Agli inizi del 1900 le arti marziali orientali pervennero nei Paesi occidentali grazie alle attività d’oltremare effettuate dalle varie marine militari operanti in Estremo Oriente, in quello che a quei tempi veniva chiamato "Sud-Est Asiatico".
Non è quindi un caso che le prime cinture nere italiane di Judo (ma anche di Ju-Jitsu) furono dei sottufficiali della Regia Marina di stanza in Cina sulla Regia Nave Vesuvio, a Tientsin e successivamente a Shanghai, subito dopo la cosiddetta “Rivolta dei Boxer” (1899); una rivolta che venne alimentata e sostenuta da molte scuole di Kung-Fu (più propriamente di “Wushu”), impropriamente chiamate di “pugili” (in inglese dei “boxer” da cui il nome).
Tra le tante cose, va ricordato che anche la prima cintura nera italiana di Karate fu un marinaio.
Nel settembre 1907 a bordo del RN Vesuvio si disputarono le gare semestrali imposte dal Ministero della Marina per mantenere in allenamento gli equipaggi. La gara di jujitsu fu vinta dal sottocapo cannoniere Raffaele Piazzolla di Trani sul cannoniere scelto Carlo Oletti (foto seguente), diciannovenne torinese destinato però a lasciare un segno profondo nella storia della disciplina in Italia.
Favorevolmente impressionato dagli "esercizi di scherma di bastone in vigore sulle navi giapponesi", nel settembre 1907 il comandante del Vesuvio Eugenio Bollati introdusse a bordo anche un corso di kenjitsu ("arte della spada") che riteneva "utilissimo, col jujitsu, per sviluppare l’ardire e la forza dei nostri equipaggi". Sul finire del 1921, sempre un marinaio, il capo cannoniere di prima classe Carlo Oletti, fu chiamato a dirigere i corsi di jujitsu introdotti alla Scuola Centrale Militare di Educazione Fisica a Roma.
Esiste tuttora un legame tra le varie marine militari e lo sviluppo, nel loro ambito, di determinati “Stili” o “Sistemi di Combattimento Militari” particolarmente idonei per essere impiegati in ambienti angusti, limitati e ristretti come possono essere le strutture di una nave o in quelle situazioni operative in cui possono essere coinvolti, a vario titolo, dei reparti di Marina. In tale ambito si può citare un particolare e poco conosciuto stile di Karate, il Wanikan-Ryu, costituito per uno specifico impiego “navale”.
Per comprenderne appieno le sfaccettature è opportuno fare diverse considerazioni in termini generali. Chiunque abbia studiato e praticato una disciplina di combattimento, ha chiaramente in mente il fatto che ognuna ha una sua propria origine storica e culturale, ha le proprie regole etiche, i propri concetti, il proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze tecniche.
In tutto il mondo, dall’antichità sino ai giorni nostri, in particolare tenendo presente le diversità tra Occidente e Oriente, gli approcci alle discipline di combattimento sono stati molto differenti, in particolare in Giappone. Molti aspetti della vita e della cultura giapponese sono infatti soggetti a regole molto severe, devono rispondere a rigorosi codici comportamentali o devono seguire strettamente delle specifiche procedure… basti pensare al Chado (la cerimonia del Tè), allo Shodo (l’arte dello scrivere con il pennello sulla carta di riso), all’Ikebana (l’arte di disporre i fiori), l’Origami (l’arte di piegare la carta), al Bonsai (l’arte di coltivare alberi in miniatura), al Karesansui (l’arte di disporre le rocce e rastrellare il giardino Zen)… e, assolutamente non ultime, alle arti marziali giapponesi (Karate-do, Kobudo, Judo, Aikido, Kendo, Kyudo, Iaido…).
Le arti marziali, come ogni altra forma di arte o disciplina, hanno i loro pilastri nelle radici della tradizione con le loro dottrine, tecniche, terminologie, comportamenti, riti e rituali, ma, contestualmente, sono soggette a continui arricchimenti, sviluppi ed interpretazioni personali che portano ad inevitabili cambiamenti. In pratica, sono anch’esse soggette ad una certa “evoluzione” nel tempo.
foto: antica scuola di Karate presso il Shuri Castle, Naha (Okinawa), 1938 – Source The Japanese book “空手道大観” (A Broad View of Karate-do)
Il Karate, per esempio, ebbe le sue origini nell’isola di Okinawa (con appena quattro scuole ed i relativi stili) e solo successivamente, dopo l’acquisizione di Okinawa (e del suo arcipelago) da parte del Giappone (1879), si sviluppò in Giappone attraverso la creazione e lo sviluppo di ulteriori stili (più o meno una quarantina).
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, a seguito di una volontà politica giapponese, il karate si diffuse grazie all’invio o al trasferimento permanente di maestri giapponesi in tutto il mondo, fatto che consentì un notevole proliferare di stili, alcuni dei quali troppo “occidentalizzati” (secondo l’opinione di molti “puristi”) in quanto alcuni di loro abbandonarono le tradizioni ed i dogmi tecnici dei “padri fondatori” delle scuole di karate.
