Cassino 1944: la stele delle inutili polemiche e dei veri Eroi

(di Tiziano Ciocchetti)
19/03/18

In questi giorni, nella piccola cittadina laziale di Cassino, si sta montando una polemica – generata dall’ANPI e alimentata dal neo rieletto governatore del Lazio Zingaretti - circa la costruzione di una stele in memoria dei paracadutisti tedeschi che combatterono eroicamente lungo la Linea Gustav.

Il 25 febbraio 1944 una massiccia formazione di bombardieri americani, composta da 142 B-17 ( le fortezze volanti ), 47 B-25 Mitchell e 40 B-26 Marauder, decollò in direzione di Cassino. L’obiettivo era la magnifica abbazia benedettina di Montecassino, uno dei più importanti monumenti ecclesiastici dell’Europa.

La distruzione dell’abbazia era stata decisa nella convinzione, errata, che il monumento fosse occupato da truppe tedesche.

In realtà il feldmaresciallo Kesselring, comandante in capo del Settore Sud, aveva proibito ai suoi reparti di entrare nell’abbazia. Paradossalmente, l’ammasso di detriti e di macerie che il bombardamento aveva prodotto, sarebbe stato sfruttato dai parà tedeschi della 1 divisione per opporre una feroce resistenza agli attacchi nemici.

Sulle pendici del monte si trovavano le posizioni del gruppo da battaglia Schultz – agli ordini del tenente colonnello Karl Lothar Schultz -, trasferito da poco tempo da Anzio a Cassino; formato dal 1° reggimento paracadutisti, dal 1° battaglione mitraglieri paracadutisti e dal 3° battaglione del 3° reggimento paracadutisti.

Il battaglione mitraglieri era posizionato sulle pendici di Montecassino, mentre il 3° era attestato a difesa del Colle del Calvario a quota 593. Per dieci giorni i suoi uomini resistettero agli assalti condotti dal 2° corpo d’armata statunitense, costringendo infine l’attaccante ad ammettere la sconfitta.

Nel momento immediatamente successivo al bombardamento, il gruppo Schultz ricevette sostanziosi rinforzi dalla 1° divisione paracadutisti comandata dal generale Richard Heidrich (foto). Questi mise i suoi tre reggimenti in posizione con molta cura: il 3° copriva il monastero e la cittadina di Cassino, il 4° il massiccio e il 1° le zone attorno al Monte Castellone e le pendici più basse di Monte Cairo. I parà tedeschi erano attestati lungo un fronte di 13 km che inglobava alcuni considerevoli ostacoli naturali.

Nei sotterranei del monastero c’erano numerosi passaggi che offrivano un’ottima copertura nei confronti dell’osservazione aerea nemica e il fuoco delle artiglierie. Quindi ciò che restava in piedi dell’abbazia si rivelò fondamentale per la difesa.

Poiché l’ingresso principale del monastero era sottoposto ad un intenso tiro delle artiglierie, i preparativi per organizzare le difese vennero eseguiti dai parà con il favore della notte. Tuttavia il compito sarebbe stato eccessivo anche per due divisioni a pieno organico: a Montecassino ce ne era una sola e anche a ranghi ridotti.

La 1ᵃ divisione paracadutisti era stata formata nella primavera del 1943 con quello che restava della vecchia 7ᵃ divisione aerea. Quando gli Alleati sbarcarono in Sicilia, il 10 luglio 1943, la 1ᵃ divisione aveva un organico pari a 15.000 uomini, ma dopo sette mesi di guerra di logoramento, nel febbraio del 44, era ormai dimezzata. Infatti molti battaglioni erano al di sotto dei 300 elementi e le compagnie si erano ridotte a 30 o 40 uomini. La divisione era stata impegnata in azione, senza un attimo di tregua, sin da Salerno. I superstiti erano estremamente provati e molti di loro si erano ammalati di malaria. La 1ᵃ divisione paracadutisti, considerata un’unità d’élite, aveva ricevuto un incarico particolarmente difficile – per il quale altre divisioni erano state scartate – ed era determinata a confermare la sua reputazione.

Dopo l’aviolancio sull’isola di Creta, nel 1941, subendo pesanti perdite, le forze aviotrasportate tedesche si erano trasformate in reparti terrestri d’élite che Hitler aveva impiegato come componente centrale della sua brigata di fuoco (Feuerwehr). Dopo il 1943, la Divisione era stata equipaggiata con armi più efficaci, tra cui il fucile mitragliatore FG42 in calibro 7,92x57, il cannone anticarro senza rinculo da 75 mm e il cannone leggero campale da 100 mm.

