Pochi giorni fa avevamo pubblicato in rapida successione la prima e la seconda parte di un'analisi relativa agli scenari tattico-strategici della Guerra Russo-Ucraina. Sebbene entrambi i pezzi abbiano riscontrato, e continuino a riscontrare, un eccellente gradimento tra il pubblico, diversi passaggi della seconda parte dell'analisi, in particolare quelli inerenti alle riserve di equipaggiamenti militari russi (soprattutto i carri armati) e alle capacità produttive degli stabilimenti facenti parte del complesso di UralVagonZavod, hanno provocato feroci critiche e più di una richiesta di chiarimento. Ebbene, con questo ulteriore “addendum” torneremo su questa spinosa tematica cercando di fare maggiore chiarezza.
Prima di incominciare la nostra narrazione però, vorrei citare due eventi storici che ritengo sia utile avere sempre in mente quando si parla in generale della tematica delle “riserve” sia materiali che umane della Russia, dato che questo è un argomento che si presenta puntualmente ad ogni conflitto caldo o freddo che opponga l'Occidente (o parte di esso) alla Russia.
Il primo evento ci riporta al 4 giugno 1942, quando durante una visita segreta in Finlandia in occasione del compleanno del padre fondatore ed uomo forte del paese, il barone e Maresciallo di Finlandia Carl Gustaf Emil Mannerheim, il Führer und Reichskanzler del Terzo Reich, Adolf Hitler tenne una conversazione informale con lo stesso Mannerheim e con il presidente della Finlandia, Risto Heikki Ryti.
Le seguenti parole (registrate in maniera fortuita da un tecnico del suono finlandese) aventi come oggetto le disponibilità di armamenti dell'Unione Sovietica alla vigilia dell'operazione Barbarossa sono state registrate proprio nel corso di quella discussione informale:
Hitler: “Un pericolo gravissimo, forse il più serio di tutti, la cui enormità possiamo giudicare solo ora. Noi stessi non avevamo capito quanto fosse pesantemente armato questo stato (l'Unione Sovietica)”
Mannerheim: No, non l'avevamo capito
Hitler: No, nemmeno io!
Mannerheim: Durante la Guerra d'Inverno... Durante la Guerra d'Inverno non lo avevamo nemmeno immaginato, naturalmente
Hitler: Sì
Mannerheim: Ma anche così, come facevano in realtà... e adesso non abbiamo più dubbi, su che cosa avessero tra i loro arsenali!
Hitler: Assolutamente, è così! Avevano a disposizione il più immenso arsenale che la gente potesse immaginare. Beh, se qualcuno mi avesse detto che un paese.... Se qualcuno mi avesse detto che uno stato avrebbe iniziato una guerra con 35.000 carri armati, allora gli avrei detto “Lei è pazzo!”
Ryti: 35.000?
Hitler: Sì, 35.000 carri armati. Fino ad ora ne abbiamo distrutti oltre 34.000. Se qualcuno me lo avesse detto, gli avrei risposto “Voi!”. Se voi foste stato uno dei miei generali e mi aveste detto che una qualsiasi nazione avesse avuto a disposizione 35.000 carri armati, io avrei replicato “Voi, mio caro signore, vedete le cose moltiplicate per due o per dieci. Voi vedete fantasmi!”. Questo non lo avrei mai ritenuto possibile. Vi avevo detto poco fa che abbiamo trovato delle enormi fabbriche, una di queste a Kramatorskaya, per esempio. Due anni fa c'erano solo un paio di centinaia di carri. Non ne sapevamo nulla. Oggi ci sarebbe uno stabilimento dove, durante il primo turno di lavoro ci lavorerebbero un po' più di 30.000 lavoratori, che diventerebbero un po' più di 60.000 alla fine della giornata; in una singola fabbrica! Una fabbrica enorme! Masse di lavoratori che ci avrebbero vissuto lì come animali...
Mannerheim: Nell'area di Donetsk?
Hitler: Sì, nell'area di Donetsk
Mannerheim: Beh, se tenete a mente che hanno avuto a disposizione 20, anzi quasi 25 anni, per potersi armare in piena libertà...
