Esattamente un anno fa (marzo 2020) il Corpo dei Marine degli Stati Uniti annunciava la dismissione della propria componente corazzata (composta da tre battaglioni attivi, più uno di riserva, tutti equipaggiati con gli MBT M-1A1 Abrams), al fine di investire maggiori risorse nella componente missilistica e in quella degli UAV.
Nell’agosto del 2020 anche il British Army stava prendendo in considerazione la possibilità di mandare in pensione i suoi reparti corazzati, ovvero le brigate 12ͭ ͪ e 20ͭ ͪ, equipaggiati con gli MBT Challenger 2 (ogni brigata ha un reggimento corazzato su 58 carri), in luogo delle brigate strike (che secondo la strategia britannica dovranno avere una capacità di manovra in profondità di 120 km).
In quest’ultimo caso si è trattato solamente di un’ipotesi, caduta poi nel vuoto.
Tuttavia, sia nel caso (reale) dei Marines che in quello (ipotetico) del British Army, la discussione in merito ai mezzi corazzati non è finalizzata a metterne in dubbio l’utilità negli attuali scenari operativi. La potenza di fuoco e la mobilità dei moderni MBT rimangono risorse preziose, nelle mani di un comandante, sui campi di battaglia, anche quelli futuri.
La domanda da porci è quanto incidono sui bilanci della Difesa le risorse finanziarie per addestrare, equipaggiare e supportare una componente corazzata, rispetto ad altre capacità come UAV, sistemi missilistici, cyber warfare.
Il recente conflitto in Nagorno Karabakh, tra armeni e azeri, ha evidenziato l’efficacia degli UAV (anche quelli a supporto del fuoco di artiglieria) contro i mezzi corazzati allo scoperto. Nell’Operazione Piombo Fuso del 2006 in Libano, il Corpo Corazzato israeliano ha subito numerose perdite a causa degli IED e dei sistemi controcarro delle milizie Hezbollah.
È altresì vero però che, la perdita anche di un numero consistente di MBT, in particolari contesti tattici, non costituisce automaticamente un declino operativo dei reparti corazzati.
Gli MBT hanno svolto un importante ruolo nella guerra siriana, dove i T-90A dei governativi, per esempio, hanno offerto una buona resa operativa. Così come anche nel conflitto in Donbass nel 2014 i carri armati sono stati utilizzati da entrambe le parti, in particolare i russi hanno dimostrato l’efficacia delle proprie tattiche, utilizzando gli MBT T-72B3 e T-90A. In quest’ultimo teatro operativo è opportuno ricordare il fatto che le forze russe potevano disporre di capacità superiori in termini di artiglieria, UAV e cyber warfare, tutte integrate con la componente corazzata.
L’ipotesi di dismettere i carri, da parte del British Army, era nata dal concetto operativo che difficilmente il Regno Unito si troverebbe mai a combattere, da solo, contro un nemico con le sue stesse - oppure superiori - capacità militari, ma se questo dovesse accadere è opportuno chiedersi che ruolo potrebbe ricoprire la componente corazzata. Da qui l’analisi sulle capacità del carro da battaglia Challenger 2 (foto apertura), in dotazione alle brigate corazzate britanniche, rispetto ad altre che si potrebbero acquisire con sistemi d’arma differenti.
Le capacità russe nel campo degli ATGM lanciabili dai cannoni degli MBT hanno avuto un notevole impulso negli ultimi anni. Il missile controcarro 3UMK21 Sprinter, lanciabile dal cannone 2A82-1M da 125 mm - che equipaggia il nuovo MBT T-14 Armata - ha una gittata massima di 12.000 metri ed è in grado di perforare quasi 1000 mm di corazza composita. Sembrerebbe, inoltre, che anche i carri cinesi Type 99 (foto), in futuro, potranno lanciare questo modello di missile.
Quindi sia la protezione che la potenza di fuoco dei Challenger 2 (anche con il pezzo Rheinmetall da 120/55 mm) sono insufficienti di fronte ad avversari che possono mettere in campo simili capacità (e molte altre).
Considerando i continui tagli alle risorse per la Difesa, ci saranno fondi sufficienti per continuare ad investire nella componente corazzata? Di contro disinvestire sui carri armati permetterebbe di liberare fondi per sistemi missilistici stand-off, oppure in razzi a guida GPS come i GMLRS-ER da 227 mm.
In pratica è quello che sta facendo il Corpo dei Marine (v.articolo), convogliando gli stanziamenti su sistemi più performanti – come i missili antinave/land attack NSM (Naval Strike Missile) - per affrontare un avversario di pari livello (o quasi) nel teatro del Pacifico meridionale.
La rinuncia dei Marines ai carri è dovuta, quindi, ad un cambio di strategia (in un contesto operativo ben preciso) che vede l’impiego di veicoli ruotati - lanciamissili e da ricognizione, anche senza equipaggi - piuttosto che dei cingolati, riservando l’impiego di quest’ultimi, a differenza di quanto avvenuto negli ultimi 70 anni, ai reparti corazzati del U.S. Army.
Foto: UK MoD / IDF / People's Republic of China MoD / U.S. Marine Corps