Il recente bando di Trump contro gli studenti cinesi delle università americane1 nasce da molto lontano, ed è figlio da una parte del timore USA di perdere ancora più terreno nei confronti del principale competitor asiatico, dall’altra della preoccupazione di cedergli, grazie alle libertà intellettuali del sistema educativo statunitense, conoscenze sempre più vaste, a maggior ragione utili se impiegate nel campo della difesa.
L’iniziativa presidenziale si inserisce nell’articolata politica di dazi avviata lo scorso anno, ulteriormente inasprita ad aprile con altri divieti alle industrie americane di esportare in Cina semiconduttori e componentistica di aerei.
Il presidente è spaventato per la rincorsa cinese, industriale prima ancora che militare, e non lesina provvedimenti che permettano di rallentarne l’abbrivio in campo tecnologico.
La road map di Pechino è chiara, e prevede di raggiungere entro il 2020 un buon livello di industrializzazione, che si trasformerà in avanzato (con una buona base di informatizzazione) entro il 2025, per poi, nel 2049, anniversario della costituzione del Partito Comunista Cinese, assurgere al rango di superpotenza militare.
Nel progetto di sviluppo di Xi Jinping, grande regista della profonda trasformazione cinese, un ruolo fondamentale è giocato dalla costante, articolata e qualificata collaborazione esistente tra mondo militare e civile.
La politica di integrazione civile-militare, che prende il nome di “civil-military fusion” policy (MCF), è una vera e propria strategia nazionale, che punta a consolidare un sistema di vasi comunicanti tra le due realtà, caratterizzato dall’impiego combinato di ricercatori civili in campo militare e militari in quello civile, e dal conseguente sviluppo di tecnologie “dual use”.
Si tratta di una felice interazione bidirezionale, che mette a disposizione dell’Esercito di Liberazione Popolare (PLA) l’intera fabbrica del mondo con i suoi innumerevoli centri di sviluppo, incrementandone esponenzialmente le opportunità di crescita in tutti i settori (non solo) della difesa.
Pensare però che tale processo nasca con la nomina dell’attuale segretario generale è quanto di più errato2 si possa fare, risultando invece il prodotto delle volontà politiche di tutti i suoi predecessori a partire da Mao (con cui nasce l’idea di esercito di popolo), in virtù di quella capacità tutta cinese di progettare per lunghi archi di tempo.
Nel 1949, infatti, le élite militari del PLA avevano già compreso che il ruolo di potenza che la Cina ambiva a ricoprire era strettamente legato al suo sviluppo tecnologico e industriale, e fu per quel motivo che la dirigenza militare dell’epoca, tra cui occorre annoverare il padre dell’attuale segretario, predispose una vasta rete di istituzioni scientifiche e tecnologiche, che svilupparono studi e ricerche con la duplice valenza civile e militare.
Al centro di quella rete vi erano le università che, solo per fare un esempio, nel triennio 1955-58 videro più che quintuplicare le risorse messe a disposizioni dal governo centrale.
La particolare collaborazione continuò anche durante l’era Deng Xiaoping (1978-2002), ma in modo unidirezionale, nel senso che questa volta toccò all’industria e ai tecnici militari supportare la produzione civile, con una “pro-quota” militare che balzò dal 5% al 70%.
Questa tendenza si intensificò durante il mandato di Hu Jintao (2002-2012) durante il quale il concetto di “integrazione” civile militare si espanse sino a divenire una vera e propria “fusione”, il cui risultato fu lo sviluppo di una economia espressamente orientata al “dual use”.
Tre furono le linee programmatiche seguite per la piena realizzazione del MCF, come a suo tempo vennero tracciate dal gruppo di lavoro appositamente costituito nell’ambito del “Programma nazionale a medio e lungo termine" (MLP) del 2006.
La prima richiamava la necessità di raggiungere l’interdipendenza tra industria civile e militare, nel senso della predisposizione di un comparto industriale costituito da industrie di stato (state owned company, SOC) dalla capacità produttiva mista, velocemente orientabile in una direzione e nell’altra, la cui penetrazione all’estero costituisse un fondamentale fattore di potenza, in termini di know how e di business intelligence. Elemento questo, che da solo parrebbe giustificare la politica protezionistica dell’amministrazione Trump.
