Il fenomeno della “globalizzazione” ha indubbiamente portato grandi e molteplici benefici nei più svariati settori delle attività umane, da quello commerciale a quello tecnologico, da quello professionale a quello ricreativo. Tuttavia si sono “globalizzate” anche le attività terroristiche e criminali, sfruttando appieno tutte le nuove possibilità di un mondo diventato improvvisamente più fruibile. Si sono via via formate e consolidate nuove strutture/organizzazioni, temporanee o permanenti, le cui attività risultano essere una vera e propria minaccia che può assumere svariate forme ed operare tramite le più diverse, e prima impensabili, modalità. Nasce così il concetto dottrinale delle “Minacce Ibride”, ovvero di minacce “messe in atto da avversari che possiedono la capacità di impiegare simultaneamente sia mezzi convenzionali che mezzi non convenzionali adattandoli al fine di conseguire i loro obiettivi”.
Le minacce sono ibride perché i loro fautori, pur essendo molto diversi tra di loro, sono in grado di unire le loro forze e le loro capacità operative per conseguire i loro rispettivi obiettivi, non necessariamente comuni. Tra questi fautori si trovano, a pieno titolo, criminali, terroristi, pirati, banditi e delinquenti comuni. Casi emblematici che evidenziano questa commistione di personaggi risultano essere quei rapimenti e sequestri di turisti (che avvengono in noti e sconsigliati Paesi) in cui non si capisce bene “chi è che fa che cosa”, nel senso che chi rapisce non è chi detiene le vittime e non è nemmeno chi chiede il riscatto! Inoltre, i malcapitati turisti vengono poi venduti o barattati, anche a più riprese, tra le diverse tipologie di personaggi in cambio di droga, denaro, armi, munizioni, esplosivi, cibo, sementi, apparecchiature, apparecchiature elettroniche, attrezzature varie, pietre preziose, veicoli, combustibili... a seconda delle necessità del momento di chi acquista e di chi vende.
I primi a percepire il nuovo fenomeno furono due ufficiali cinesi, il col. Qiao Liang ed il col. Wang Xiangsui, che avevano individuato con le loro analisi nuove forme di guerra (dottrina Liang-Xiangsui o “dottrina della guerra asimmetrica senza limiti tra terrorismo e globalizzazione” - 1999), definendo il concetto di “guerre non militari” ed evidenziando nuove forme di minaccia riconducibili a conflittualità non convenzionali… con la conseguente necessità di ridefinire la minaccia. Successivamente, il concetto è stato ripreso ed approfondito sia dalla dottrina della NATO (dottrina delle “Nuove Minacce Ibride” – 2010) che dal generale russo Valery Gerasimov (dottrina Gerasimov – 2013) confermando così la presenza di nuove forme di instabilità e nuove fonti di pericolo dovute ad una minaccia da definirsi sicuramente di natura “ibrida”, ibrida sia per le modalità operative con cui si può manifestare sia per i differenti soggetti che la possono attuare.
La minaccia ibrida, in definitiva, può generare conflitti armati dinamici, asimmetrici, non convenzionali, imprevedibili nel loro manifestarsi e difficili da prevenire. È necessario anche sottolineare la differenza, molto ben illustrata nella dottrina Liang-Xiangsui, che intercorre tra le "Operazioni militari diverse dalla guerra" e le "Operazioni di guerra non militari". Il primo concetto può essere inteso come la sostanziale ridefinizione di quelle “Operazioni militari condotte in un contesto privo di uno stato di guerra”, quindi al di fuori di una guerra o di un conflitto ufficialmente dichiarato (e quando mai oggi viene dichiarata una guerra?!). Per ulteriore chiarezza, occorre contestualizzare tale concetto nell’ambito di quanto stabilito dall’art.5 del Trattato della NATO che sancisce il criterio di concorso comune alla difesa della collettività NATO (o di una sua Nazione) prevedendo, di fronte ad un attacco proveniente dall’esterno dell’Alleanza atlantica, una reazione difensiva automatica ed immediata, ovvero la guerra. Per inciso, per indicare le “Operazioni militari di non guerra”, si parla di “non article 5 Operations”, ovvero di tutte quelle operazioni militari che si svolgono in tempo di “non guerra”, in un tempo di tensione o di crisi, e usualmente definite come “Crisis Response Operations” (CROs) o “Non article five CROs”.