Hitler: Impensabile
Mannerheim: E hanno speso tutti i loro soldi in armamenti
Hitler: Sì, solo in armamenti
Mannerheim: Solo in armamenti.
L'altro evento ci riporta invece ai giorni compresi tra il 12 ed il 16 di agosto dello stesso anno, quando il primo ministro di sua maestà britannica Sir Winston Leonard Spencer Churchill volò assieme al diplomatico americano William Averell Harriman e ad una nutrita delegazione a Mosca per conferire direttamente con Stalin e gli alti vertici del potere sovietico. Il momento era molto teso. Il 28 di giugno la Wehrmacht e gli altri contingenti dell'Asse presenti sul Fronte Orientale avevano lanciato l'operazione “Fall Blau”, avente come obiettivo quello di conquistare l'intera area caucasica e, nel periodo tra il 25 di luglio e l'11 di agosto, la 6a armata del generale Friedrich Paulus aveva annientato nel corso della battaglia di Kalch ben quattro armate sovietiche (la 1a e la 4a armata carri e la 62a e 64a armata) arrivando alle porte della strategica città di Stalingrado, sul fiume Volga. Poco prima dell'incontro con Stalin, Churchill aveva avuto modo di discutere approfonditamente l'evoluzione della crisi con i suoi generali ed ammiragli presenti nella delegazione.
A partire dalle informazioni fornite dai servizi di intelligence alleati, Churchill né conseguì che la spina dorsale del potere militare sovietico fosse ormai spezzata e che all'Unione Sovietica non fosse ormai rimasto molto tempo prima dell'inevitabile capitolazione. Sorprendendo tutti, Stalin diede invece prova di ottimismo ed anzi proclamò che agli inizi dell'inverno le sue forze sarebbero passate al contrattacco vanificando tutti i piani del nemico. C'è da immaginarsi che, ascoltandolo e guardandolo, lo statista britannico abbia pensato: “Contrattaccare? E con che cosa, compagno?”, prima di girarsi verso i suoi generali ed ammiragli che, scuotendo leggermente le teste, riaffermarono in silenzio tutte le loro valutazioni negative sulla baldanza del leader sovietico.
Tre mesi dopo, nell'area di Stalingrado, i sovietici lanciarono l'operazione Uranus e tra il 19 ed il 23 di novembre riuscirono ad accerchiare la 6a armata, parte della 4a armata corazzata e la 3a e la 4a armata romene dando inizio ad una delle più grandi “battaglie di annientamento” della Storia.
Oggi, nel 2022, nel pieno della Guerra Russo-Ucraina, lo spettro di questi due eventi sopra citati continua ad aleggiare nei discorsi pubblici, in televisione come al bar, con singolari sovrapposizioni tanto da far domandare a più di qualcuno, me compreso, se non sia vero il detto che “le lezioni della Storia non servono a nulla”.
Le Forze Armate della Federazione Russa furono costituite il 7 maggio del 1992 come relitto delle Forze Armate dell'Unione Sovietica, ereditandone la quota maggiore di equipaggiamenti in terra, in mare e nell'aria, oltre alla totalità dell'infrastruttura spaziale. Come affermato anche nella mia analisi precedente che tanto dibattito ha generato, uno degli elementi distintivi delle dottrine militari sovietiche prima e russe dopo è sempre stato la particolare enfasi riposta nell'utilizzo massiccio dei mezzi corazzati, in particolare i carri armati, come già ebbe modo di notare a sue spese Adolf Hitler nel corso della Seconda Guerra Mondiale.
Nessuno sa veramente quanti mezzi corazzati aveva in servizio l'Unione Sovietica e molte delle cifre che viaggiano in Internet tendono comunque a tenere conto solamente dei mezzi in servizio attivo e non anche di quelli posti in riserva, dato che già l'URSS aveva la tendenza ad immagazzinare una buona quota dei mezzi prodotti dalle sue industrie della Difesa per poterli vendere in un secondo momento oppure per poterli utilizzare in caso di una grande guerra contro la NATO oppure la Cina.
