debito pubblico.
Iniziano gli scioperi. Più collassano i fondamentali economici, più cede la tenuta sociale, più si polarizzano le posizioni.
Le forze armate, chiave sia della tenuta del sistema che del suo rovesciamento, incrociano le proprie contraddizioni e mosse con quelle della politica. Al vertice militare c’è René Schneider, convinto del non intervento delle forze militari in politica (è la dottrina Schneider). Per questo viene ucciso nel ’70. Allende però nomina al suo posto un altro generale “costituzionalista”, Carlos Prats, che diventa addirittura ministro della difesa e degli interni dal 1972. Gli eventuali golpisti capiscono che coinvolgere i militari non basta, serve che siano ai vertici.
L’obiettivo diventa screditare e sostituire Prats. Funziona. Gli Usa aiutano con embargo, finanziamenti alle opposizioni e agli scioperi, sabotaggi terroristici, campagne stampa allarmanti. I frutti arrivano il 22 agosto 1973.
Ci sono due linee tra gli ufficiali golpisti. Chi vuole lo scontro diretto con il governo e chi, fingendo appoggio, in realtà lavora per il medesimo obiettivo. Il golpe.
È in questa ottica che va inquadrato il fallito colpo di stato dei carri armati del 29 giugno 1973 (il Tanquetazo - foto), che Prats riesce a soffocare solo quando il generale Augusto Pinochet induce i golpisti a deporre le armi.
Quanto Pinochet stesse già pianificando il suo futuro colpo di Stato o quanto fosse ancora estraneo alla sovversione, non è chiaro, riesce però con questa mossa ad accreditarsi come fedele di Prats e Allende.
La situazione degenera con la protesta delle mogli degli ufficiali davanti alla residenza Prats, il 21 agosto. Lo ritengono un traditore di sinistra. Prats il 22 agosto riunisce il comitato dei generali e chiede loro una nota ufficiale di sostegno, ma solo sei su diciotto lo appoggiano (tra questi c’è ambiguamente Pinochet).
Prats manterrebbe il comando soltanto esonerando gli altri, ma sarebbe guerra civile. Presenta pertanto le dimissioni ad Allende, suggerendo Pinochet come sostituto. Dei sei generali che sostenevano Prats, Mario Sepúlveda Squella, comandante della piazza militare di Santiago e Giullermo Pickering, direttore degli istituti militari, si accorgono di un meccanismo golpista e si dimettono in solidarietà a Prats. Allende tuttavia si fida e nomina Pinochet comandante in capo dell’esercito. In un giorno tre dei più importanti generali lealisti escono di scena e il più ambiguo accede al vertice. Il giorno stesso la Camera dei deputati vota, denunciando l’illegalità del governo e offrendo alle forze armate il dispositivo formale necessario a far apparire un golpe una difesa della costituzione. Il contesto è ora favorevole al colpo di Stato.
Pinochet viene contattato dai registi del golpe (i generali Leigh e Arellano Stark e il vice-ammiraglio Merino) l’8 settembre. Il 9 settembre Pinochet aderisce. Da quando concorda? Dal Tanquetazo, o solo all’ultimo? Tutte le mosse precedenti accreditano, se non una convinta pianificazione, perlomeno un’ambigua ed abile intenzione di favorire le migliori condizioni per un colpo di Stato, di cui poi eventualmente far parte.
L'azione ha luogo l’11 settembre, per due motivi. Le truppe sono già a Santiago per festeggiare il 19 settembre il giorno della gloria dell'esercito e soprattutto perché ricorda l’11 settembre 1924, giorno di insediamento di una giunta militare teorizzatrice del “destino manifesto” delle forze armate.
