Sebbene i demografi non potranno mai esserne sicuri, è stato annunziato dai media che il 15 novembre l’Umanità ha raggiunto la cifra di otto miliardi di individui. Al di là del numero, che appare tanto impressionante quanto aleatorio, che cosa significa? Ben poco, in quanto quello che conta è il trend di crescita che, come già previsto in passato, sta di fatto riducendosi.
Fino a che punto aumenterà la popolazione globale?
Questa è una domanda complessa in quanto fino ad oggi i ricercatori si basavano su stime che sono poi risultate non corrette. Per assurdo la cifra degli otto miliardi potrebbe essere la più attendibile che l’ONU abbia prodotto finora. L’organizzazione ha recentemente cambiato il modo in cui analizza i dati, passando da intervalli quinquennali a intervalli annuali. In particolare, c’è stato un costante miglioramento negli ultimi decenni nella capacità di molti paesi di raccogliere valori statistici. Se questo è vero per i Paesi più industrializzati non può essere similarmente attendibile per i paesi che stanno attraversando crisi e conflitti umanitari, come la Somalia, lo Yemen e la Siria.
Stime divergenti ma c’era da aspettarselo
Il rapido aumento della popolazione nel corso del ventesimo secolo è stato guidato dai progressi della sanità pubblica e della medicina, che hanno permesso a più bambini di sopravvivere fino all’età adulta. Allo stesso tempo, i tassi di fecondità (definiti come il numero medio di figli per donna) si sono ridotti nei Paesi più industrializzati, ma sono aumentati o comunque rimasti elevati nei Paesi del terzo mondo.
I demografi sono particolarmente interessati a determinare con precisione i tassi di fertilità, perché questi fattori possono far prevedere ciò che accadrà alla popolazione globale in futuro. Le differenze nei tassi di fertilità hanno creato una notevole deviazione percentuale da ciò che vari modelli avevano previsto in precedenza per la popolazione mondiale nel 2100 che suggerivano uno spread compreso tra 8,8 miliardi e quasi 11 miliardi. Interessante è l’aspettativa di vita maggiore nei Paesi più industrializzati che però hanno nel contempo una minore fertilità.
Tra i Paesi più incisivi a livello demografico abbiamo la Cina, e ci si domanda quando si raggiungerà il picco della popolazione cinese. Sulla base delle previsioni delle Nazioni Unite i dati provenienti dalla Cina sono oggi più affidabili dalla fine della politica “del figlio unico” avvenuta nel 2015. È infatti emerso che molte famiglie, in particolare con la nascita di una femmina, non registravano il parto, per cui molti bambini non venivano considerati nelle statistiche ufficiali fino a quando non iniziavano a frequentare la scuola dell’obbligo. Secondo Nature, le previsioni delle Nazioni Unite suggeriscono che la popolazione cinese ha già raggiunto il suo picco e si ridurrà di anno in anno, almeno fino alla fine del secolo.
Per gli altri Paesi il trend potrebbe essere ben diverso
Il cambiamento è dovuto ai tassi di sopravvivenza osservati che stanno aumentando nei Paesi a basso reddito grazie ad una minore mortalità infantile. Un altro fattore da considerare sono i tassi di fertilità che in alcuni grandi Paesi, incluso il Pakistan, stanno crescendo. Nei prossimi dieci anni la popolazione dell’India supererà quella della Cina che, come premesso tenderà invece a scendere.
Di fatto l’Asia è oggi il continente più popoloso, in cui vive circa il 60% degli abitanti della Terra ma che potrebbe essere raggiunto, entro il 2100, dall’Africa. Per dare un’idea: oggi circa un sesto della popolazione mondiale vive in Africa, nel 2050 la quota sarà di un quarto ed alla fine del secolo, un abitante su tre al mondo sarà africano. In pratica su tre, uno sarà asiatico, uno africano e l’ultimo suddiviso su Europa e continente americano. Le popolazioni del Nord America e Europee tenderanno a diminuire dal 2030.
Nel 2018, l’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA) di Vienna aveva previsto che la popolazione mondiale sarebbe stata di circa 9,5 miliardi nel 2100. L’Istituto sta ora preparando un aggiornamento, che molto probabilmente modificherà tale stima tra 10 e 10,1 miliardi per poi iniziare una fase di riduzione. Questo è fondamentale, non solo per fornire una solida base da cui partire per proiettarsi in un lontano futuro, ma anche per sviluppare politiche attuali nella pianificazione degli strumenti da adottare a seguito delle future emergenze. Basti pensare alla recente pandemia, in cui la valutazione degli stock vaccinali è stata errata. Inoltre, per necessaria valutazione della distribuzione delle risorse e la previsione di medio e lungo termine del lavoro in determinati settori (educazione, sanitario, terziario, etc.).
Non ultimo la distribuzione delle risorse per cercare di mitigare fenomeni incontrollati di migrazioni di massa da aree necessitanti di supporto verso i Paesi più fortunati, di fatto creando fenomeni sociali destabilizzanti. Risposte definitive non ci sono ma si ritiene che il fenomeno migratorio interesserà principalmente India, Nigeria, Congo, Pakistan, Etiopia, Tanzania, Uganda e Indonesia dove ci si aspetta una forte crescita demografica. Questa migrazione, se non controllata, porterà ad una drastica riduzione delle risorse con un alta possibilità di conflitti sociali. E… la prima linea di scontro avverrà sul mare.
Grafici: World Population Prospects 2017
(articolo originariamente pubblicato su https://www.ocean4future.org)