Non bisogna poi dimenticare che, a parte i mezzi in servizio con le Forze Armate Sovietiche vere e proprie, l'Impero Comunista poteva contare su tutta una serie di altri corpi militari, come per esempio le truppe dell'MVD, che avevano anch'esse importanti dotazioni di mezzi di tutti i tipi. In ogni caso, prendendo in considerazione i dati forniti alla fine degli anni '80 dalla RAND Corporation e considerando sia i numeri relativi ai mezzi in servizio che quelli della riserva pare che, al momento della sua disintegrazione, l'URSS avesse a disposizione non meno di 120.000 carri armati rincalzati da almeno altri 200.000 mezzi corazzati di tutti i tipi, per non parlare poi di tutte le altre categorie di armamenti.
L'ossessione sovietica per l'accumulo di materiale bellico traeva la sua origine nella traumatica esperienza della Seconda Guerra Mondiale quando il paese aveva dovuto combattere sul proprio territorio la guerra convenzionale di larga scala più grande della sua Storia e, pur uscendone vittorioso, aveva subito tra i 27 ed i 40 milioni di morti oltre a danni economici che avrebbero impiegato 20 anni per venire completamente riassorbiti.
Ecco perché in tutto il periodo tra il 1945 ed il 1991, in termini di politica militare, la dirigenza del Cremlino subordinò qualsiasi altra decisione al mantenimento di due “totem” inviolabili. Primo, l'URSS non avrebbe mai più combattuto una guerra sul suo territorio. Secondo, essa avrebbe sempre mantenuto, al netto degli arsenali nucleari, anche una potenza convenzionale schiacciante in grado di sconfiggere qualsiasi alleanza di paesi ostili che avessero voluto minacciarne la sicurezza e gli interessi nazionali.
Sebbene in termini di forza bruta potenziale pura e semplice, tali obiettivi furono raggiunti e mantenuti per tutto il periodo in questione, il risultato finale fu che, l'irrigidimento del sistema politico e la totale insostenibilità tanto del sistema economico quanto di quello burocratico fecero sì che, infine, l'Unione Sovietica fece la classica fine del “guerriero che rimane schiacciato dal peso della sua stessa armatura”.
La nuova Russia sorta dalle ceneri dell'Unione Sovietica si trovo in eredità uno strumento militare assolutamente sproporzionato rispetto alla sua postura di politica estera ed alle sue capacità economiche. Non solo, avendo comunque ereditato dal “Trattato sulle Forze Armate Convenzionali in Europa” l'obbligo di ridurre notevolmente la consistenza numerica dei suoi arsenali convenzionali, la Russia si trovò di fronte a difficili scelte nel corso di tutti gli anni '90, periodo reso per altro ancora più difficile dal divampare di guerre anche molto violente qua e là attraverso tutto l'ex-Impero Sovietico, in particolare nella turbolenta area caucasica (Nagorno-Karabakh, Georgia, Cecenia) che obbligarono Mosca ad una parziale revisione della sua postura militare in loco.
Un interrogativo che attanaglia sia gli analisti militari che i semplici curiosi è: quanti carri armati ed altri mezzi militari sono stati distrutti in ottemperanza al trattato CFE sopra menzionato?
In realtà è difficile rispondere perché tale trattato in realtà pone per la Russia solamente limiti relativi alla consistenza numerica dei mezzi che devono essere schierati al di qua dei Monti Urali, e non al numero di mezzi totali che sono a disposizione di Mosca! Dato però che gran parte delle grandi “basi-deposito” si trova in Siberia, si capisce bene come, sin da subito, Mosca fosse stata tentata di fare il gioco delle tre carte e di aderire ai dettami del trattato in maniera assai “lasca”.
Le ragioni di questa scelta erano sostanzialmente tre:
- primo: nel corso degli anni '90 e nei primi anni '00 l'economia russa era in una situazione talmente grave da non potersi permettere i costi dello smantellamento dei mastodontici stock di armi ereditate dall'URSS. Non solo, smantellare decine di migliaia di carri armati e di altri mezzi corazzati avrebbe persino comportato una perdita economica netta perché contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non è affatto così semplice riciclare l'acciaio allocato ad uso militare;
- secondo: i mezzi immagazzinati costituivano comunque una fonte potenziale di valuta pregiata essendo in quegli anni la domanda di armi russe in costante ascesa in tutte le aree di conflitto, specialmente nel Terzo Mondo;
- terzo: la fine della Guerra Fredda e la disintegrazione dell'Unione Sovietica avevano reso i territori dell'ex-Impero Comunista un calderone in ebollizione attraversato da diversi conflitti che vedevano sempre coinvolta la Russia, in maniera diretta o indiretta, inoltre non era completamente tramontata la possibilità che la Russia venisse coinvolta in un grande conflitto convenzionale con una delle altre potenze grandi o medie che si affacciavano alla sua periferia (Stati Uniti-NATO, Turchia, Iran, Pakistan, Cina, Giappone).
