In particolare durante il boom economico degli anni ’80, molti giovani chiamati al servizio di leva vedevano un’interruzione delle aspettative professionali che l’economia del periodo garantiva. Per altrettanti però, l'anno di militare rappresentava un fondamentale dovere morale, mentre per un’altra fetta di ragazzi era un’opportunità da cui poter trarre capacità professionali.
Fatto sta che in 143 anni di leva obbligatoria, il contributo all’amministrazione delle F.A. dei militari di leva, ha permesso il funzionamento a pieno regime di tutta la complessa struttura della Difesa. Di questo ne è sicuro un luogotenente, in pensione da oltre vent’anni, che d’ora in avanti citerò con il suo nome: "Filippo".
Potrei descriverlo come un diplomatico sottufficiale dell’Arma delle Trasmissioni incaricato dei Ponti Radio, un “pontista”. Nel corso della sua carriera si è dimostrato capace, con le dovute doti di equilibrista, di sopravvivere nell’ambiente di quell’Esercito che i più ricordano. Riflessivo e curioso, sempre sorridente, ha sempre la battuta pronta.
In sei racconti a puntate ci farà compagnia ricordando come si lavorava a quei tempi... Superati?
L’esercitazione
Più conosciuta come “campo” (oggi missione) era un periodo di circa quindici giorni dove ti mettevi alla prova con te stesso, vista la mancanza di ogni comodità e consuetudine, immerso in un contesto gerarchico dove dovevi solo obbedire.
L’esperienza, nella sua essenza, ricostruiva un contesto militare di guerra dove, in base a dov’eri assegnato, eri valutato in prove, capacità o nella disinvoltura con cui effettuavi il passo del leopardo sotto un filo spinato a pochi centimetri da terra immerso nel fango (da ricordare che le mimetiche in dotazione erano solo due).
Filippo, brillante luogotenente delle trasmissioni dotato della verve tipica dei nativi della Tuscia Viterbese, ne ricorda una in cui i protagonisti sono stati soldati americani...
Il centro nodale d’area
Erano gli anni ‘80 e il reparto delle trasmissioni a livello di battaglione era stato attivato per un campo in agenda sulla pianura Veneta. Sulle pendici delle Prealpi Carniche al confine tra Friuli Venezia Giulia e Veneto e davanti alla base USA di Aviano, era stato installato il centro nodale d’area. Qui gli Iveco ACL75 e i Fiat ACM52 avevano sul pianale gli shelter con i sistemi radio PR5 e MH-191.
Ogni tanto - racconta Filippo, allora maresciallo capo - passavano sopra di noi i giganteschi aerei da trasporto strategico Lockheed C-5 Galaxy.
Una mattina la squadra del maresciallo vide arrivare trasmettitori americani che, ordinatamente, si posero a circa 200 metri dai colleghi italiani. Arrivarono con tre veicoli, autocarri AMC e Dodge e un gruppo elettrogeno PU-618/U (necessario per alimentare i sistemi radio). Il generatore era identico a quello utilizzato qualche anno prima dalle unità delle Trasmissioni dell’Esercito Italiano. I loro automezzi furono parcheggiati nella stessa direzione nella quale erano arrivati.
In quella esercitazione molto impegnativa e ricca di apparecchiature e collegamenti il maresciallo era in compagnia di un suo parigrado altrettanto preparato che, osservando come erano posizionati i trucks americani, esclamò: da quella posizione se dovesse piovere non escono più! Arrivò in seguito la pioggia e così fu…
L’inflessibile sergente dello U.S. Army
Di comune accordo i nostri due marescialli titolari delle attività (Filippo e il suo socio) del centro nodale andarono a presentarsi al più alto in grado della squadra USA. Trovarono uno alla "Hartman" di Full Metal Jacket: un sergente di ferro che ti ammonisce con lo sguardo, la classica persona con cui speri di non condividere nulla, soprattutto un "campo".
Il sottufficiale americano parlava poco l’italiano, ma abbastanza per capirsi con la squadra italiana e creare la sinergia.
Filippo racconta: “Mentre parlavamo con lui, i suoi militari lavoravano installando i cavi (o "venti" nella terminologia delle trasmissioni) per sollevare un lungo palo antenna.
Il sergente si accorse che i suoi parlottavano tra loro e si erano fermati davanti a un picchetto.
Capendo che c'era qualcosa che non funzionava, andò a vedere e si accorse che...”
Leggi: I racconti del luogotenente: il "sergente Hartman" (seconda parte)
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