Tutto comincia verso le 5.30 del mattino. Allende dorme nella sua residenza. Pinochet si trova nel comando delle telecomunicazioni dell’esercito. Da lì guida ogni mossa. Il comandante della squadra navale a Valparaiso ordina alle sue navi di violare il porto della città. È l’anteprima dell’occupazione di tutta la costa orientale. Il prefetto della provincia avvisa Allende, che cerca immediatamente di contattare tutti i comandanti, ma le informazioni gli arrivano frammentate - contestualmente al golpe è scattata infatti l’operazione silenzio, l’annichilimento di ogni radio e tv. Allende cerca il comandante della Marina, l’ammiraglio Raul Montero, un lealista, ma subito imprigionato.
Il nuovo comandante della Marina è José Merino, proprio il comandante della squadra di Valparaiso, golpista della prima ora. Non risponde il comandante dell’aeronautica, Gustavo Leigh, e soprattutto non risponde Pinochet. Allende lo ritiene un lealista e che quindi sia stato arrestato. Gli risponde il direttore dei carabineros, infidi loro, è fidato lui, José Maria Sepúlveda, che lo rassicura, invierà rinforzi al Palacio de la Moneda, sede del Governo, ma alcuni istanti dopo Sepúlveda viene arrestato e sostituito da César Mendoza, ispettore generale dei carabineros, installatosi alla Central de Comunicaciones de Carabineros.
Da casa è impossibile fare di più. Allende riunisce i GAP, gruppi di amici del presidente, è una guardia del corpo fatta da volontari della giovanile socialista a propria protezione, proprio perché non si fida dei carabineros. Con loro si precipita alla Moneda, sorvegliata proprio dai carabineros, che ancora non lo fermano. Anche per questo Allende crede che forze lealiste ci siano e che serva solo contattarle e coordinarle. Non sa che Santiago stessa è in mano al generale Arellano Stark, vero artefice della presa della capitale. È caduto anche il centro universitario di Concepcion, da cui la sinistra estrema avrebbe potuto organizzare una qualche resistenza. Così Santiago e Concepcion, i polmoni di qualunque difesa, sono soffocati.
Raggiunto il palazzo, Allende comprende la vastità dei fatti quando le forze armate rilasciano alle 8.30 un comunicato congiunto, con cui affermano che hanno preso il controllo del Paese e intimano al presidente di dimettersi. Sentito il comunicato, i carabineros della Moneda decidono di andarsene. Sono le 9 del mattino. Allende rifiuta e attraverso radio Magallanes, l'unica ancora non silenziata, trasmette un ultimo messaggio di resistenza.
Ormai sono le 9.45, comincia l'assalto delle fanterie al palazzo presidenziale, ma si scontrano con la resistenza dei gap. Alle 10:20 anche radio Magallenas viene silenziata. Dopo ore di combattimenti sarà Leigh, alle 11.50 a sbloccare la situazione ordinando il bombardamento aereo del palazzo. A quel punto Allende decide di terminare l'estrema resistenza attraverso il suicidio, che compie con l’AK 47, che gli ha regalato Fidel Castro.
Alle 14:30 il colpo di Stato si è consumato. Quello stesso giorno Congresso nazionale e Tribunale nazionale sono sciolti. Si forma una giunta militare formata dai tre comandanti delle forze armate, più il nuovo direttore generale dei carabineros, rispettivamente Pinochet, Leigh, Merino e Mendoza.
Questa giunta sussume in sé i poteri esecutivo, legislativo e costituente. Viene dichiarato lo stato d’assedio e lo stato di guerra interno.
Che quello che si stava instaurando fosse un regime militare e non una costola di un potere civile, pur conservatore, lo capisce il presidente del Senato Frei, quando il suo attendente militare va a parlare con i membri della giunta, convinto che la costituzione fosse ancora in vigore e che, morto il presidente, convocare le elezioni spettasse a lui. Non ottiene nulla e all'uscita non trova più la sua auto istituzionale. Il Senato non esiste già più. Un semplice carabinero gli indica un taxi… capisce che il potere civile non può far altro che farsi da parte. È iniziata la notte del Cile.
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