Per tutte queste ragioni era meglio per i russi mantenere a disposizione delle grandi riserve che potessero essere “fungibili” all'occorrenza e far procedere il processo di smantellamento e riciclo il più lentamente possibile. Si badi bene, ciò non riguarda solamente i carri armati e gli altri mezzi corazzati ma tutti i sistemi d'arma classificabili come “convenzionali”.
Facciamo ora un salto ai giorni nostri. Da che la Guerra Russo-Ucraina è entrata nella sua fase di guerra convenzionale totale (24 di febbraio 2022), due domande continuano a ronzare nelle menti dei più e, a ben vedere, sono le stesse che ronzavano nelle menti di Hitler, Mannerheim e Churchill all'epoca della Seconda Guerra Mondiale e, esattamente come nel loro caso, vengono oggi approcciate dagli specialisti e dal grande pubblico con lo stesso grado di leggerezza e incredulità, che a volte sconfina nel pressapochismo e nella stupidità: a quanto ammontano le riserve russe ed il paese ha la capacità produttiva per ripianare le perdite subite fino ad ora?
Avendo già parlato in dettaglio della composizione delle “riserve umane” nel corso della mia precedente analisi e non avendo alcuna intenzione di tornare sull'argomento ritenendo di averlo già articolato e sviscerato in maniera esaustiva, vado ora direttamente al nocciolo della questione che tante sopracciglia ha fatto drizzare: i carri armati e gli altri mezzi corazzati!
Ad una rapida occhiata a quanto scritto sull'argomento in questo periodo come per esempio (ma è solo uno dei tantissimi, dato che i dati che vengono ripetuti sono SEMPRE gli stessi) in questo articolo apparso sulla prestigiosa rivista Forbes (v.link) si vede che secondo l'opinione più comune, la Russia allineerebbe 12.420 carri armati e 36.000 altri mezzi corazzati (contando sia i mezzi di prima linea che quelli immagazzinati). Purtroppo però tale valutazione è ottimistica (per noi) e si basa su presupposti che si sono dimostrati totalmente sbagliati. Nel periodo subito successivo al 2010 infatti, alcune autorevoli istituzioni del mondo occidentale come la RAND Corporation, Janes e l'International Institute for Strategic Studies (IISS) pubblicarono una serie di documenti relativi agli equipaggiamenti in dotazione alle Forze Armate della Federazione Russa ed è proprio in quel momento che la “teoria” secondo la quale la Russia avrebbe a propria disposizione poco più di 12.000 carri armati venne accettata come una sorta di “verità”, così come l'idea che le forze corazzate e meccanizzate avessero adottato un sistema di standardizzazione basato su 3 modelli di carri armati: il T-72, il T-80 ed il T-90. Eppure da allora ad oggi quattro eventi hanno cambiato le carte in tavola e hanno reso i rapporti precedenti stilati dalla RAND, da Janes e dall'IISS non più validi.
Il primo è stato la ripresa del piano di riarmo voluto dal presidente Putin che, tra il 2012 ed il 2020, ha portato alla produzione e all'introduzione in servizio di almeno 2500 carri armati T-72 e T-90 nuovi di zecca oltre alla riattivazione e modernizzazione di un numero ancora superiore precedentemente posto in deposito.