Attualmente nel mondo ci sono una quarantina di stili tra i più autorevoli o più conosciuti, a fronte di un più ampio numero di circa un centinaio, se non di più, sviluppati in diversi ambiti.
Ma quanti tipi di karate ci sono?
Prima di rispondere a questa domanda, è necessario fare alcune considerazioni in quanto, come usano sovente dire gli orientali, il karate è come un diamante: il nucleo è uno solo ma presenta molte facce tutto attorno.
Ci sono alcuni approcci, sia di natura storica che tecnica, che aiutano a fornire una corretta cornice ad ulteriori considerazioni. Esistono infatti vari tipi di approccio iniziale che consentono di classificare il karate in modi differenti.
Si può procedere a delle classificazioni in base:
- alle finalità marziali (concetti di Bugei, Budo e Kakugi);
- alle antiche origini (correnti Shorin e Shorei),
- alle radici tecniche (scuole e stili del Karate di Okinawa e del Karate Giapponese);
- all’addestramento tecnico ed alle regole di combattimento (Karate Tradizionale e Karate Moderno).
Come è ben noto, ognuno degli argomenti citati ha una portata enciclopedica ed è impensabile poterne fare una sintesi in poche righe ed è quindi necessario un approccio abbastanza pragmatico, che non deve essere ritenuto per questo motivo superficiale.
Ritengo opportuno evidenziare che gli argomenti che tratterrò sono da sempre stati sorgente di grandi dibattiti, di accese discussioni, sia tra gli storici che tra gli studiosi della materia nonché tra i maestri ed i praticanti di arti marziali (a tutti i livelli).
Concetti di Bugei, Budo and Kakugi
Sono i concetti con i quali una arte marziale viene classificata in relazione alla sua finalità marziale:
Bugei rappresenta la pratica di un’arte marziale per acquisire capacità offensive e letali per il combattimento bellico, ovvero per sviluppare una disciplina per il campo di battaglia;
Budo è la pratica di una arte marziale per raggiungere, per quanto possibile, la perfezione di un proprio equilibrio interiore attraverso una rigorosa disciplina, duro addestramento e condizionamento fisico, al fine di diventare una persona migliore e più forte;
Kakugi è un concetto molto più recente e rappresenta la pratica di una arte marziale solo ed esclusivamente per finalità sportive.
Correnti Shorin e Shorei
Queste due antiche correnti rappresentano probabilmente le origini di due grandi scuole cinesi, già sintesi di molte altre forme di combattimento, che pervennero sull’isola di Okinawa e contribuirono alla creazione di due differenti tipologie di insegnamento e di pratica del karate (con le rispettive scuole e stili):
lo Shorin-Ryu (vedi video), da cui nacquero tutti quei stili di karate che privilegiavano l’agilità e la velocità e lo Shorei-Ryu, da cui nacquero quelli che privilegiavano invece la forza fisica e la potenza muscolare.
In realtà, tutti gli stili di karate presentano sempre una armonica fusione di agilità, velocità, equilibrio, forza, potenza… e molto altro ancora!
Karate di Okinawa e Karate giapponese
Sebbene l’isola di Okinawa sia giapponese da più di un secolo, rimangono tuttora molte differenze tra il karate di Okinawa e quello giapponese. Tutte queste diversità hanno fortemente influenzato le scuole e gli stili discendenti, che riguardano quasi tutti gli aspetti del karate:
- il condizionamento fisico;
- le “pratiche base tradizionali” (kihon);
- i movimenti del corpo:
- l’addestramento;
- le “forme tradizionali” (kata);
- i tipi di respirazione:
- lo sviluppo della potenza:
- le tecniche di combattimento (kumite):
- la terminologia:
- e le tattiche di combattimento.
Li vedremo più approfonditamente nella seconda parte.
Marco Bandioli
Leggi: "Il Wanikan-Ryu Karate, uno stile nato per i marinai (seconda parte)"
L'ammiraglio MMI (ris) Marco Bandioli ha al suo attivo lunghi periodi di imbarco nei quali ha partecipato ad operazioni navali, anfibie e di sicurezza marittima, sia in contesti nazionali che multinazionali e/o NATO. Ha comandato tre unità navali in piena attività operativa ed è stato anche impiegato in ambito Interforze nonché nello staff alle dirette dipendenze del Ministro della Difesa. Ha scritto un manuale di “Guerra anfibia” ad uso dell’Accademia Navale e per la casa editrice IBN un manuale operativo per la difesa antiterrorismo dei porti. Inoltre è autore di numerosi articoli, sia a livello strategico che tattico, per diverse riviste di settore, sia istituzionali che di normale divulgazione. In qualità di cintura nera 5° Dan di karate, e specialista in tecniche di combattimento militare, scrive periodicamente articoli per una organizzazione internazionale di arti marziali.
Foto: web
(articolo originariamente pubblicato su https://www.ocean4future.org)