L’Agenzia Industrie Difesa è un Ente di diritto pubblico1 che raggruppa gli Stabilimenti Militari ancora esistenti, con lo scopo di convertirli allo sviluppo di attività economicamente sostenibili, sgravando il bilancio della Difesa dal sostegno di entità che hanno generato, e in parte generano, forti passività per perseguire obiettivi non sempre in linea con le finalità del dicastero della Difesa.
Le unità operative inquadrate nell’AID sono riportate nella figura seguente e, come si può desumere già dal nominativo, si spazia da attività connesse con il mondo militare ma oramai privatizzate in quasi tutti i Paesi NATO/EU, sino ad attività di scarso o nullo interesse per la Difesa e sicuramente non di livello strategico.
Peraltro, nella legge di bilancio2 in vigore, si prevede la possibilità di assumere fino a 294 persone per andare a colmare gli organici esistenti. Non rischiamo di assumere le professionalità sbagliate?
Ci troviamo, quindi, di fronte all’ennesimo esercizio nazionale con cui si lasciano in vita degli enti oramai superati dalla storia, senza intraprendere un vero tentativo di costruire delle realtà in linea con le esigenze di F.A. moderne.
Cosa produce AID
Dall’esame del bilancio 20173 (ultimo disponibile), si evince che l’attenzione del management è concentrata nella ricerca di contratti che consentano di ridurre le passività, ma che manca di una vera strategia industriale che permetta di capire come trasformare questi enti in soggetti industriali attivi che non sottraggano, cioè, risorse alla Difesa.
Sono passati circa 20 anni da quando il legislatore ha avviato questo tentativo di riconversione che doveva concludersi entro il 2017 con il raggiungimento di un utile di bilancio o la chiusura degli stabilimenti ancora in passivo. L’approvazione di ulteriore strumento normativo per posticipare questa scadenza è un ulteriore cartina di tornasole del mancato successo dell’iniziativa.
La legge, tra l’altro, mette AID in una posizione estremamente favorevole nell’acquisizione di contratti della stessa Difesa. Nonostante ciò, i risultati delle attività di AID si possono riassumere attraverso questi dati:
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Valore della produzione: 63 M€
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Costi della produzione: 84 M€
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Risultato operativo: - 21 M€
È evidente che una entità industriale il cui risultato operativo è in negativo per 1/3 del valore della produzione deve essere, almeno, pesantemente ristrutturata e deve dismettere quei settori che non presentano nessun miglioramento economico. Processo, peraltro previsto originariamente dal legislatore.
L’analisi potrebbe sembrare estremamente severa se limitata ai soli valori macroeconomici, in realtà, se si analizzano i dati dettaglio sia generali sia delle singole unità produttive, si può constatare che per quanto riguarda:
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Gli investimenti, a fronte di una spesa autorizzata di circa 1,8 M€, solo una percentuale pari al 9% è stato destinata all’avvio di nuove iniziative produttive (cioè circa 160 k€), il resto copre adeguamenti alla normativa vigente;
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I costi della produzione: su un totale di circa 84 M€, 47 M€ sono collegati al personale, 20 all’acquisto di materiali e materie prime, quasi 12M€ all’acquisto di servizi e i restanti 5M€ sono collegati ad ammortamenti, delineando un quadro generale di attività con forte impiego della manodopera e valore aggiunto negativo. Infatti, si vende a 63 M€ ciò che è costato 84. In tale maniera, si dà concretezza ad un quadro industriale semplicemente insostenibile.
Cosa dovrebbe fare AID?
Nel panorama internazionale, AID non è l’unico caso di struttura industriale della Difesa che con la fine della guerra fredda si è dovuta confrontare con la definizione di una nuova missione e una nuova identità. Rappresenta, però, l’unico caso in cui a quasi 30 anni dalla caduta del muto di Berlino ciò non è avvenuto.
Vediamo, quindi, di definire quali settori sarebbero gestibili con maggior efficienza e efficacia da un ente di diritto pubblico piuttosto che direttamente dagli altri enti della Difesa o dal settore privato.
In particolare, la Difesa ha esigenze di:
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Dismettere periodicamente mezzi e sistemi d’arma dichiarati vetusti da un punto di vista tecnologico, che però, talvolta, hanno un loro mercato presso Paesi meno sviluppati. In tale settore, quindi, si rende necessario, in primo luogo, per i mezzi e materiali privi di mercato, mettere in atto un processo di dismissione a norma di legge di mezzi e materiali militari con l’obiettivo di minimizzare i costi di smantellamento, smontaggio e smaltimento; massimizzando il rientro derivante dalla vendita di metalli e scarti ricercati sul mercato nazionale e internazionale. In secondo luogo, per i mezzi ancora presenti sul mercato internazionale, occorre mettere in pedi un’organizzazione che non solo sia in grado di presentare ai possibili acquirenti i materiali dismessi, ma che sia soprattutto in grado di assicurare un pacchetto capacitivo completo, comprendente cioè la formazione per il personale operativo e logistico, la manualistica di riferimento e almeno una prima robusta scorta di ricambistica, se non proprio l’assicurazione di essere in grado di garantire la ricambistica e/o il sostegno logistico per un determinato numero di anni.