Il secondo è stato lo scoppio del conflitto in Donbass, nel 2014, che ha portato ad un coinvolgimento diretto delle Forze Armate della Federazione Russa sia mediante lo schieramento delle proprie unità sul terreno sia attraverso la fornitura di arsenali atti a trasformare le cosiddette Forze Unificate della Novorossiya in uno strumento militare coerente e in grado di “marciare sulle sue gambe”. Per ottenere questo risultato i russi dovevano addestrare ed equipaggiare i donbassiani di tutto punto, e ciò includeva ovviamente anche la fornitura di carri armati. Ecco quindi che un numero crescente di carri T-72 ha preso la direzione del fronte del Donbass, ma a fianco di essi fecero ben presto la loro comparsa anche altri “cavalli d'acciaio” che il mondo credeva scomparsi già da tempo: i T-64.
Per la verità i T-64 erano vivi e vegeti perché rappresentavano i carri armati standard delle Forze Armate Ucraine, le quali ne avevano pure prodotto versioni nuove ed il più possibile aggiornate per stare “al passo con i tempi”. Per questa ragione si ritenne che i T-64 schierati con le Forze Unificate della Novorossiya fossero esemplari ucraini catturati e rimessi in servizio tra le fila dei nemici (ed è infatti vero che, dal 2014 fino alla guerra corrente, i donbassiani hanno colto tutte le opportunità per mettere le mani su quanti più T-64 ucraini possibile). Tuttavia, nel fiume di fotografie e video provenienti dall'area del Donbass, ben presto una realtà alternativa iniziò a prendere piede, quando gli analisti militari iniziarono a rendersi conto del fatto che numerosi T-64 donbassiani non fossero “prede belliche” catturate agli ucraini ma, al contrario, esemplari russi appartenenti agli stock della riserva che erano stati ricondizionati e rimessi in servizio nel corso di quei concitati eventi storici (v.link).
Il fatto che la Russia avesse ancora a disposizione i T-64 colse tutti di sorpresa dato che era considerato ormai “assodato” il fatto che tutti i T-64 della riserva fossero stati smantellati, e invece così non era stato! Come gli altri modelli di carri armati in servizio sia con le Forze Armate Russe che con le Forze Unificate della Novorossiya, anche i T-64 stanno dando il loro contributo alle operazioni militari ed è stata fino ad ora confermata oltre ogni dubbio la perdita di 16 esemplari di questo modello di carro.
Ma quanti T-64 sono ancora a disposizione nelle basi deposito della Russia? Difficile a dirsi, ma diverse fonti consultate al riguardo danno una forchetta compresa tra i 2000 ed i 4000. È assai probabile che, con il passare del tempo, sia la riattivazione massiccia degli esemplari in deposito sia la cattura di un numero crescente di mezzi ucraini, faranno crescere sia di numero che di importanza il contributo del T-64 per gli armati di Mosca e del Donbass.
Il terzo, è stato il coinvolgimento della Russia nella Guerra Civile Siriana a sostegno delle forze lealiste del presidente Assad. Alla vigilia dello scoppio delle ostilità l'Esercito Siriano aveva a disposizione una forza complessiva di oltre 10.000 mezzi corazzati di tutti i tipi, tra i quali i carri armati erano oltre 5000 (100 PT-76, 2250 T-54/55, 1100 T-62 e 1600 T-72). Nel settembre del 2015, a quattro anni e mezzo dall'inizio del conflitto, le una volta orgogliose forze corazzate siriane erano ridotte all'ombra di loro stesse, con perdite accertate ammontanti ad almeno 4000 mezzi corazzati di tutti i tipi. I T-72 in particolare, avevano sofferto più degli altri e solamente 300 dei 1600 originali erano ancora in servizio (tasso di perdite dell'81%!). Immediatamente dopo la sua entrata in guerra, la Russia si adoperò per ricostruire le malconce unità siriane anche grazie ad una maxi iniezione di nuovi mezzi tra i quali vanno segnalati circa 700 T-72 (appartenenti alle versioni T-72B, T-72B obr. 1989, T-72BM e T-72B3) e 200 T-90A “Vladimir”. Tuttavia ciò che impressionò maggiormente gli analisti militari fu l'inaspettato arrivo di centinaia di T-62 appartenenti alle versioni T-62M e T-62MV e persino di T-55 delle versioni T-55AM e T-55AMV.
