Se volessimo scovare le maggiori similitudini tra i governi italiani degli ultimi decenni, troveremmo che, per quanto concerne i rapimenti di italiani all’estero, il comune denominatore è stato il pagamento di un riscatto. Infatti da Prodi a Berlusconi fino al Conte bis abbiamo sempre sborsato soldi per riprenderci i nostri concittadini.
Anche questa volta, mi riferisco al fermo (o meglio rapimento) di 18 pescatori siciliani, da parte della pseudo guardia costiera di Bengasi, si finirà per pagare un riscatto.
Due settimane fa, due pescherecci salpati da Mazara del Vallo, sono stati abbordati da marinai della Cirenaica a 35 miglia a nord di Bengasi e mettendo, de facto, in stato di arresto gli equipaggi.
Inizialmente sembrava trattarsi della solita provocazione, che si sarebbe felicemente risolta dopo poche ore. Tuttavia, successivamente, gli uomini vicini al generale Haftar hanno cominciato a ventilare l’ipotesi di uno scambio con scafisti condannati per fatti risalenti al 2015 e detenuti nelle carceri italiane.
Secondo l’uomo forte della Cirenaica si tratta di una detenzione ingiusta in quanto in realtà, i quattro scafisti condannati a trent’anni di reclusione dalla Cassazione, sarebbero dei semplici calciatori in cerca di un contratto da parte di una società di calcio italiana.
I due pescherecci sono stati catturati in quanto, secondo la autorità non riconosciute di Bengasi, compivano azioni di pesca illegale all’interno delle acque territoriali libiche. Dal 2005 l’allora regime di Gheddafi aveva rivendicato unilateralmente l’estensione delle acque territoriali a 74 miglia dalla costa.
Appare evidente che l’affronto di Haftar sia di natura politica, vuole probabilmente mostrare ai suoi che è ancora un personaggio importante nello scenario libico, in grado di far valere le proprie ragioni anche nei confronti di un paese straniero.
Il punto è che il governo italiano non vede altra alternativa che non sia quella di trattare con Haftar, nonostante il palese atto di pirateria, escludendo a priori qualsiasi altra opzione, come per esempio l’uso della forza militare.
Foto: presidenza del consiglio dei ministri