Con il termine “Offset”1, letteralmente compensazione, si intende nella dottrina militare USA una capacità operativa che consenta di bilanciare un divario esistente con un competitor.
L’arma nucleare fu considerata il “First Offset”. Durante la guerra fredda, l’ingente disponibilità di vettori e la capacità di reazione immediata per assicurare la Mutual Assured Distruction (MAD), consentirono a Washington di controbilanciare il vantaggio di Mosca sul piano delle forze schierate e in quello degli armamenti a disposizione.
Il “Second Offset” fu costituito, negli anno 80-90 del secolo scorso, dalla implementazione della Information Technology (IT), che assicurò agli USA, nella fase multilaterale apertasi al crollo dell’Unione Sovietica, la necessaria superiorità tecnologica per bilanciare le minacce multiformi, gran parte delle quali di natura asimmetrica, provenienti da attori statuali e non.
Il disorientamento delle divisioni corazzate di Saddam all’indomani della prima guerra del Golfo nel 1991, di fronte alle unità alleate manovriere e in grado di agganciare più bersagli senza essere viste, ancora oggi fornisce a studiosi e osservatori attenti la plastica rappresentazione della superiorità tattica americana ottenuta grazie all’impiego della IT, che in pochi giorno indirizzò gli esiti del conflitto.
Negli ultimi anni, però, nella dottrina USA si è consolidata un’ulteriore caratterizzazione del termine Offset, legata questa volta al progressivo affermarsi in moltissimi campi di applicazione militare della intelligenza artificiale (IA).
“Third Offset”, notoriamente, indica oggi il complesso dei sistemi autonomi2 di comando e controllo (C2) dotati di IA e la rete dei sensori e degli assetti da combattimento a questi connessi - come i droni aerei e terrestri, gli sciami di droni, i killer robot -, in grado di svolgere anche in forma autonoma azioni cinetiche contro il nemico.
La IA è divenuta nell’ultimo decennio il terreno di ricerca più promettente in campo militare con la Cina e gli USA che si contendono la leadership, seguiti a ruota da Russia3 e Israele.
Essa è un “game changer”: una tecnologia che cambierà inesorabilmente la natura della guerra, non più archetipo di un confronto violento tra volontà (umane) contrapposte, ma - quasi fossimo in un video gioco -, successione di azioni, reazioni e contro-reazioni, concepite e condotte da sistemi autonomi, con una velocità e una efferatezza impensabili, senza l’intervento dell’uomo.
Non è la prima volta che ciò accade nella storia militare.
Era già successo, ad esempio, con l’adozione del moschetto a canna rigata o coll’impiego combinato di carri armati e aviazione nella seconda guerra mondiale.
La IA, considerata in questa prospettiva, rappresenta per gli affari militari un punto di non ritorno, che modifica in maniera irreversibile il modo di combattere.
Non a caso, il suo avvento è stato salutato come la settima rivoluzione militare, dopo: l’imposizione fiscale per sostenere l’esercito, in epoca westfaliana; la leva universale durante la rivoluzione francese; la produzione di serie assicurata dalla rivoluzione industriale nel 1800; l’impiego combinato e fulmineo dei carri e dell’aviazione durante le due guerre mondiali; le bombe nucleari all’epoca della guerra fredda; e l’avvento, infine, della Information Technology (IT) sul finire del secolo scorso.
In ciascuno di quei frangenti, ogni novità introdusse un vantaggio competitivo pari a quello che la IA assicura ai giorni nostri con l’introduzione di sistemi di C2 in grado di analizzare ingenti quantità di dati sul nemico e l’ambiente (raccolti da numerosi sensori posti sul terreno), i quali, successivamente analizzati mediante algoritmi, si traducono in ordini per azioni anche cinetiche, condotte da assetti senza pilota o capo arma.
Tali sistemi costituiranno la base della guerra futura, facilitati dalla capacità di imparare dai propri errori grazie al “machine learning”, ossia all’impiego di algoritmi studiati per valorizzare i dati provenienti dall’ambiente esterno e modificare le azioni nel modo più idoneo a assolvere il compito dato.
Il generale John Allen4, già comandante di ISAF e attuale presidente di Brookings Institution5 l’ha battezzata “Iperguerra”, soprattutto in riferimento alla velocità con la quale sarà combattuta; in essa prevarrà un flusso istantaneo di dati situazionali, che comporterà decisioni real time di “natura algoritmica” ben oltre le possibilità di elaborazione dell’uomo.
Al riguardo, il dibattito in corso si concentra ancora su quale sarà il ruolo riservato all’uomo: continuerà egli a essere centrale in tutte le decisioni da compiere, comprese quelle ai più bassi livelli tattici (in the loop); o si limiterà a supervisionare i processi delegando una ampia autonomia ai sistemi di IA impegnati (on the loop)?
Al momento, la prima opzione risulta essere quella prevalente in campo USA, molto attenti come sono alle conseguenze di natura etica scaturenti dalla possibilità che un qualsivoglia sistema di C2 o d’arma, in completa autonomia di giudizio, decida di sferrare un attacco contro umani.
Una posizione diversa da quella di Pechino, i cui sviluppi dottrinali in materia, probabilmente in virtù di una connaturata tendenza a privilegiare l’accentramento del potere decisionale, propendono per conferire ai droni e robot maggiore autonomia a partire dai livelli ordinativi più bassi.
Ad ogni buon conto, appare ormai assodato che in un futuro non tanto lontano, droni e robot sostituiranno in parte se non del tutto, i tradizionali boots on the ground.
Si stima che entro il 2030 circa un quarto della forza combattente USA sarà rappresentata da sistemi autonomi capaci di svolgere una molteplicità di missioni negli ambienti operativi più disparati (nel 2016 gli USA già schieravano 12.000 veicoli terrestri senza pilota - UGV6 in operazioni).
D’altronde i sistemi “unmanned” hanno un vantaggio non da poco: sono facilmente spendibili, e sempre più economici a causa delle produzioni di massa; sono addestrabili e aggiornabili in tempi velocissimi: quelli necessari, misurabili in secondi, per l’upload dei programmi che li fanno operare.
Il cloud fornisce infatti la possibilità di addestrare all’istante un numero infinito di combattenti robotizzati, basandosi sulla esperienze provenienti dai combattimenti in itinere, la cui valorizzazione non dovrà più passare per i lunghi tempi dei cicli di lezione apprese e di quelli necessari a ricalibrare l’addestramento.
Una eventuale perdita in azione, infine, equivarrà a quella di un mezzo che si ferma per strada, molto lontana dal costo politico e sociale causato dalla morte di un solo soldato.
1https://en.wikipedia.org/wiki/Offset_strategy
2 Un sistema si dice “automatizzato” quando agisce principalmente in modo deterministico, reagendo sempre allo stesso modo quando sottoposto ai medesimi input. Un sistema “autonomo”, invece, ragiona su base probabilistica: ricevuta una serie di input, elabora le migliori risposte. A differenza di quanto accade con i sistemi automatizzati, un sistema autonomo, a parità di input, può produrre risposte differenti.
Per saperne di più: https://www.chathamhouse.org/sites/default/files/publications/research/2...
3 Il capo di Stato Maggiore della Difesa della Federazione Russa, gen. Vasilyevich Gerasimov, ha affermato nel 2013 che “Nel prossimo futuro si può ritenere saranno schierati reparti composti completamente da robot, in grado di svolgere attività di combattimento in forma autonoma”.
4https://www.usni.org/magazines/proceedings/2017-07/hyperwar
6 Unmanned Ground Vehicles
Foto: U.S. DoD / U.S. Navy / U.S. Air Force