Esattamente come era capitato con i T-64 nel Donbass, anche l'apparizione dei T-62 e dei T-55 di nuova fornitura fece crollare tutte le certezze precedentemente acquisite dagli analisti. Si pensava infatti che, dopo decenni di campagne di controguerriglia nel Caucaso e la breve ma decisiva partecipazione alla Guerra Russo-Georgiana del 2008, i T-62 e i T-55 russi fossero stati definitivamente pensionati e diretti alla fiamma ossidrica; la loro apparizione sul fronte siriano non appena riattivati dalle loro basi-deposito situate in Buryatia ha dimostrato che solo la prima intuizione era corretta. Non solo, nel corso dell'esercitazione Vostok 2018 (la più grande esercitazione militare della Russia dal 1981, da quando esisteva ancora l'URSS) un certo numero di T-62 e T-55 è stato riattivato proprio per testare la velocità di mobilitazione delle forze della riserva nel caso dello scoppio di un conflitto di larga scala, come la Guerra Russo-Ucraina attuale.
Dire esattamente quanti T-55 e T-62 siano ancora a disposizione della Russia nelle sue basi-deposito è estremamente difficile perché sebbene al momento della disintegrazione dell'URSS, le Forze Armate Sovietiche avessero ancora a disposizione circa 63.000 T-54/55 e 13.000 T-62 di tutte le versioni, molti finirono negli arsenali degli altri paesi ex-sovietici, molti altri vennero venduti in ogni angolo del mondo, ed altri ancora vennero con il tempo effettivamente smantellati. In ogni caso, incrociando diverse fonti, sembra che nella riserva di equipaggiamenti russa siano ancora presenti tra i 2800 ed i 3000 T-55 e tra i 2000 ed i 2500 T-62, ma sono comunque numeri sui quali non è possibile essere certi al 100%.
Il quarto evento, all'apparenza minore rispetto agli altri è stato il riarmo del corpo della fanteria di Marina russa la quale, nonostante sia stata ridotta a 12.000 uomini rispetto ai 32.000 dell'epoca sovietica, ha visto in anni recenti rafforzare proporzionalmente la sua potenza di fuoco con l'assegnazione di un battaglione di carri armati a ciascuna delle brigate che compongono il corpo. I nuovi battaglioni allineano carri armati T-72B, T-72B3, T-72B3 obr. 2016, T-80BV e T-80BVM tuttavia nel corso delle esercitazioni tenutesi negli ultimi anni, i fanti di marina russi hanno “resuscitato” dai depositi anche un'altra “vecchia gloria” del periodo sovietico, e cioè il carro anfibio PT-76.
Presenti negli arsenali sovietici in non meno di 10.000 esemplari, anche i PT-76 sono finiti sotto la scure delle riduzioni del periodo post-Guerra Fredda ma, esattamente come tutti gli altri modelli menzionati sopra, non sono scomparsi del tutto è pare che la Russia ne abbia ancora a disposizione circa 500, mantenuti, come già accennato sopra, quali potenziali rincalzi per il Corpo di Fanteria di Marina.
Il nostro discorso però non sarebbe completo se non parlassimo ora della cosiddetta “Santa Trinità” che, in prima linea come nella riserva, rappresenta il pilastro della forza corazzata russa e che è formata dai carri armati T-72, T-80 e T-90.
Introdotto per la prima volta nel 1973 e prodotto sino ad oggi in non meno di 30.000 esemplari e adottato da oltre 40 paesi al mondo, il T-72 è in assoluto il carro armato più numeroso in servizio presso le Forze Armate Russe, sia per quanto riguarda i reparti di prima linea sia per quelli della riserva e, secondo la maggioranza delle stime a nostra disposizione, è disponibile in un numero compreso tra le 9.000 e le 11.000 unità.
Entrato in servizio nel 1976 e soprannominato “il carro volante” per via della potenza del suo motore, il T-80 nacque come sviluppo del T-64 e fu l'ultimo “campione corazzato” sviluppato e prodotto in grande numero dall'Unione Sovietica prima della sua caduta. Nonostante la sua produzione sia formalmente cessata nel 2001, il T-80 ha continuato ad essere aggiornato e milita sia nelle forze di prima linea che nella riserva della Russia in un numero compreso tra 7000 e 8000 unità a seconda delle fonti consultate.
