Nel 1987, in seguito alle minacce iraniane di bloccare il traffico petrolifero nel Golfo Persico, la comunità internazionale (a guida americana) decise l’invio di una flotta per proteggere le petroliere da eventuali attacchi da parte dei barchini dei pasdaran (i guardiani della rivoluzione islamica).
L’allora Governo Goria (il Ministro della Difesa era Zanone mentre Andreotti era agli Esteri) inviò unità navali della Marina Militare nell’area per tutelare degli interessi energetici italiani - con il preciso incarico di scortare le petroliere fuori dallo stretto di Hormuz -, la spedizione era composta dalle fregate Scirocco, Perseo e Grecale, dai tre cacciamine Vieste, Milazzo e Sapri, e dalle unità d’appoggio Vesuvio e Stromboli.
Le notizie che ci giungono in questi giorni dal Golfo Persico ricordano molto da vicino la situazione che si verificò allora.
Le due petroliere – che trasportavano nafta per il Giappone - in fiamme nello stretto di Hormuz non è che l’ultimo episodio di quello che a tutti gli effetti sembra essere diventata una sorta di guerra di petroliere, che si è innescata nella regione.
Lo scorso 12 maggio, infatti, due petroliere saudite, una norvegese e una degli Emirati sono state danneggiate da una serie di esplosioni, quando si trovavano ferme all’ancora. Non è da escludere che le esplosioni siano state causate da mine magnetiche subacquee, del peso di alcune decine di kg.
Affondare una petroliera con un dislocamento elevato è molto difficile, le cisterne che vengono trasportate sono a compartimenti stagni, e quando viaggiano scariche sono molto alte sul livello dell’acqua. I danni sono stati, a quanto trapelato, non eccessivamente gravi, le esplosioni hanno aperto delle falle nella struttura delle navi, ma non ci sono state vittime o rilascio di carburante in mare.
Come nei recentissimi attacchi, anche in quelli del mese scorso gli Stati Uniti (oltre ad altri Paesi della comunità internazionale) sospettano fortemente il coinvolgimento diretto di Teheran.
A nostro avviso potrebbero essere stati condotti dagli incursori navali (i pasdaran da tempo hanno sviluppato una componente per le operazioni speciali) di Teheran, impiegando veicoli subacquei, come gli SDV (Swimmer Delivery Vehicle) Al-Sabehat 15 oppure gli e-Ghavasi.
Le petroliere colpite a maggio si trovavano ancorate a molte miglia dalla costa, quindi gli incursori hanno potuto avvantaggiarsi dell’assenza di un servizio di protezione portuale. Il monitoraggio del traffico navale riguarda principalmente il contrasto alla minaccia subacquea convenzionale, come nel caso dei sottomarini classe Kilo (un attacco convenzionale sarebbe da escludere in quanto i siluri avrebbero prodotto dei danni ben maggiori), tuttavia ciò non è possibile con i battelli di piccole dimensioni i quali sono in grado di eludere anche la sorveglianza satellitare.
Negli attacchi del 12 maggio, l’avvicinamento alle navi ferme all’ancora in mare aperto, con il favore delle tenebre, non ha presentato particolari problematiche. Gli incursori hanno piazzato delle cariche esplosive, spolettate ad orari differenti (le esplosioni si sono succedute dalle ore 4.00 alle 7.00).
Dopo le deflagrazioni sono intervenuti nella zona velivoli francesi (pattugliatori Atlantic) e i P-3C Orion decollati dalla portaerei Lincoln che, insieme al suo gruppo da battaglia, staziona da circa un mese nel Golfo, i quali avrebbero individuato un SDV che si dirigeva verso le coste iraniane.
Nelle stesse ore in cui venivano colpite le quattro petroliere, si registrava un attacco (rivendicato dai ribelli yemeniti Huthi, appoggiati da Teheran) anche nei confronti di una stazione di pompaggio di greggio di un oleodotto situato in Arabia Saudita, e causando l’interruzione del flusso del greggio per 24 ore.
L’attacco all’oleodotto potrebbe essere stato condotto impiegando droni armati, anche se sembrerebbe difficile che i ribelli sciiti in Yemen abbiano acquisito le tecnologie necessarie per mettere in piedi un’operazione del genere. A sfavore dell’ipotesi drone vi il fatto che lo spazio aereo saudita è molto controllato, anche grazie all’apporto di Paesi stranieri, come la Francia e gli Stati Uniti.
Con le sanzioni economiche imposte dalla comunità internazionale, l’Iran si sente messo all’angolo, in quanto necessita di ingenti fondi per finanziare le Forze Armate e le guerre all’estero (come in Siria e nello Yemen). Cerca di uscirne impiegando forme di lotta non convenzionali?
Foto: CNN / web / U.S. Navy