Dopo un periodo buio in cui il confine tra marine militari e mercantili sfumò in organizzazioni spesso di comodo, adattate alle esigenze del momento, incominciò a nascere il seme del dubbio sulla corretta gestione di uno strumento che era tutt’altro che trascurabile in un panorama marittimo in cui gli scontri erano all’ordine del giorno e non potevano essere lasciati all’improvvisazione di comandanti spesso blasonati ma non in possesso di sufficienti capacità professionali.
La marina della Serenissima e la visione di Angelo Emo
Un esempio di sviluppo organizzativo interessante è quello della marina veneziana.
Sino al Seicento, i comandanti delle unità militari veneziane, detti sopracomiti (ovvero quelli al di sopra dei comiti, parola derivante dal termine Komes bizantino, in qualche modo equivalenti agli attuali sottufficiali), erano sempre scelti tra gentiluomini di nobili origini.
La loro carriera ne prevedeva l’imbarco prima come balestreri, per poi diventare nobili di poppa e quindi, qualora scelti dal Collegio della Milizia da mar (una specie di Admiralty Board britannico nell’ambito della Serenissima) assurgere al comando di una nave. La marina da guerra era comandata dal provveditor generale da mar, mentre il comandante della squadra navale era detto capo da Mar, con l’accezione di ammiraglio.
In realtà il titolo di ammiraglio, più che un comandante militare, designava un esperto di questioni marinaresche, e spettava a tre ufficiali impiegati nel porto di Venezia (l’ammiraglio dell’arsenal, comandante militare dell’Arsenale, l’ammiraglio del Lido e l’ammiraglio di Malamocco) e al comandante del Bucintoro, la splendida nave ducale. Sia il provveditore generale da mar che il capo da mar erano prescelti dal Senato della Repubblica.
Esistevano poi le figure dei comandanti delle fortezze (assimilabili ai capi di un dipartimento marittimo attuale) prendevano il nome di provveditor; quando imbarcati questi comandanti di guarnigione erano detti capitani degli armigeri.
Organizzazione della flotta
La flotta, in veneziano armada, era suddivisa tra le navi assegnate all‘armata grossa (flotta velica) la cui catena di comando prevedeva un capitano delle Navi (sempre di rango patrizio), l’almirante, il patrona delle navi, il governator di nave ed i nobili, e l’armata sottile (flotta remiera) il cui capitano della nave era un sopracomito, sempre di rango patrizio, con alle sue dipendenze il comito (primo ufficiale), l’armiraglio (ufficiale addetto alla manovra) e i nobili di poppa (due o tre ufficiali in addestramento).
Nella marina mercantile la situazione era un pò migliore in quanto esisteva la figura dei padroni o patroni che, di origine modesta, dopo un lungo iter a bordo comandavano le navi commerciali. Essi erano in genere mercanti che, per prendere il comando ed essere considerati comandanti, dovevano effettuare almeno dieci anni d’imbarco.
Come nella maggior parte delle marine del ‘600, la presenza dei nobili che assumevano il ruolo di comandanti, spesso senza averne le capacità e mettendo a rischio la salvezza della nave e del suo equipaggi, era un elemento di debolezza. Questo era un problema minore a Venezia che doveva la sua fortuna ai commerci marittimi, ma non risolveva il problema; esistevano mercanti, abili comandanti, che all’occasione si trasformavano in combattenti sul mare, e gentiluomini il cui interesse spesso era di acquisire competenze politiche, militari ed amministrative, una specie di apprendistato voluto dalla Repubblica della Serenissima per formare i futuri dirigenti in tutti i settori vitali della società ma la cui preparazione navale era spesso insufficiente, di fatto delegando ad ufficiali inferiori la gestione delle manovre.
La loro abilità e capacità era quindi spesso devoluta ai loro dipendenti e non sempre dava garanzie. Il problema assumeva maggiori problemi sul piano tattico ovvero di contrapposizione contro le forze nemiche.
Ovviamente questa visione limitata penalizzava la creazione di un corpo di ufficiali professionisti responsabili di comandare le unità della flotta e si aggravò nel XVIII secolo; in quel periodo d’oro della marineria la maggior parte delle potenze navali europee si orientò, anche se in diverse misure, ad istituzionalizzare la categoria degli ufficiali, integrata nello Stato con funzioni pubbliche stipendiate dallo Stato.