Alla vigilia della terza battaglia per Cassino, il morale dei parà della 1ᵃ divisione era molto alto: non solo erano uniti dallo spirito di corpo ma si era stabilito fra tutti un legame particolarmente stretto derivante dal fatto che essi avevano condiviso i pericoli dei lanci con il paracadute ed imparato a fare affidamento sulla professionalità e su coraggio di ciascuno di loro. Molti ufficiali e sottufficiali erano veterani delle campagne d’Olanda, Belgio, Creta e URSS. Per tradizione gli ufficiali più elevati in grado erano sempre in prima linea con i soldati e impartivano gli ordini sotto il fuoco e non da posizioni riparate. Ovviamente non era soltanto lo spirito combattivo a fare della 1ᵃ divisione un’unità di prim’ordine: un elemento importante risiedeva nell’addestramento.

Il livello d’addestramento degli uomini e la loro capacità di adattarsi alle situazioni più disparate erano da attribuire a Heidrich, comandante della divisione. Egli credeva in una preparazione ampia, approfondita e con molta immaginazione. Aveva imposto l’utilizzo di munizioni a palla in tutte le esercitazioni ed aveva abituato i suoi uomini ad essere individualisti, tenaci e sicuri.

Ogni parà doveva essere un soldato completo: fante, geniere ed artigliere anticarro, tutto in un solo uomo. L’attenzione avuta nei confronti dell’addestramento avrebbe poi dato i suoi frutti proprio a Montecassino.

La terza battaglia di Cassino (il cui inizio era stato fissato per il 15 marzo) doveva svilupparsi su due direttrici: un attacco frontale contro la stessa cittadina condotta dalla 2ᵃ divisione neozelandese e un attacco contro il colle dell’abbazia da parte della 4ᵃ divisione indiana.

Prima dell’attacco era stato compiuto un massiccio bombardamento aereo contro le posizioni tedesche. A partire dalle ore 8.30 del 15 marzo 1944, i bombardieri alleati sganciarono il loro carico di bombe sugli uomini del 3° reggimento paracadutisti attestato a Cassino.

Nelle quattro ore successive venne raso al suolo tutto quello che si poteva distruggere: le macerie stesse saltarono più volte in aria. Circa 500 bombardieri americani sganciarono mille tonnellate di bombe su Cassino e sull’abbazia benedettina e, subito dopo l’incursione aerea, venne dato il via a un massiccio bombardamento di artiglieria: in otto ore 746 cannoni rovesciarono qualcosa come 200.000 granate sulla cittadina laziale.

Prima dell’attacco, il 2° battaglione aveva una forza di 300 uomini e 5 cannoni; dopo l’incursione si era ridotta a 140 uomini e un cannone. La 7ᵃ compagnia era stata ridotta a un pugno di parà, mentre la 5ᵃ e la 8ᵃ non avevano più di 30 soldati ciascuna. La 6ᵃ compagnia, che aveva trovato rifugio in una caverna nella roccia ai piedi del colle dell’abbazia, non aveva subito perdite.

Heidrich, che all’alba si era sistemato nel quartier generale di battaglia del suo 3° reggimento, non aveva più contatti con il 2° battaglione con il 14° panzer korps, dal momento che con il bombardamento tutte le comunicazioni si erano interrotte. La difesa di Montecassino era nelle mani di quei gruppi sparsi di parà che erano riusciti ad emergere dalle macerie dopo il martellamento compiuto dai bombardieri. Paradossalmente, per gli alleati l’effetto di quel massiccio bombardamento fu deludente: la metà dei parà tedeschi era fuori gioco, ma il morale dei superstiti non era stato spezzato. Erano anzi furiosi e pronti a combattere fino all’ultimo uomo. Il bombardamento si rivelò anche un fallimento tattico in quanto aveva trasformato l’intera zona in un paesaggio lunare pieno di macerie e di crateri che rendevano l’avanzata delle truppe alleate molto difficile.

I cumuli di detriti causati dall’incursione rallentarono la marcia dei neozelandesi i quali furono anche costretti ad abbandonare i loro mezzi corazzati di supporto. In questo modo l’attacco divenne una lenta, scoordinata avanzata che forniva ai parà tedeschi ottime occasioni per combattere brevi, aspre battaglie ritardatrici.

Sebbene avesse perso ogni contatto con il secondo battaglione e fosse nell’impossibilità di coordinare direttamente la difesa, Heidrich riuscì egualmente a dirigere un devastante fuoco di artiglieria sulle unità neozelandesi che avanzavano. In particolare le salve dei mortai e il fuoco dell’artiglieria posta in alto ebbero lo stessero effetto di un bombardamento a tappeto.

Tuttavia, nonostante gli sforzi dei parà tedeschi e l’appoggio dell’artiglieria, entro la sera del 15 marzo i due terzi della cittadina erano stati conquistati dalle forze neozelandesi.