Il secondo concetto di “Operazioni di guerra non militari”, invece, si riferisce ad attività (in alcuni Paesi considerate come “atti di guerra”) che possono risultare gestite sia da governi che da organizzazioni civili, private, non governative e quindi, per l’appunto, “non militari” e che sono orientate a creare varie forme di destabilizzazione in uno specifico Paese preso come obiettivo. Si tratta di attività e di sistemi di varia natura finalizzati, per esempio, a garantire l’impunibilità di criminali e delinquenti, a garantire il traffico di stupefacenti, di uomini e di armi, la manipolazione delle informazioni, l’uso improprio di aiuti umanitari, la difesa politica di presunte identità etniche o il diffondersi di teorie politico-religiose finalizzate al sostegno di ideologie ostili.
Le Minacce ibride, le situazioni permanentemente instabili, le posizioni politiche e diplomatiche spesso incerte, l’impossibilità di poter avere il totale annientamento dell’avversario con la conseguente impossibilità di poter avere una “pace imposta” (ma solo una “pace negoziata”, ovviamente mai soddisfacente!), l’allontanamento costante degli obiettivi da raggiungere e l’impossibilità spesso di conseguire un ipotetico “stato finale” dei conflitti armati, tendono a rendere sostanzialmente permanenti i conflitti stessi, con tutto ciò che questo comporta sia in termini economici che di perdita di vite umane. Tali nuovi aspetti della minaccia, sommati all’imprevedibile evolversi dei conflitti, hanno inevitabilmente modificato l’approccio al problema… e tra le maggiori novità si evidenzia il crescente ricorso alla cosiddetta “privatizzazione della guerra e della sicurezza” tramite Società/Compagnie/Agenzie private che forniscono personale specializzato in grado di affrontare situazioni incerte e ad alto rischio anche nelle zone più inospitali, instabili, ostili e pericolose del pianeta. Si tratta di quegli uomini e donne che vengono comunemente chiamati “Contractor”, o meglio “Private Military Contractor” (PMC), e che vengono gestiti dalle ormai numerosissime Società Militari Private (Private Military Firms, PMFs). Tali Società sono private in quanto sono “entità non pubbliche” finanziate, generalmente ma non necessariamente, da privati e che impiegano personale civile a tutti gli effetti, anche se la maggior parte del loro personale risulta essere di provenienza militare o da forze di polizia, in modo da garantire così una eventuale maggiore capacità di integrazione procedurale con altre forze militari, paramilitari o di polizia.
L’impiego dei “servizi privati a carattere militare” si è significativamente ampliato a livello mondiale nell’arco dell’ultima quindicina di anni anche in esito ai tagli di bilancio inferti da molte Nazioni alle proprie forze armate, “chiamate a fare sempre di più con sempre di meno”, e dal conseguente “Military Outsourcing”, ovvero dalla possibilità di poter appaltare/subappaltare un certo numero di “servizi a supporto di forze armate” impiegate nei più disparati teatri operativi.
Da un iniziale supporto eminentemente logistico si è passati, con l’andare del tempo, ad un vastissima tipologia di attività specificatamente militari e di sicurezza che possono arrivare ora a comprendere anche vere e proprie azioni di combattimento. Non esiste più infatti una marcata differenza tra i servizi forniti da una PMC (Private Military Company/Firm), inizialmente orientata solo ad attività di natura prettamente militare, e quelli forniti da una PSC (Private Security Company), inizialmente orientata a garantire unicamente attività di sicurezza. Anzi, tale differenza è andata via via scomparendo lasciando spazio ad una unica tipologia di Società in grado di fornire una vasta serie di servizi (come si vedrà più avanti) e definita con l’acronimo PMSC (Private Military and Security Company). Permangono tuttavia, per una questione unicamente formale, le definizioni presenti nei due principali documenti ufficiali stilati nell’ambito della Comunità Internazionale che trattano la materia, ovvero: il citato acronimo PMSCs (Private Military and Security Companies) all’interno del “Documento di Montreux” (del 2008) e l’acronimo PSCs (Private Security Companies - Private Security Service Providers) all’interno del “Codice Internazionale di Condotta per i Fornitori di Servizi di Sicurezza Privati” (International Code of Conduct for Private Security Services Providers – ICoC – del 2010). Si possono comunque trovare ancora differenti sigle ed acronimi in quanto si sono avuti diversi tentativi di classificazione per chiarire, al possibile utente, i vari servizi forniti. Nel merito, si citano le principali tipologie di classificazione: differenziazione tra le generiche forniture e i servizi specifici (dott. Doug Brooks), tra i mezzi impiegati e gli oggetti da proteggere (dott. Chris Kinsey), tra supporto, consulenza e attività militare (dott. Peter Singer), tra struttura organizzativa e prestazioni (dott. Stefano Ruzza) o in base al tipo di contratto stipulato (prof.ssa Deborah Avant).
