L’ex ufficiale dell’Australian Army David Kilcullen è stato nel corso degli anni chief strategist dell’Office of the Coordinator for Counterterrorism al Dipartimento di Stato USA nel 2005-2006, membro dello staff del generale David Petraeus nel 2007-2008 e special adivisor for Counterinsurgency di Condoleezza Rice, segnalandosi anche come uno dei più importanti esperti mondiali di tecniche della guerriglia e controinsurrezione.
Nel marzo del 2020 Kilcullen ha pubblicato il libro “The Dragons and the Snakes: How the Rest Learned to Fight the West” (Oxford University Press, Oxford, 2020) che ha, sostanzialmente, tracciato una linea importante per fare un bilancio il più possibile oggettivo dell’ultimo ventennio di storia militare e del declino occidentale – innegabile – nel primato delle armi e della dottrina strategica.
La fine della Guerra Fredda, gli impegni militari nel mondo unipolare (su tutti la Guerra del Golfo del 1991), la lotta al terrorismo internazionale e le trasformazioni del mondo globalizzato hanno radicalmente cambiato l’approccio degli Stati Uniti, e con essi degli alleati europei, rispetto al Kriegsphänomen di klausewitziana memoria.
La conduzione della guerra, o meglio la sua concezione strategica da parte americana, si esplica attraverso il predominio tecnologico e l’integrazione interforze delle componenti terrestre, navale ed aerea; il darwinismo applicato all’oplologia ed alla strategia militare – che rappresenta l’elemento specifico ed interessante dell’approccio di Kilcullen al “problema” storico-militare – dimostra però che all’evoluzione della concezione bellica della superpotenza americana e dei suoi alleati innesca un “istinto di sopravvivenza” e la conseguente “controevoluzione” di strategie e tattiche degli avversari, che siano essi attori statali (Russia e Cina su tutti) o non statuali (gruppi terroristici come lo Stato Islamico e criminalità organizzata).
La liminal warfare scelta dalla Federazione Russa è una strategia che si riallaccia all’evoluzione “darwiniana” della teoria bellica statunitense e degli strumenti per contrastarla, in modo uguale ma parallelo alla “guerra senza limiti” teorizzata dagli ufficiali cinesi Quiao Liang e Wang Xiangsui.
Rispetto al modello cinese, che è espressione d’una dottrina omnicomprensiva del concetto di “conflitto” e quindi estesa anche a settori non-militari o extra-militari dell’azione politica, quella che Kilcullen chiama liminal warfare è una opzione strategica che basa il suo successo sul “rischio calcolato” della reazione avversaria. Su cosa si basi questa strategia è presto detto riportando semplicemente la definizione di “liminale” secondo il vocabolario: fatto o fenomeno al livello della soglia della coscienza e della percezione.
La liminal warfare ha il fulcro dell’azione in una “fase di transizione” che è, in sostanza, quella preparatoria per l’avversario ma che per i Russi costituisce non già l’inizio del conflitto ma il principio della “decisione” e cioè del momento culminante.
Alcuni esempi: nel conflitto contro la Georgia nel 2008 le truppe russe avevano illegalmente varcato la frontiera prima del 7 agosto e cioè del giorno nel quale le forze georgiane, rispondendo agli attacchi delle milizie separatiste ossete, avevano creato ufficialmente il “casus belli” tra Mosca e Tbilisi. I Russi si trovarono di conseguenza, ancor prima dell’inizio della guerra vera e propria, in una posizione di vantaggio tale non solo da schiacciare militarmente i Georgiani lungo la frontiera delle regioni separatiste di Ossezia del Sud ed Abcasia mettendole a rischio di aggiramento, ma anche politicamente tale da indurre le potenze occidentali – in particolare USA, Regno Unito e Francia – ad evitare qualunque reazione che andasse oltre le generiche condanne diplomatiche.
Nel 2014 in Crimea le proteste della popolazione civile contro il governo centrale di Kiev furono “indotte” non solo da elementi filo-russi ma direttamente dagli uomini dei servizi di Mosca, per favorire poi l’arrivo dei cosiddetti “omini verdi”, squadre di uomini armati e dotati anche di mezzi pesanti privi di segni di riconoscimento (ma di fatto soldati regolari russi) che occuparono in pochi giorni i principali punti strategici (sedi istituzionali, infrastrutture civili e militari) della penisola crimeana.
Nell’ottobre del 2015 in Siria i Russi intervennero sul campo ufficialmente per combattere – per giunta con successo – contro lo Stato Islamico ma anche sorreggendo il governo di Bashar al-Assad, in quel momento in crisi di fronte alle sconfitte subite contro i ribelli, e portando alla riconquista di Aleppo, città strategica in mano all’Esercito Siriano Libero. Senza contare che la campagna militare in Siria ha consentito, anche se limitatamente, ai Russi di rafforzare la propria presenza nel Levante mediterraneo anche sotto il profilo militare-navale con il mantenimento dei “mari caldi”, obiettivo strategico storicamente perseguito dalla Russia fin dai tempi di Pietro il Grande.
Ora, se è vero che la guerra risponde al principio fisico secondo cui ogni azione provoca una reazione uguale e contraria, cosicché uno sforzo offensivo provoca un analogo sforzo difensivo per neutralizzarlo, la liminal warfare tende a sovvertire le "leggi fisiche" dello scontro bellico anticipando il momento della decisione, e quindi dell'annientamento del difensore, e facendolo precedere alla formazione della reazione avversaria. Si tratta chiaramente di una strategia che struttura, nella più classica forma clausewitziana (in continuità con il massiccio studio che del pensiero del generale e teorico della guerra prussiano è stato fatto in modo particolare in Unione Sovietica), la sua azione nell'ambito di una "escalation verticale" del conflitto ponendosi il limite - calcolato sempre con anticipo - di non innescare risposte militari da parte del nemico. Questo è sempre vero - o comunque lo è sempre stato finora - quando per "nemico" si debbano intendere gli USA ed i suoi principali alleati mentre la reazione del nemico "territoriale" è sempre considerata e l'obiettivo è quello di neutralizzarla prima che avvenga o annichilirla qualora si verificasse. In questo i casi di Georgia ed Ucraina sono emblematici.
Parimenti si deve considerare che la "guerra liminale" non è una strategia ideata per il raggiungimento immediato dei fini politici che uno Stato - in questo caso la Russia - si pone ma risponde pienamente alla teoria del conflitto limitato e di quella che il generale e geopolitico italiano Carlo Jean ha ribattezzato "teoria del carciofo" e cioè un raggiungimento degli obiettivi attraverso tappe intermedie. In questo caso l'impegno militare russo in Siria è stato emblematico come lo è anche quello attuato tramite i mercenari del Gruppo Wagner in Libia che ha permesso, in sostanza, a Mosca di dettare tempi e modi della pacificazione in Cirenaica e quindi di giocare una partita importante al tavolo delle trattative.
Quale sia lo scopo della liminal warfare è presto detto: consentire alla Russia di negoziare sempre da una posizione di forza con l'Occidente. Questo perché gli strateghi di Mosca sanno bene che, almeno allo stato attuale e sul medio-lungo periodo, sarà impossibile per la Russia sfidare gli USA sul piano convenzionale.
Si tratta di una soluzione di compromesso per la politica russa ma che ha una sua efficacia comprovata nello scenario globale dell'unipolarismo imperfetto.
Foto: Ministry of Defence of the Russian Federation