Infine, nato come ulteriore sviluppo del T-72, il T-90 rappresenta il più potente carro armato (con l'esclusione dell'ancora “acerbo” T-14 Armata) prodotto dalla Russia sia per le esigenze nazionali che per il mercato dell'export. Prodotto fino ad oggi in 8500 unità, si ritiene che i T-90 a disposizione delle Forze Armate della Russia siano tra i 5500 ed i 6200 a seconda delle stime.
Abbiamo così finito di passare in rassegna tutti i modelli di carri armati in servizio presso i reparti sia di prima linea che di riserva di Mosca e, sommando tutti i dati sopra menzionati, si capisce come i numeri eccedano certamente i 12.420 dell'articolo di Forbes sopra riportato e, nella peggiore delle ipotesi (per noi) possano arrivare addirittura a 35.200 unità garantendo alla Russia il possesso sulla carta della forza corazzata più imponente al mondo.
È ovvio che per poter essere schierati nuovamente al fronte, questi mezzi necessitano almeno di una revisione quando non di una completa ristrutturazione e una parte verrà semplicemente “cannibalizzata”, tuttavia come chiunque può capire, se anche il numero di mezzi schierabili in battaglia dovesse scendere a 15-20.000, i margini che la Russia avrebbe dalla sua parte sono in ogni caso enormi.
Per fare un raffronto brutale; l'Italia ha ("avrebbe", ndd) in servizio 200 carri Ariete, e non so nemmeno se i Leopard 1 e gli M60 Patton posti fuori servizio siano ancora utilizzabili. E si badi bene, in queste pagine abbiamo parlato dei carri armati, ma lo stesso identico discorso può essere fatto per gli altri mezzi corazzati, l'artiglieria, i sistemi antiaerei, i velivoli, ecc...
Il fatto che un paese di grandi dimensioni come la Russia, che per altro è sempre stata ossessionata dall'eventualità di venire trascinata in una guerra su due fronti, mantenga in riserva grandi quantità di armamenti, anche decisamente datati, ha perfettamente senso se tali arsenali le possono garantire, nel caso di una grande guerra, di “prendere tempo” e riorganizzarsi. Ogni commento da questo punto di vista è superfluo.
Prima di concludere la nostra narrazione, è ora necessario dedicare alcune parole sulla spinosa questione delle capacità produttive degli stabilimenti russi che tanti hanno “fatto indignare”.
Come già detto nella mia precedente analisi, l'autore di queste parole è Jens Wehner, veterano carrista, storico militare nonché curatore presso il Panzermuseum di Dresda. Intervistato dal ricercatore e divulgatore austriaco Bernhard Kast, a proposito delle capacità produttive di carri armati della Russia specialmente in relazione al T-72, Wehner ha detto: “La prassi consolidata dei russi è quella di mantenere presso le loro fabbriche scorte di materiali tali da poter garantire la prosecuzione dell'output produttivo per un intero anno anche in presenza di un blocco completo delle forniture. Ciascuna delle grandi fabbriche russe ha la capacità di produrre 800 carri armati T-72 alla settimana, che diventano 3.200 in un mese per un singolo stabilimento e 16.000 se contiamo il lavoro di tutti gli stabilimenti in caso di una situazione di guerra totale, e questo semplicemente rendendo più efficace l'organizzazione ordinaria dei due turni produttivi, senza nemmeno introdurre il terzo turno giornaliero come fu durante la Seconda Guerra Mondiale”.
Al momento del crollo dell'Unione Sovietica, la Russia ereditò 7 grandi complessi (più un certo numero di realtà minori) per la produzione di carri armati ed altri mezzi corazzati. E necessario specificare che, in omaggio al “gigantismo russo/sovietico” ciascuno di questi complessi era costituito da una pluralità di fabbriche raggruppate in vere e proprie “città industriali”.
Tali realtà erano: la UralVagonZavod (situata a Nizhny Tagil), la Kirovsky Zavod-LKZ (situata a San Pietroburgo), la Omsktransmash (situata a Omsk), la Krasnoye Sormovo (situata a Nizhny Novgorod), la Uralmash (situata a Yekaterinburg), la ChTZ-Uraltrak (situata a Chelyabinsk) ed infine la VgTZ-Volgogradsky Zavod (situata a Volgograd).