Degna di nota fu la riforma dell’ammiraglio veneziano Angelo Emo (immagine), ultimo grande comandante operativo della Marina della Serenissima che obbligò i capitani delle navi a rispettare rigorosamente i ruoli d’ingaggio dell’equipaggio, formalizzando una gerarchia di comando tra i 4 piloti già previsti. In pratica trasformando le già esistenti figure di primo tenente di vascello, secondo tenente, sottotenente e alfiere in moderni ufficiali che dovevano attenersi a regolamenti ed iter formativi e gerarchici ben precisi.
La marina inglese
Probabilmente la riforma, fortemente voluta da Angelo Emo nel 1775, si ispirò alla analoga in corso dal 1740 nella Royal Navy intesa a regolarizzare oltre Manica radicalmente la gestione dirigenziale, partendo dall’uso delle uniformi che, come dice la parola, dovevano essere “uniformi” a parità di livello e non un insieme di arlecchinate legate allo status sociale.
Lo sviluppo nella Royal Navy inglese del concetto di regolamento fu il primo passo verso una professionalizzazione dei militari, partendo dagli ufficiali che, prima del 1740, erano prescelti in funzione del loro status sociale. I neo ufficiali adottarono delle uniformi di blu scuro (non per eleganza ma per motivi pratici legati a ridurre gli effetti dell’usura del maltempo). La divisa blu divenne quindi uno standard per tutti gli ufficiali di marina e si diffuse nel tempo in tutte le marine.
All’epoca nella Royal Navy esistevano solo tre gradi: captain, lieutenant ed il sailing master, responsabile della conduzione della nave. In breve tempo il termine “sailing master” divenne “master and commander”, poi accorciato in “commander” che riceveva gli ordini dal captain sulla missione ma aveva la massima autonomia nell’esecuzione delle manovre e nella gestione della nave.
Una pietra miliare fu l’emanazione nel 1748 di regolamenti per le uniformi degli ufficiali di marina da parte di Lord Anson; può sembrare un fatto minimale ma in quella maniera si identificò in maniera univoca la figura degli ufficiali che avrebbero indossato, indipendentemente dal loro rango sociale, la stessa uniforme, e assunto un ruolo giuridico sempre più vincolante essendo, di fatto, stipendiati dallo Stato.
Alla fine del XVIII secolo l’uso dell’uniforme si diffuse in tutti Paesi marittimi, con l’introduzione prima delle spalline e poi dei gradi sulle maniche, per poter distinguere i diversi gradi. Ricami dorati sui polsini e sul colletto non erano inizialmente indicativi del grado ma erano posti per indicare la ricchezza e lo status dell’ufficiale ma con la nuova regolamentazione divenne un segno distintivo. L’uniformare la loro foggia e fu anche un modo indiretto di eliminare inutili privilegi. Nasceva il naval officer, l’ufficiale gentiluomo.
Un modello quello dell’ufficiale professionista che dura ancora ai giorni nostri e distingue, sia nel ramo militare che marittimo, una categoria professionale caratterizzata da regole e etiche ben precise.
L’impulso rivoluzionario di professionalizzazione della Royal Navy si allargò presto in tutta l’Europa, in Asia e nel Nuovo mondo e le uniformi in qualche maniera conservarono una matrice similare. D’altronde non esiste una forza armata universale come la Marina.
Come disse Platone “Ci sono tre tipi di uomini: i vivi, i morti, e quelli che vanno per mare”, accomunati dalla salsedine e da un spirito unico che, al di là delle bandiere che servono, li rende figli del mare.
C’è ancora molto da raccontare e in un prossimo articolo parleremo più approfonditamente dell’origine dei diversi gradi nelle marine militari...
(continua)
Leggi: "L’organizzazione marittima in epoca antica (prima parte)"
Bibliografia
http://www.societaitalianastoriamilitare.org/quaderni/atti%20SISM%20Vene...
Clowes William Laird, Markham Clements Robert, Mahan Alfred Thayer Wilson Herbert Wrigley (1897–1903). The Royal Navy, a history from the earliest times to present. Vol. I. London, Samson Low, Marston, Co.
https://archive.org/details/royalnavyhistory01clow/page/6/mode/2up
Foto: web
(articolo originariamente pubblicato su https://www.ocean4future.org)