La seconda prevedeva una profonda integrazione tra società civile e mondo militare, motivata dalla concreta possibilità, per il futuro, di dover combattere conflitti multi-spettro, esigenti apporti di competenze e professionalità plurimi. Per certi versi è l’idea di esercito di popolo introdotta da Mao, attualizzata alla guerra moderna, che - suggerisce Sergio Miracola3, ricercatore di ISPI - trova oggi attuazione nelle milizie di pescatori a supporto della flotta cinese e nelle le schiere di giovani studenti di informatica, esperti in sicurezza cyber.
La terza infine contemplava la formazione di un sistema educativo nazionale che realizzasse l’anzidetto trasferimento di conoscenze e agisse come vivaio permanente di idee.
Le suesposte considerazioni verranno, anni dopo, recepite in toto dal 18° Congresso Nazionale (2012), nel corso della quale un neo eletto Xi Jinping parlò della necessità di accelerare il processo di trasferimento al popolo delle conoscenze militari (军转民 – jun zhuan min) e la partecipazione civile in campo militare (民参军 – min can jun).
Detto questo, l’Accademia delle Scienze Militari (AMS)4, con il dipendente Istituto nazionale di innovazione della tecnologia di difesa (NIIDT), costituiscono, più di altri, il luogo principale nel quale si compie lo scambio tra mondo militare e civile.
Dal 2017, AMS, in stretta osservanza delle direttive provenienti dal livello politico, gestisce direttamente il processo di trasformazione, con i suoi otto istituti di ricerca, sei dei quali si occupano di medicina militare, ingegneria della difesa nazionale, diritto militare, ingegneria dei sistemi, difesa chimica e tecnologia di difesa innovativa; mentre i restanti due sono invece orientati agli studi squisitamente militari.
I ricercatori dell’AMS sono tratti dai quadri del PLA con bagaglio di conoscenze ed esperienza scientifici: dal 2017, oltre 200 quadri militari qualificati - oltre l'80% de quali con almeno un master - hanno scelto di diventare ricercatori civili in AMS.
In particolare, nello stesso periodo, NIIDT - che sviluppa applicazioni di tecnologie innovative come l'intelligenza artificiale, i sistemi senza pilota e la bio-elettromagnetica -, ha reclutato più di 120 quadri militari con alle spalle un dottorato di ricerca e un'età media di 33 anni.
Ma non solo ai militari l’AMS si rivolge per soddisfare le sue esigenze di ricerca scientifica: dal 2018 si è aperta anche ai dottorandi delle più rinomate università statali, con l’offerta di 157 posizioni nel 2018, di 371 nel 2019 e di 741 nel 2020.
In questi centri di studio i ricercatori lavorano in gruppi di lavoro multidisciplinari, anche se trapela una certa impreparazione culturale al lavoro di squadra (certamente superabile col tempo), e l’inadeguatezza del corpo legislativo attuale, soprattutto in riferimento alla tutela del segreto e alle produzioni di interesse per la Difesa, che ritarda non poco la commercializzazione di risultati.
La formula adottata da Pechino, di stretta interrelazione civile-militare, si sta rivelando vincente nella gara tecnologica col competitor americano, che a casa propria deve invece vincere l’ostilità del comparto civile a collaborare col Pentagono per paura di non poter poi tradurre in business i risultati del lavoro di ricerca.
Il Governo di Pechino incentiva inoltre con importanti finanziamenti la collaborazione e gli investimenti del privato in tecnologie di interesse anche militare, senza soluzione di continuità tra comparti.
La strategia cinese di Trump si profila pertanto come un prova di debolezza, interna più che esterna: il gesto disperato di chi vede l’avversario avvicinarsi alle spalle, e ne sente il fiato sul collo.
La contrapposizione tra USA e Cina, in analogia a quanto accadde durante la guerra fredda, si profila nella sua autentica natura di crisi tra sistemi.
Oggi però, a differenza di allora, l’autonomia del sistema universitario americano e lo spirito liberista della sua economia, allergico a qualsivoglia interferenza dello Stato, costituiscono per il nostro principale Alleato un fattore di estrema debolezza.
Al contrario di quello che accade a Pechino, dove la centralizzazione del sistema politico e il conseguente dirigismo economico allineano costantemente l’apparato produttivo alle esigenze governative di sicurezza e difesa.
Fornendo alla nuova superpotenza un vantaggio competitivo eccezionale.
4https://www.iiss.org/blogs/analysis/2020/05/china-civil-military-innovation
Foto: Ministry of National Defense of the People's Republic of China / web