Lo strumento militare cinese costituisce nell’era di Xi Jinping il mezzo principale per perpetuare l’autorità del Partito (PCC) e realizzare i capisaldi del “sogno cinese” del leader.
Nel libro bianco del 2015 si legge infatti:
- “the Chinese dream is to make the country strong. China Armed Forces take their dream of making the military strong as parte of China Dream”.
Ai militari Pechino affida il compito di difendere i crescenti interessi globali, che vedono nella realizzazione della via della seta terrestre e marittima la loro plastica rappresentazione.
Ad essi è affidata la missione di difendere e perpetuare l’autorità del Partito all’interno dei confini nazionali e tradurre nei fatti il ruolo di potenza extra-regionale che la Cina ormai si riconosce.
Il presidente della PRC (People's Republic of China, ndr), capo della potente Commissione Militare Centrale (CMC) è figlio di un eroe della Grande Marcia, e quanto mai consapevole che la realizzazione di una Cina prospera e forte passa non solo attraverso la creazione di una economia di mercato in grado di continuare a guidare il processo di globalizzazione (avviato da Deng Xiaoping), ma anche per delle forze armate altamente efficienti e “globaly oriented”.
Non a caso, nel XI Jinping pensiero di “socialismo con caratteristiche cinesi nella nuova era”, recentemente iscritto nella Costituzione della PRC (privilegio concesso in passato solo al Pensiero di Mao Zedong nel 1945 e alla “Teoria” di Deng Xiaoping nel 1997), non mancano riferimenti a teorici militari e strateghi contemporanei.
È il caso del colonnello Liu Mingfu, che al sogno cinese ha dedicato nel 2010 un libro1 pubblicato anni dopo anche in inglese, nel quale auspica per l’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) un necessario e urgente “military rise (…) that is defensive, peaceful, limited, necessary, important and urgent”.
O come Wang Jisi, rettore della Scuola di Studi Internazionali di Pechino, famoso per un suo articolo pubblicato nel 2012 su Global Times, la principale testata governativa cinese, nel quale teorizzava la necessità di “orientare a ovest”, in Asia centrale e meridionale e in Medioriente, lo sforzo diplomatico e economico. Per la storica vocazione euroasiatica del Dragone, e per evitare un possibile confronto con gli USA, che con Obama avevano già, all’epoca, annunciato il “pivot to Asia”.
L’iniziativa One Belt One Road (OBO), che è l’essenza del sogno cinese di Xi, può essere quindi pensata anche in relazione al pensiero di Wang, nel quale si coglie una certa linea di continuità con il famoso detto di Mao Zedong: “Quando il nemico avanza, noi indietreggiamo. Quando indietreggia, noi lo inseguiamo”.
Per tali motivi, in linea con l’importanza attribuitagli dalla attuale dirigenza politica cinese, nel PLA è da tempo in corso un profondo processo di revisione dottrinale, nel quale particolare importanza è attribuita oltre che alla capacità di “vincere conflitti locali, ad alto indice di meccanizzazione e di informatizzazione”, anche a quella di “proiezione di potenza”.
Motivo per il quale sempre maggiori risorse vengono destinate a equipaggiamenti e armamenti (la Cina è attualmente il secondo paese al mondo per spesa destinata alla difesa, che ammonta al 5,6 del PIL, per un totale di 228miliardi di USD nel 20172).
Anche in tale ottica, occorre inquadrare la crescente presenza all’estero dei militari cinesi, sempre più impiegati in missioni di stabilizzazione o imposizione della pace su mandato delle Nazioni Unite, di anti-pirateria, di assistenza umanitaria, di addestramento congiunto a livello bilaterale e, non ultime, di anti terrorismo.
Una presenza che è funzionale da un lato a “collocare” Pechino in una posizione di rango (internazionale) in linea con lo status consolidato di potenza extra-regionale, dall’altro di perfezionare, by training on the job, una capacità di proiezione, che tende ancora a limitare l’impegno militare estero ad alcune missioni in Asia centrale e meridionale, e in Africa orientale.
A tale scopo è stato creato in seno al Comando Interforze che dipende direttamente dal CMC un Ufficio per le operazioni d’oltremare3 ( 中央军委联合参谋部作战局海外行动处 ) che coordina tutti gli impegni militari esteri, e che ha certamente favorito l’incremento del contributo cinese alle Nazioni Unite, passato dai 1.868 militari del 2013 ai 2.567 del 2017. Volumi, questi, da sommare alle ulteriori 8 mila unità annunciate da Xi nel 2015 e ai 300 agenti di polizia del contingente appositamente creato per le missioni ONU.
Anche la marina militare, in piena transizione operativa da green (acque territoriali) a blue (acque profonde), partecipa al profondo rinnovamento delle forze armate e alla loro capacità di proiezione. Dal 2008 prende parte alla missione anti-pirateria nel Golfo di Aden e a breve, stando alle dichiarazioni ufficiali di Pechino, estenderà tale impegno anche al Golfo di Guinea, a sostegno degli stati africani che si affacciano in quel tratto di mare (e degli imponenti interessi economici che Pechino ha nell’area).
In aggiunta a questi impegni, la Cina ha portato a termine diverse operazioni di evacuazione di connazionali. In Libia, oltre ad una prima missione nel 2011 che permise l’evacuazione di 35mila connazionali, ve n’è stata una seconda nel 2014, che ha consentito la partenza di ulteriori 900 lavoratori. Sono stati circa 600, invece, i cittadini cinesi evacuati dallo Yemen nel 2015.
Degno di nota, infine, lo sforzo profuso da Pechino in campo umanitario, che ha coinvolto numerosi uomini e assetti in alcuni paesi asiatici, utile anche per definire procedure, testare materiali e abituare il personale ad agire in contesti “joint e combined”. Nel 2013, una nave ospedale ha operato nelle Filippine in occasione del tifone Haiyan, e nel 2015 oltre 1000 soldati sono stati inviati in Nepal dopo il terremoto che colpì il paese.
Ultima, ma non per importanza, tra il 2014 e il 2017, la partecipazione di Pechino alle operazioni di ricerca e soccorso a seguito della scomparsa del volo MH 370 della Malaysian Airlines.
Numeri e dati, quelli appena illustrati, che stanno a indicare la volontà della Cina di creare una ben definita “profondità strategica” in linea con la sua ascesa economica e geopolitica, e che lasciano supporre per il futuro, con il progressivo sviluppo e consolidamento delle capacità di proiezione militare, un graduale e costante incremento dei militari cinesi operanti all’estero.
Non è forse un caso, se la base militare che è stata inaugurata lo scorso anno a Gibuti, e che attualmente ospita 6 mila militari del Dragone, risulti progettata per contenerne 20 mila.
(foto: Ministry of National Defense of the People's Republic of Chin / Marina Militare)
1 L. MINGFU, The China Dream, Harvard University Library, 2015