Ucraina, Medio Oriente e Taiwan: le forze, i tempi e gli spazi della guerra

(di Emilio Tirone)
20/10/24

Fin dai nostri primi interventi1, conseguenti all’aprirsi della crisi russa-ucraina del 2022, abbiamo in particolare voluto evidenziare, di fronte alla ridda di pareri e previsioni dovuta al fiorire di improvvisati “esperti” di geopolitica e di questioni militari, che lo scopo dell’analisi di uno scenario di riferimento, specialmente nel campo operativo, non è quello di fare pronostici, soprattutto di vittorie, a breve o a lungo termine, quanto di capire cosa accade e perché, come primo passo per individuare le azioni più probabili che potranno susseguirsi nel tempo. Solo in tal modo l’analisi, tenendo conto di esigenze e possibilità delle opposte forze, diviene un utile strumento per il livello decisionale, sia esso politico o militare, quest’ultimo, a sua volta, in base alla tipologia degli elementi esaminati, di livello strategico o tattico. Un ausilio concettuale indispensabile per le successive fasi pratiche, di pianificazione, organizzazione e condotta delle operazioni.

Tali fasi, a loro volta, non possono prescindere da quei riferimenti fissi che, dottrinalmente, come assodato dall’esperienza, sono individuati quali “principi dell’arte della guerra”, che possiamo definire come le leggi interne, di causa ed effetto, delle dinamiche operative dei conflitti bellici. È dunque l’analisi, tenendo conto di questi principi, che permette l’individuazione e la determinazione di quelle azioni che, operativamente, si auspicano le più idonee tra quelle possibili per conseguire gli scopi prefissati.

Naturalmente, come ben sa ogni militare responsabile di un livello decisionale nelle funzioni di comando, nella piena consapevolezza dei limiti dettati dalla contingenza della realtà concreta, in quanto gli elementi in gioco sono troppo numerosi e occulti per poterli individuare nella loro globalità, enormemente complessi e imprevedibilmente interconnessi per poterli gestire aprioristicamente e, per di più, di natura non solo razionale ma anche irrazionale per poterli governare tutti in modo predeterminato.

Per tale motivo, in guerra l’azione che si è ordinata (comando) in fase esecutiva (condotta) va continuamente monitorata (controllo) e riadattata, quando lo sviluppo della situazione diverge da quanto pianificato (scostamento). Pertanto, analisi, pianificazione, comando e controllo concettualmente non costituiscono un processo lineare ma, in quanto continuo, circolare. Un processo che, nonostante i continui sforzi di razionalizzazione e standardizzazione, per quanto sottoposto a ben individuate leggi interne, mantiene, per sua ineludibile natura, un altissimo livello di indeterminatezza, a cui fa diversamente fronte, in fase elaborativa, l’intuito dell’analisi identificativa di problemi e di risposte e, successivamente, in fase esecutiva, la capacità creativa di tradurre in atto (pratica) quanto individuato come soluzione. Motivo per cui, ancor oggi, nonostante l’estrema modernizzazione tecnologica, la guerra non può comunque considerarsi una scienza esatta ma si parla ancora di “arte della guerra” e di “genio militare”.

Tutto questo sistema metodologico, per dare validi risultati che perseguano realmente il successo e, nel contempo, riducano il rischio di andare incontro a palesi disastri, ha bisogno di un ingrediente speculativo fondamentale che va sotto il nome di “onestà intellettuale”. Questa deve assicurare che tutto il processo analitico sia contraddistinto dalla massima applicazione di ogni energia razionale verso il perseguimento dello scopo, senza condizionamenti e adattamenti di qualsiasi natura, compreso, il piegarsi a logiche di comodo e di consenso, che per accondiscendenza fanno pronosticare quello che il vertice vuol sentirsi dire anche a discapito della realtà. È questo un rischio sempre presente in ogni sistema caratterizzato da dipendenza gerarchica funzionale, sia essa, strettamente o in modo combinato, militare, politica, economica o di qualsiasi altra natura.

Una falsificazione, tra l’altro, fugace ed effimera, perché sul campo di battaglia, alla prova dei fatti, l’opposta volontà del nemico non fa sconti e ne conseguono disfatte e disastri.