Dal 2008, in aggiunta a quanto detto, ha preso forma anche la privatizzazione della sicurezza marittima voluta dalle principali Compagnie Assicurative Marittime fortemente preoccupate per l’esponenziale recrudescenza del fenomeno, sempre più violento, della pirateria. Sono state quindi costituite anche “Compagnie Private di Sicurezza Marittima” (Private Maritime Security Companies – PMSCs) (stesso acronimo delle Military-Security!!!) con i loro “Contractor marittimi”, definiti “PCASP” (Privately Contracted Armed Security Personnel), generalmente operanti in gruppi di intervento precostituiti chiamati “ESTs” (Embarked Security Teams) o “AMSTs” (Armed Marine Security Teams), ed i cui “comportamenti operativi” specifici vengono regolamentati da ulteriori 6 principali Circolari (Circ. MSC 1404, 1405, 1406, 1408, 1443, FAL.1/Circ. 2) emanate dal Comitato di Sicurezza Marittima (Maritime Security Committee - MSC) dell’IMO (International Maritime Organization). Per inciso, i Contractor marittimi hanno una duplice possibilità di impiego: o a bordo delle navi da proteggere o a bordo di imbarcazioni veloci appositamente attrezzate ed armate, chiamate “DEVs” (Dedicated Escort Vessels), che garantiscono una “scorta armata” in determinati tratti di mare precedentemente individuati e considerati pericolosi per il transito di navi mercantili.
I servizi forniti da una generica PMSC (Military & Security) di grandi dimensioni possono essere decisamente considerevoli, sia in termini di quantità che di capacità, ed interessare le più disparate attività: consulenza, addestramento, pianificazione operativa, supporto logistico, supporto tattico, comunicazioni, cyber-defence, scorte armate, liberazione di ostaggi, protezione di personalità, protezione di convogli stradali, protezione di forze operative, protezione di siti sensibili, raffinerie, centrali elettriche, fabbriche e manufatti vari, pilotaggio di elicotteri e di droni, attività di intelligence, ricognizione, pattugliamento, sorveglianza e controllo. Al riguardo, la Comunità internazionale aveva già a suo tempo avvertito la necessità che il Diritto Internazionale Umanitario ed i diritti umani fondamentali venissero pienamente tutelati nell’ambito delle varie attività condotte dai Contractor. È stato conseguentemente prodotto un ragguardevole numero di documenti, disposizioni, suggerimenti e iniziative la cui disamina, peraltro noiosissima, risulterebbe in questa sede troppo articolata e dispersiva. È tuttavia opportuno evidenziare che tali documentazioni affrontano, tra gli argomenti principali, l’uso della forza, l’impiego delle armi e lo “status giuridico” dei Contractor.
Nel merito, emerge chiaramente che la figura del Contractor non è assimilabile alla figura del mercenario e che inoltre il suo “status” (anch’esso ibrido!) varia al variare del suo “ruolo” assunto nello svolgimento del proprio servizio (ovvero come civile, civile armato, civile combattente, civile aggregato ad una forza militare, combattente inserito in un gruppo militare). Fattore determinante per l’impiego dei Contractor risulta essere, come stabilito dal citato documento di Montreux, l’adesione agli obblighi derivanti dal Diritto Internazionale Umanitario da parte degli Stati coinvolti, ovvero dallo Stato in cui ha sede legale la Società dei Contractor (che ne determina principalmente le possibilità operative ed i vincoli legali), dallo Stato che impiega i Contractor e dallo Stato in cui i Contractor svolgono la loro attività.
L’adesione di una Società al citato “Codice Internazionale di Condotta per i Fornitori di Servizi di Sicurezza Privati” (ICoC) garantisce/certifica che i propri Contractor operano nel pieno rispetto del Diritto Internazionale Umanitario e dei diritti umani fondamentali. In buona sostanza, l’adesione al Documento di Montreux e l’adesione all’ICoC da parte di una Società di Contractor garantiscono alla medesima una sorta di “bollino di qualità” in piena aderenza alle leggi di mercato.
Quasi tutte le sedi legali delle PMSCs si trovano comunque in quei Paesi le cui leggi autorizzano i civili ad usare armi da guerra poiché, in determinati contesti operativi e a prescindere dal ruolo ricoperto, solamente la possibilità di poter impiegare un’arma automatica ad elevata celerità di tiro, anche solo per difesa ed in caso di estrema emergenza, può garantire ad un operatore di non soccombere e rientrare a casa sano e salvo.
Contrammiraglio Marco Bandioli
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