Quanto sopra è stato tentato timidamente da AID, ma a fronte di un bilancio della difesa costantemente in diminuzione (almeno in termini reali), nulla può più essere lasciato al caso. Questo settore, tra l’altro, consentirebbe di trainare anche l’industria nazionale verso un approccio omnicomprensivo, poiché la mera vendita di piattaforme non risponde più alle logiche di mercato.
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Assicurare la possibilità di produrre in Italia prodotti strettamente correlati alla difesa e sicurezza che non hanno più un sostegno industriale in ambito Paesi NATO/EU poiché commercialmente non sostenibili. Vedasi, ad esempio, taluni apparati informatici, elettronici o relativi alla protezione NBC che vengono prodotti solo in Asia, con connesse problematiche di sicurezza, o in Europa, ma solo a prezzi elevatissimi e in presenza di richieste che richiedano elevati volumi di produzione.
In questi casi, è chiaro che l’assemblaggio di apparati o materiali che richiedono un controllo diretto lungo tutta la catena di produzione, determina costi di produzione che non rispondono più alle logiche di mercato. Si tratta, quindi, del classico caso in cui, anche dottrinalmente, ha senso che lo Stato si trasformi in imprenditore.
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Assicurare un braccio strategico alla logistica nazionale. In un contesto generale in cui le operazioni hanno caratteristiche expeditionary, risulta difficile prevedere quale sarà il prossimo Teatro Operativo da attivare. La disponibilità, in ambito nazionale di una organizzazione in grado di supportare le F.A. nel braccio strategico e in Teatro Operativo con normativa diversa da quella prevista per gli Enti Statali, consentirebbe di garantire un sostegno logistico a tutto campo sicuramente più aderente e con risparmio di risorse.
AID potrebbe essere in grado di rappresentare per l’Italia – in molte funzioni - ciò che la Defence Logistics Agency rappresenta per le F.A. USA, senza la necessità di cambiare in maniera sostanziale la normativa vigente, le prerogative dei vertici della Difesa e soprattutto di costruire nuove sovrastrutture che rischierebbero di ingessare ancor di più un settore che è sempre stato il tallone d’Achille delle nostre operazioni d’oltremare.
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Un referente istituzionale in grado di assicurare il Foreign Military Sale -FMS nazionale. Sovente viene detto che le nostre Forze armate sono i migliori ambasciatori della qualità dei prodotti dell’industria della difesa nazionale. Ciò è vero. In ambito internazionale, però, moltissimi Paesi non vogliono comprare i sistemi d’arma e le piattaforme direttamente dall’industria. Richiedono che le F.A. nazionali si facciano garanti del livello qualitativo della produzione, che assicurino l’addestramento e la logistica.
Ci sono state in passato alcune iniziative in cui si sono raggiunti dei buoni risultati. Manca, però, un approccio sistemico a questa problematica che si traduce nell’implementare una vera e propria politica industriale militare. Nulla vieta ovviamente ad un Paese “X” di accedere direttamente all’industria nazionale. Ma se vuole avere la certezza che il prezzo sia congruo, la/le piattaforme siano omologate dalle F.A. nazionali e logisticamente sostenibili, che le stesse F.A. assicurino – parallelamente – l’addestramento del personale operativo e logistico, allora occorre implementare un sistema nazionale di FMS. L’AID, in quanto ente di diritto pubblico può gestirlo, trasformando una opportunità in un sicuro ritorno non solo per l’industria ma anche per le casse dello Stato e della Difesa italiana.
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Assicurare l’acquisizione di equipaggiamenti per i contesti di Security Force Assistance. Le più o meno recenti operazioni in cui anche l’Italia ha partecipato hanno richiesto la ricostruzione di ampi settori capacitivi dei Paesi interessati. Basti pensare all’Iraq e all’Afghanistan per limitare gli esempi. In questi Paesi, i paesi della Coalizione intervenuta e/o della NATO4 hanno investito risorse importanti per riequipaggiare e addestrare le forze armate e di polizia locali. Per il solo Afghanistan l’Italia ha reso disponibili circa 260 M€, divenendo il quarto Paese contributore, dopo rispettivamente, USA, Germania e Australia. Queste risorse sono state convogliate nella quasi totalità, per le esigenze delle F.A. locali, in acquisto di materiali di consumo (direttamente dal mercato locale) o materiali d’armamento e medicinali, tramite US-FMS, con scarsi ritorni per il sistema Paese Italia.
La disponibilità di un Agenzia nazionale, quale AID rinnovata, in grado di agire rapidamente e con competenza in un contesto multinazionale avrebbe sicuramente garantito sia un maggior ritorno al sistema Paese sia una maggiore visibilità al forte contributo dato dall’Italia per il rafforzamento della sicurezza internazionale.
Cosa occorre fare per riformare AID?
Poco da un punto di vista normativo. Molto di più da un punto di vista politico e di approccio pragmatico ai problemi esistenti. Bisogna rendere chiaro che non ci possono essere più entità il cui unico scopo è quello di “sopravvivere”, ma che tutti dobbiamo concorrere al bene e al rilancio del Paese.
Lasciare circa mille persone, per interi lustri, ad inventarsi una missione e un lavoro non è il miglior modo per innovare l’Italia.
2Vds. Art. 1 comma 305
4Vds.: https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/pdf_2018_04/20180425_...
Foto: apertura (Difesa) - il ministro della Difesa visita lo stabilimento militare di munizionamento terrestre di Baiano di Spoleto / AID / Massimiliano Corte / DLA