Analisi informativo-divulgativa

Il processo metodologico che abbiamo fin qui descritto vale non solo per le analisi a fini operativi, bellici o politici, ma anche per quelli informativo-divulgativi. Le analisi veicolate dai mezzi d’informazione pubblici, pur non essendo finalizzate all’operatività, dovrebbero, con identiche dinamiche, comunque muovere dalle stesse premesse e sottostare agli stessi rigorosi parametri al fine di individuare le principali caratteristiche della realtà. Quindi, con la stessa libertà e onestà intellettuale, si dovrebbero ricercare cause, effetti e possibili conseguenze, senza accondiscendenze politiche, senza ricercare il facile consenso sociale e senza manipolare i risultati secondo i propri desiderata.

In definitiva, a livello di informazione pubblica gli analisti, nello studiare uno scenario, dovrebbero avere come scopo finale, esaminando fin dalle loro origini le problematiche in questione, quello di fornire un quadro della situazione presente quanto più possibile completo e comprensivo dei possibili sviluppi futuri. Un servizio che, dovrebbe avere l’obiettivo di alimentare il dibattito pubblico e agevolare la formazione di una libera opinione.

Purtroppo, invece, la maggior parte delle analisi, a cui assistiamo dall’inizio del conflitto, sono sempre più simili alla propaganda di guerra e contribuiscono ad alimentare un insensato sentimento da tifoseria, il cui scopo principale sembra essere solo quello di orientare acriticamente la collettività. Che questo lo facciano opinionisti e politici è cosa normale, ma non è accettabile che sia anche l’agire di coloro che spacciano come analisi tecniche, al fine di darne legittimità, quelli che, in realtà, sono semplici pareri o auspici.

Non è neanche accettabile la superficialità con cui viene rappresentata la realtà di un conflitto e i suoi possibili sviluppi. Ciò che potrebbe essere considerato plausibile da parte della maggioranza dei commentatori improvvisati non lo è da parte di quelli che avrebbero, almeno sulla carta, l’opportuna expertise, fatta di competenze concettuali e capacità tecniche. Questo nonostante le continue smentite, a volte veramente imbarazzanti per la rapidità con cui la realtà sconfessa in modo eclatante previsioni e dichiarazioni.

La logica conseguenza sarebbe, per pudore rispetto alla propria credibilità tecnica, il subentrare di una maggiore cautela e un’apertura ad un più realistico possibilismo fatto di alternative e ipotesi. Invece sembra si sia consolidata un’assuefazione all’errore, per cui si continua, con improntitudine, esibizionismo e bronzea noncuranza, a lanciare previsioni sicure, pretenziose e a senso unico, mentre la contemporanea persistenza degli stereotipi negativi non aiuta l’obiettività dell’analisi.

Lo scenario internazionale e la sua possibile evoluzione

Nello specifico caso della guerra tra Russia e Ucraina l’ostilità contro la prima ha indotto in Occidente, in particolare in quello Europeo, ad una serie di valutazioni molto azzardate e superficiali che, puntualmente, sono giunte al capolinea. Un’analisi divulgativa seria, ripetiamo, non è resa tale “dall’azzeccare” un pronostico ma per la capacità di individuare gli scenari più probabili. Identificare, tra le varie possibilità, che l’Ucraina, in un confronto di logoramento, potesse esaurire le proprie forze e che, di contro, la Russia potesse lentamente macinare ogni difesa, secondo il suo storico modus operandi da lento rullo compressore, non era un compito difficile da comprendere e da inserire, quindi, tra i possibili scenari in divenire. Lo stesso dicasi sulla valutazione che la puntata offensiva sul suolo russo nella regione di Kursk fosse un enorme errore, commesso contro ogni principio della guerra2.

Le analisi invece sono sembrate principalmente orientate a presentare un quadro che convincesse l’opinione pubblica verso il sostegno alla guerra. Un accanimento mediatico, tra l’altro, che sottende a un inguaribile e autoreferenziale eurocentrismo, che considera il peso della propria opinione pubblica fondamentale sull’economia generale della condotta di guerra e trainante sul resto del mondo. Un mondo che, invece, risulta sempre più cosciente della propria sovranità e affrancato dall’influenza occidentale.

Cosa più grave è, comunque, il fatto che nessun Governo europeo ha valutato con serietà le conseguenze che si stanno delineando e quindi svolto una seria azione pacificatoria. Questo, si badi, al di là di ogni opinione, ostile o meno alla Russia, ma per una semplice convenienza, militare, umanitaria, politica ed economica.