Al giorno d'oggi la UralVagonZavod mantiene la sua spiccata vocazione militare ed è proprio lì che vengono costruiti i T-72 ed i T-90 di nuova produzione mentre gli altri 6 complessi hanno differenziato le loro produzioni anche a beneficio del settore civile, tuttavia esse hanno mantenuto anche le loro linee di montaggio militari e sono equipaggiate per fare lavoro di manutenzione e ricostruzione dei mezzi assegnati alla riserva, oltre a poter realizzare interventi di aggiornamento su specifici modelli di carri armati oppure di altri mezzi corazzati selezionati per ciascuno dei grandi complessi (per esempio la Omsktransmash è specializzata nella manutenzione e nell'aggiornamento dei T-80).
La Russia ha a sua disposizione le strutture, le capacità industriali e le risorse per poter sostenere il suo sforzo bellico nel corso della presente Guerra Russo-Ucraina.
In merito alle illazioni secondo le quali il complesso di UralVagonZavod sia fermo a causa delle sanzioni che impedirebbero alla Russia di ottenere le parti di ricambio per la produzione dei suoi mezzi corazzati, personalmente ritengo che esse siano un insulto all'intelligenza umana. La Russia produce il T-72 dal 1969 ed il T-90 dal 1992 ed entrambi i modelli di carri armati sono di progettazione e produzione interamente nazionale. Vero è che, per garantire alle proprie industrie militari di fare il salto nel decisivo settore dell'elettronica applicata allo sviluppo dei sistemi di puntamento (fire-control system, FCS, in lingua inglese) specialmente per il combattimento notturno, in occasione dell'Eurosatory 2012 la joint stock company russa Rosoboronexport e la francese Thales Optronics Company firmarono un contratto per la produzione su licenza e la riparazione delle termocamere Thales Catherine-FC ed in seguito delle Thales Catherine-XP presso la Volzhsky Optical and Mechanical Plant di Vologda. Tale contratto si è rivelato di fondamentale importanza per la Russia perché oltre a dare la possibilità al paese di integrare avanzata sensoristica occidentale nei propri carri destinati a clienti esteri quali l'Algeria e l'India ha anche permesso alle industrie russe di colmare il gap tecnologico esistente con i paesi occidentali grazie al successivo sviluppo di sistemi di puntamento nazionali quali: “Essa”, “Plisa”, “Sosna-U” e “Kalina” che equipaggiano le versioni più aggiornate dei carri russi come il T-72B3M, il T-80BV ed il T-90M. Ma anche se, per ipotesi, tali sistemi di puntamento non fossero davvero più disponibili, ciò non sarebbe comunque un problema perché la Russia avrebbe in ogni caso l'opzione di produrre in massa, per esempio i T-72, equipaggiandoli con sistemi di condotta al tiro più datati, come quelli di seconda generazione (ottenendo dei mezzi che nel gergo militare russo sono definiti “modelli scimmia”). Certo tale scelta non sarebbe ottimale, ma avrebbe il pregio di poter garantire la messa in campo di una grande quantità di mezzi in tempi brevi e a prezzi ridotti, esattamente come detto sopra da Wehner.
Siamo quindi giunti alla fine della nostra narrazione. Abbiamo cercato di fare una valutazione complessiva della disponibilità di equipaggiamenti delle Forze Armate Russe così come della capacità industriale che la Russia ha sia di poter rendere operative le riserve potenziali sia di coprire le perdite subite finora, nella presente guerra, con mezzi di nuova produzione. Gli elementi in nostro possesso in merito all'evoluzione su questo specifico tema ci portano a dire che, dall'inizio della guerra, i russi siano impegnati alacremente a recuperare quanti più mezzi possibile dalle loro basi-deposito e allo stesso tempo stiano mantenendo un moderato ritmo di produzione sufficiente a colmare le perdite. Questo, unito al fatto che, ad oggi, il numero confermato di perdite riguardanti i carri armati russi e donbassiani alla luce delle evidenze fotografiche disponibili ha raggiunto quota 635 (di cui 16 T-64, 381 T-72, 123 T-80, 20 T-90 e 95 di tipo non identificabile) da comunque alla Russia un vantaggio notevole rispetto all'Ucraina.
Foto: MoD Fed. Russa