Era il 17 marzo del 1861 quando, durante la seduta a Palazzo Carignano, il nuovo Parlamento denominato per la prima volta “italiano”, promulgò la legge n. 4761 del Regno di Sardegna, la quale recitava: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e pei suoi successori il titolo di Re d’Italia. Era nato così, quantomeno giuridicamente, il Regno d’Italia, fondato su un’identità comune a tutti i liberali che avevano combattuto aspramente durante il periodo Risorgimentale: la Nazione italiana. Uno Stato che aveva le sue fondamenta nell’ordinamento costituzionale del Regno di Sardegna, che già dal 1848 si era dotato di una propria Costituzione, ovvero lo Statuto Albertino concesso dal re Carlo Alberto, la quale divenne anche la base giuridica del neonato Regno d’Italia, ma non solo. Sì perché la dinastia regnante volle dare un’impronta ancora più marcata dell’importanza del precedente regno, tant’è che Vittorio Emanuele non divenne Vittorio Emanuele I, come si sarebbe pensato, ma mantenne la precedente numerazione, così come la legislatura che si era aperta il 18 febbraio 1861, ovvero l’ottava.
Una decisione molto forte e piena di significati quella presa dal re e dai liberali moderati di Cavour, che non vedevano di buon occhio il fatto che all’unificazione della Penisola, non ancora completata in todo, era stato dato un contributo decisivo anche dal volontarismo garibaldino, per la maggior parte di mentalità democratica. Garibaldini che si erano resi protagonisti, con la loro risalita della Penisola partendo dalla Sicilia, del tracollo finale del Regno delle Due Sicilie, unico vero antagonista, sulla scena italiana, all’unificazione di tutta l’Italia. Il suo crollo dovuto da moltissime cause, tra cui la sopraccitata spedizione dei Mille, “obbligò” Vittorio Emanuele II ad attraversare i territori pontifici delle Marche e dell’Umbria in modo tale da poter fermare la risalita di Garibaldi, la quale puntava pericolosamente, diplomaticamente parlando, su Roma. Il famoso incontro di Teano del 26 ottobre 1860 diede fine alla spedizione garibaldina e permise al Regno di Sardegna di annettere i territori che furono del Regno delle Due Sicilie.
E l’Impero austriaco? Nel 1860, anno della spedizione di Garibaldi nelle terre borboniche, “l’odiato” Impero risultava momentaneamente sconfitto in seguito alla Seconda Guerra d’Indipendenza, avvenuta l’anno precedente, vinta dalle truppe sardo-francesi e conclusa con l’Armistizio di Villafranca. La resa austriaca alla Francia di Napoleone III, molto criticata in Italia, tant’è che portò alle dimissioni di Cavour, diede al Secondo Impero francese i territori lombardi, escluso Mantova e Peschiera, i quali vennero trasferiti al Regno di Sardegna, grazie agli accordi precedentemente siglati con Napoleone III a Plombières. L’Italia centrale, però, entrò in subbuglio, molte furono le insurrezioni popolari contro le varie dinastie regnanti, queste portarono alla richiesta di annessione al Regno di Sardegna, sempre più unico faro per tutti i liberali italiani. Il biennio 1859-1861 è chiave per la nascita del regno unitario, prima la guerra vittoriosa contro l’Austria, poi i plebisciti di annessione dell’11 e 12 marzo 1860 che sanciscono l’unificazione dell’Emilia e della Toscana con il Regno d’Italia e, per concludere, nella primavera del 1860 la già citata spedizione dei Mille.
La nascita del Regno d’Italia però non poneva termine a due questioni importantissime per il futuro del Regno, ovvero: come completare l’unificazione con l’annessione del Veneto e di Roma? Come costruire un sentimento comune di “Nazione italiana” che fosse diffuso in tutto il popolo e non solo nella borghesia cittadina? Il primo quesito venne risolto con una nuova guerra nel 1866, ovvero la Terza Guerra d’Indipendenza, che permise - grazie alle vittorie degli alleati prussiani, nonostante le due pesantissime sconfitte di Custoza, per terra, e di Lissa, per mare - di annettere al Regno d’Italia il Veneto e Venezia. Per Roma bisognerà attendere invece un’altra guerra, questa volta non combattuta nella Penisola ma in Francia, nel 1870, e che non vide coinvolto il Regio Esercito: la sconfitta di Napoleone III contro la Prussia permise al Regno d’Italia di entrare nella ormai indifesa Roma e di porre così fine allo Stato Pontificio. L’Italia era unita, mancavano all’appello solo il Trentino ed il Friuli, ma bisognava ancora “fare gli Italiani”. Diffondere l’ideale romantico di Nazione, in territori che vedevano nel neonato Regno d’Italia un nemico contro cui combattere, fu un compito difficile. Con il tempo, con l’educazione ed in piccola parte anche con la Grande guerra, che in una visione italocentrica può essere considerata anche come la Quarta Guerra d’Indipendenza, si riuscì a soddisfare questo bisogno. Purtroppo, però, gli italiani stanno sempre più dimenticando quanto sangue Italiano sia stato versato per costruire lo Stato unitario che, nonostante i suoi alti e bassi, da 156 anni è ancora qui.