Se in una società pluralistica è legittimo avere un’opinione politica, anche la più discutibile, fino a credere accettabile il rischio di un conflitto diretto che coinvolga la NATO, anche chi si pone da un lato strettamente antirusso dovrebbe valutare i reali rischi di un confronto militare3, specie dopo il recente aggiornamento della dottrina russa sull’automatismo della risposta nucleare. Invece, come avevamo già scritto, ritorna lo scenario di Herman Khan di “pensare l’impensabile”, ritenendo possibile vincere un confronto atomico al di là del prezzo da pagare4.

Relativamente all’aspetto umanitario, invece, si sarebbe potuto operare almeno per tentare di risparmiare centinaia di migliaia di vittime e immense distruzioni infrastrutturali. Inoltre, dal punto di vista della pura convenienza, ad esempio, le valutazioni sulle ripercussioni delle scelte sanzionatorie a fini di destabilizzazione sull’economia russa sono state entusiasticamente quasi univoche per il loro successo, rivelandosi invece fallaci e addirittura controproducenti per quella europea. Oltre al consumo di ingenti risorse belliche, operando per una pacificazione diplomatica, si sarebbe evitato il rischio, sempre più verosimile della soppressione della stessa indipendenza ucraina. La quale, politicamente, agli occhi di un mondo che gradatamente, a torto o a ragione, tende ad affrancarsi dall’Occidente, cercando una stabilità multipolare attraverso la Russia e la Cina, evidenzia pericolosamente anche in campo militare la vulnerabilità occidentale.

La crisi militare ucraina evidenzia come Stati Uniti ed Europa non siano riusciti, nonostante le convinte dichiarazioni, a fornire un sostegno determinante. In definitiva, oltre le citate sanzioni, l’aver propagandato falsamente come risolutivi i vari e successivi invii di armamenti, fino all’eliminazione delle restrizioni sull’utilizzo di missili a lungo raggio, rappresenta il totale fallimento sia delle operazioni ucraine sia dell’appoggio occidentale, come la propaganda russa sta ben evidenziando.

Avevamo, nel nostro ultimo intervento5, formulato tre possibili ipotesi, come end state legato al successo finale delle operazioni russe, in sintesi:

1) l’acquisizione dell’intera regione del Donbass, con la stabilizzazione delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk nella Federazione russa;

2) la creazione di una zona cuscinetto che possa mettere in sicurezza i confini russi e contemporaneamente impedire all’Ucraina ogni accesso al mare, attraverso l’acquisizione, oltre del Donbass anche dell’intera regione di Odessa, compresa quella che fu la “storica” Bessarabia;

3) la totale acquisizione dell’Ucraina.

Queste ultime due ipotesi, annullando la soluzione di continuità territoriale, avrebbero come corollario anche quello di rendere possibile l’ingresso della Transnistria nella Federazione russa.

Abbiamo già citato, sempre nel precedente articolo6, gli elementi di supporto a queste ipotesi, evidenziamo solo qui, alla luce dello sviluppo degli avvenimenti dell’ultimo mese, che esiste una maggiore probabilità che si verifichino le ultime due, in virtù di vari segnali, dagli attacchi condotti verso Odessa, alle tensioni sulle frontiere Ucraina-Bielorussa e tra Moldovia e Transnistria, tutti supportati, in tal senso, da una narrativa divulgativa russa sempre più evidente.

La prosecuzione della guerra per così lungo tempo, le perdite subite e soprattutto l’offensiva ucraina sul territorio russo, politicamente sono sempre più per il governo di Putin altrettanti stimoli cogenti per la prosecuzione della guerra fino al raggiungimento della Transnistria o addirittura all’inglobamento dell’intera Ucraina, questa eventualità, tra l’altro, eviterebbe lo scontato ingresso nella NATO di quello che resterebbe della stessa alla fine del conflitto, cosa inaccettabile per la Russia, specie dopo l’offensiva nella regione di Kursk, portata grazie al contatto di confine, e la sventolata minaccia di colpire il territorio della Federazione con armi a lungo raggio.

“Le perdite comportano naturalmente un irrigidimento psicologico e rendono difficile qualsiasi compromesso. La mobilitazione morale necessaria per sostenere la lotta induce a demonizzare l’avversario e spinge ad assumere fini politici illimitati. […] All’escalation della violenza si accompagna quella dei fini”7.