Nei sei giorni che seguirono, la terza battaglia di Cassino divenne uno scontro all’ultimo sangue tra le forze alleate e i parà tedeschi. Ad un certo punto le forze alleate – che erano riuscite a circondare l’abbazia – furono respinte. Heidrich, resosi conto che non era possibile difendere tutti i settori del perimetro, il 16 marzo decise di stabilire a Cassino linee difensive più corte. Due posizioni, un albergo chiamato dagli Alleati Continental e l’albergo delle Rose, dominavano la direttrice d’avanzata neozelandese lungo la strada statale n.6 (Casilina) e i punti di accesso dei reparti indiani al massiccio dietro il Colle del Castello. Entrambi gli alberghi furono trasformati in capisaldi ed un carro armato venne addirittura murato nel salone d’ingresso del Continental. I parà tedeschi scavarono trincee in mezzo agli edifici circostanti e buche nelle quali sistemarono le armi pesanti. Quindi, con il favore dell’oscurità, Heidrich fece infiltrare lentamente i rinforzi.

Il 22 marzo gli Alleati bloccarono la loro offensiva a Cassino. I comandanti dei due schieramenti erano consapevoli che il fallimento dell’avanzata era interamente dovuto alla strenua difesa delle linee da parte della 1ᵃ divisione paracadutisti. Il generale americano Marshall riferì che i ripetuti tentativi di conquistare la città fallirono di fronte all’accanita resistenza di unità tedesche di prim’ordine e precisamente la 1ᵃ divisione paracadutisti che il generale Alexander definì come la migliore divisione tedesca vista su qualsiasi fronte. Il generale Vietinghoff-Scheel, comandante in capo della 10ᵃ armata, riferì a Kesselring che nessun’altra formazione, a parte la 1ᵃ divisione paracadutisti, avrebbe potuto resistere a Cassino.

Tuttavia il prezzo pagato fu molto alto. Il 3° reggimento, ad esempio, su una forza originale composta da 700 uomini, riportò 50 morti, 270 dispersi e 114 feriti.

Alla fine di marzo del 1944 la 1ᵃ divisione paracadutisti, duramente provata, ma vittoriosa, venne ritirata dal fronte di Cassino per una settimana di riposo prima di tornare in prima linea.

Tornato sulla linea del fronte, Heidrich posizionò il 4° reggimento parà e un battaglione di mitraglieri nella cittadina di Cassino e tra le macerie della stessa abbazia, mentre il 3° reggimento parà fu tenuto di riserva; truppe di montagna vennero aggregate alla divisione per difendere Monte Cairo.

L’11 maggio, quando gli Alleati sferrarono il quarto e decisivo attacco, misero in campo un’ingente massa di forze. La punta di lancia dell’assalto era composto dal 2° corpo polacco (foto), che aveva alla sua sinistra il 13° corpo britannico pronto ad avanzare lungo la Casilina. Ancora più a sinistra era schierata la 5 armata statunitense, comprendente anche il corpo di spedizione francese, che aveva l’incarico di avanzare lungo la strada statale n.7 (Appia). Gli Alleati disponevano di 1.600 pezzi di artiglieria e 3.000 aerei.

Contro queste forze i tedeschi potevano schierare quattro divisioni incomplete e fortemente logorate dalla prolungata battaglia.

I parà furono ancora una volta sottoposti a massicci bombardamenti aerei e terrestri: sotto la copertura di questo sbarramento di fuoco gli Alleati sferrarono l’attacco. I combattimenti più duri si svolsero a Monte Sant’Angelo, dove si affrontarono il 3° reggimento parà e il corpo polacco.

Il maggiore Böhmler, comandante del 1° battaglione, difendeva Monte Calvario. Ben presto il battaglione venne a trovarsi sotto i ripetuti attacchi dei polacchi: ci furono aspri combattimenti corpo a corpo tra le salve del fuoco di artiglieria e degli attacchi aerei. La prima compagnia di Böhmler fu infine sopraffatta sulla sommità del monte dalle truppe polacche. Questo cedimento minacciava seriamente le posizioni tedesche sull’abbazia. Per riconquistare l’altura il 1° e il 2° battaglione sferrarono invano quattro contrattacchi. Finalmente la sera del 12 maggio, una pattuglia guidata dal sergente maggiore Schmidt riuscì a respingere i polacchi giù dal monte che fu quindi saldamente tenuto dai parà.

Il 17 maggio la 1ᵃ divisione paracadutisti ricevette l’ordine di ripiegamento da Montecassino. Di notte, allora, i parà abbandonarono silenziosamente le posizioni strenuamente difese per settimane con accaniti combattimenti e si diressero a nord, verso la successiva linea difensiva, la Linea Adolf Hitler.

Erano rimasti imbattuti in città e sulle alture circostanti, ma il corpo di spedizione francese, che aveva sfondato a sud-ovest di Cassino, minacciava di isolare le loro posizioni. Furono obbligati a ritirarsi soltanto da circostanze esterne: la loro fama era rimasta intatta. Gli alti comandi tedeschi e quelli alleati riconobbero che soltanto la 1ᵃ divisione paracadutisti poteva tenere le posizioni a Cassino contro l’enorme pressione esercitata dagli Alleati tra il marzo e il maggio del 1944.

(foto: bundesarchiv / web)