Gli Stati Uniti hanno perseguito a lungo una strategia, denominata "rimlands", attorno alla periferia eurasiatica, che per definizione significa che devono percorrere distanze intercontinentali, probabilmente attraverso acque e cieli contesi, solo per arrivare sul campo di battaglia. Dobbiamo lottare per arrivare alla battaglia, come disse non molto tempo fa un comandante della U.S. Navy.
Nel corso delle fasi iniziali del coinvolgimento americano nella Seconda Guerra Mondiale, i rifornimenti di materiali e armamenti al Regno Unito (Lend-Lease) arrivavano attraverso rotte oceaniche che, un avversario più accorto, avrebbe potuto ostacolare con successo.
Parliamo della creazione di bolle anti-accesso (A2/AD), ovvero mettere in atto una strategia di sistemi integrati come batterie di missili superficie-aria, batterie costiere di missili antinave, missili cruise, nonché l’impiego di unità navali di superficie e sottomarini, di forze speciali, passando per sistemi anti-satellite, EW e cyber warfare.
La strategia anti-accesso cinese trova la sua migliore sintesi nelle azioni intraprese dalle forze aeronavali di Pechino, finalizzate allo “sbarramento” di arcipelaghi, linee marittime e spazi aerei, al di fuori del territorio cinese ma sui quali la Cina avanza pretese di possesso o di sovranità.
In pratica Pechino vuole impedire alla VII Flotta americana di raggiungere il campo di battaglia, partendo dalle basi nelle isole Hawaii, in tempo per poter condizionare l’esito dello scontro, stabilendo così le condizioni di accesso alla sua area di influenza.
Le marine occidentali combattono in “sistemi” che dipendono fortemente dallo spettro elettromagnetico per trasmettere informazioni e istruzioni alle parti costituenti del sistema e viceversa. I componenti, i nodi del sistema, sono navi, aerei, armamenti, sensori e così via.
Un sistema potrebbe essere una grande formazione come una flotta, una brigata anfibia o una forza aerea di spedizione. O potrebbe essere qualcosa di più piccolo, come un gruppo di azioni di superficie. Portando il concetto all'estremo, una singola nave da guerra è essa stessa un "sistema di sistemi", che fa affidamento su vari sottosistemi per spingere lo scafo attraverso l'acqua, generare elettricità, rilevare, tracciare e indirizzare forze ostili e così via. Lo stesso vale per altre piattaforme complesse.
È altresì vero che questa interdipendenza tra sottosistemi crea opportunità per l’avversario. Attaccare un sistema militare può, ma non necessariamente, comportare misure "cinetiche" come gli attacchi missilistici.
Se un avversario può raggiungere quella nave e interromperne il funzionamento interno, sta effettuando un tipo di attacco di "distruzione dei sistemi". Potrebbe creare caos semplicemente lanciando un attacco informatico; utilizzando persino i social media per distrarre e confondere l'equipaggio (la cosiddetta guerra ibrida).
Quindi la dipendenza occidentale dallo spettro EM crea l'opportunità per un difensore locale di interrompere le operazioni. In effetti, l’Esercito Popolare di Liberazione cinese pensa in termini di sconfiggere i “sistemi” piuttosto che le forze militari, tradizionalmente intese.
Le marine occidentali devono quindi affrontare problemi di geografia e tecnologia, insieme ad asimmetrie, tutti elementi che caratterizzano i conflitti moderni.
Come si risolvono questi problemi?
Come ci ricorda Clausewitz, la cosa più semplice è difficile da realizzare nella competizione strategica e nella guerra.
In primo luogo sarebbe necessario diversificare politicamente il sistema, in un’ottica quanto più joint. A tal proposito è vantaggioso che i comandanti della U.S. Navy parlano ora di "intercambiabilità" tra le forze alleate piuttosto che di mera "interoperabilità", che si riferisce dalla capacità di lavorare insieme nonostante hardware, tattiche o procedure dissimili.
Piuttosto che assemblare una task force con unità provenienti da più marine - che è stata una pratica comune sin dall'inizio della NATO o dell'alleanza per la sicurezza USA-Giappone - l'intercambiabilità potrebbe portare a equipaggi misti e una vera e propria integrazione. In effetti, ciò sta accadendo nell'Atlantico sotto i nostri occhi. La spinta all'intercambiabilità è particolarmente degna di nota nel campo dell'aviazione navale.
La prima supercarrier della Royal Navy, HMS Queen Elizabeth (foto apertura), si prepara a fare il suo primo schieramento con uno squadrone di F-35B della Marina degli Stati Uniti.
I piloti da caccia imbarcati francesi sono decollati dai ponti di volo delle portaerei americane per rimanere certificati quando la loro unica piattaforma navale (la portaerei nucleare Charles de Gaulle) era in fase di ristrutturazione.
In questi giorni la portaerei italiana Cavour si trova a Norfolk, in Virginia per certificare il suo gruppo di volo all’impiego degli F-35B, di prossima acquisizione da parte della Marina Militare.
Altro fattore determinante è la geografia.
Usare la geografia dell’Arcipelago giapponese in concerto con la potenza navale americana potrebbe arrecare seri danni alle velleità egemoniche cinesi nel Mar Cinese Meridionale, imbottigliando la navigazione navale e mercantile all'interno della prima catena di isole o impedendo a qualsiasi tipo di naviglio di muoversi all’interno di esso.
Vincere la guerra insulare è di primaria importanza nella competizione strategica delle due Potenze nel Pacifico Meridionale. Perché ciò avvenga è indispensabile che la U.S. Navy e il Corpo dei Marine possano poter combattere in modo sinergico, primeggiando in un contesto multi-dominio vicino alle coste amiche.
Foto: U.S. Navy / Ministry of National Defense of the People's Republic of China