Ucraina, Medio Oriente e Taiwan, forze, tempi e spazi della guerra e loro saldatura

Tre parametri interattivi sono fondamentali nella condotta della guerra: le forze, il tempo e lo spazio. Questi costituiscono un sistema dinamico, la cui controllabilità è esercitata da forze contrapposte. Dove il concetto di forze, fuori dal ristretto campo tattico, si intende come livello di potenza, rappresentata da vari fattori o capacità oltre le forze armate e gli armamenti, come l’economia, l’apparato industriale-produttivo, il livello tecnologico, la demografia, etc. Elementi che aumentano in funzione dell’allargamento del livello strategico che si considera. L’autorità decisionale, ad ogni livello, deve sempre tener conto non solo di come questi parametri si rapportano con quelli avversari ma anche di come interagiscono tra loro.

Esaminando nel suo complesso la situazione strategica internazionale, le attuali aree spaziali di crisi di interesse globale, oltre quella ucraina, sono, come noto, il Medio Oriente e Taiwan. In apparenza in ognuna di esse sembra giocarsi una partita diversa e indipendente, dove diversi attori cercano di conseguire con gradualità tattica degli obiettivi strategici locali. In realtà, è evidente che le connessioni sono esistenti e molteplici e, ai fini della sicurezza globale, si dimostrano pericolose proprio per il rischio di potersi saldare contemporaneamente in un unico scontro.

In particolare, rispetto ai tre sopracitati parametri (forze, tempi e spazi), gli attriti dei contendenti si stanno dipanando con direttrici diverse, su spazi e con forze diversi di livello strategico locale. Ma, in un quadro strategico globale gli indicatori di raffronto sono due, gli stessi per tutti. Questi sono il rapporto di potenza militare tra la Cina e gli Usa, che discende essenzialmente da quello economico-industriale, e il parametro temporale, segnato dal tempo entro cui la Cina esplicherà la sua superiorità economica anche in campo militare rispetto agli Usa. Al contemporaneo prevalere dell’economia e della tecnologia cinese, infatti, non può che temporalmente seguire anche una supremazia militare, che oggi, invece, gli Usa ancora mantengono. Questo sembra essere, allo stato attuale, un dato di fatto che gioca in favore dello Stato asiatico.

In tale ottica di resa di conti finale che determinerà il nuovo ordine mondiale, la Russia e lo Stato di Israele stanno tentando il proprio riposizionamento, la prima riconquistando gli spazi perduti con la disintegrazione dell’Unione Sovietica, il secondo conquistando spazi ed eliminando le forze dei propri nemici storici. La Russia al fine di inserirsi come credibile potenza di livello globale, ricostituendo il prestigio, la forza militare e territoriale eredi dell’Urss, presentandosi come ulteriore polo rispetto ad una egemonia prettamente cinese o sino-americana, secondo una dichiarata visione multipolare. Israele, invece, sapendo che a quello stesso appuntamento non potrà più contare sull’aiuto Usa per garantire la sua sopravvivenza.

Per la Cina, che rispetto alla crisi di Taiwan ha interesse a tergiversare pur mantenendo periodicamente sempre alta la tensione, gli altri conflitti servono solo a guadagnare ulteriore tempo per rafforzarsi fino a portarsi ad una posizione di supremazia totale, logorando contemporaneamente forze ed economie occidentali. Contrariamente, l’interesse degli Usa potrebbe protendere pericolosamente verso la guerra totale, al fine di sfruttare l’attuale superiorità militare per ricondurre sotto il proprio ordine l’intera configurazione mondiale.

In questo gioco, l’unico attore al palo, subendo passivamente gli eventi, senza perseguire i propri reali interessi, sembrerebbe restare solo l’Europa.

4 H. Khan, Thinking about the unthinkable, Horizon press, New York 1962, pp.254 in: https://www.difesaonline.it/geopolitica/analisi/la-pace-fredda-sinoamericana-e-il-rischio-di-una-guerra-calda-europea

6 Ivi

7 C.JEAN, in Introduzione a C. Von Clausewitz, Della Guerra, ed. Rivista Militare, Roma 1989, pp. LIX-LX.

Foto: OpenAI / MoD Russia / presidenza del consiglio dei ministri / Xinhua