Smeraldi, diamanti, gioielli, orologi, migliaia di monete d'oro e d'argento. Un vero e proprio tesoro celato nei fondali dell'Arcipelago toscano. È l'oro dell'Elba. Un tesoro dal valore inestimabile: quasi 350 milioni di euro, ipotizzano gli esperti. La notte del 17 giugno 1841 il piroscafo Polluce si inabissava al largo dell’isola d’Elba, speronato da un'altra nave, portando con sé un carico misterioso di preziose monete e gioielli. Probabilmente a causa di un tentato arrembaggio per rubare il prezioso carico che trasportava.
Il pironaviglio Polluce costruito nel 1839 dai cantieri Normand di Le Havre ed acquistato dalla compagnia di navigazione De Luchi-Rubattino fondata nel 1838, insieme all’unità gemella Castore. Possedeva un motore a vapore costruito in Inghilterra; produceva una potenza di 160 CV che muoveva le due ruote a pale laterali capaci di far raggiungere alla nave una velocità di 10 nodi. Il trasferimento al porto di Genova venne effettuato il 13 aprile 1841 e da qui iniziò la sua regolare linea Marsiglia – Genova - Livorno - Civitavecchia – Napoli. Alle 23,45 del 17 giugno 1841 il Polluce venne speronato dal piroscafo Mongibello, nei pressi dell’isola d’Elba a circa 2,9 km da Capo Calvo. La nave napoletana Mongibello, poi Monzambano, prima nave idrografica italiana dopo l’unità nazionale; con questo affondamento si trovò al centro di una vicenda tanto misteriosa quanto affascinante dai possibili risvolti politici di notevole rilevanza storica.
Le persone a bordo, circa 80 tra passeggeri ed equipaggio, riuscirono a salvarsi. Le modalità dell’incidente inducono a sospettare che lo speronamento da parte della nave napoletana sia stato volontario, e recenti ricerche storiche portarono a pensare che il Polluce avesse a bordo qualcosa che non doveva giungere a Genova, forse aiuti finanziari forniti dagli inglesi ai patrioti italiani. Il Rubattino (1810-1881), assistito dall’avvocato Guerrazzi patriota livornese, intentò causa ai napoletani, e vinse anche il processo, che si svolse a Livorno nel 1842, ma non fu mai risarcito, così come non furono risarciti i passeggeri, perché la nave non era assicurata e la legge del tempo non contemplava tali sinistri in mare. L’armatore Rubattino, due mesi dopo, tentò disperatamente di recuperare il relitto e il carico, un’impresa ardita per i tempi. Fece legare il relitto con delle catene e si cominciò a tirarlo su con 11 navi, ma il tentativo fallì per la rottura di una catena.
I dettagli del fallito recupero si conoscono grazie a un libretto di 48 pagine, pubblicato appena una settimana dopo il fallito tentativo nel novembre 1841 da Cesare de Laugier, colonnello napoleonico ma di nascita elbana. Successivamente una società livornese cercò di individuare il relitto senza risultati, lo stesso fece il Ministero della Guerra di Parigi. Negli anni venti il sindaco dell’isola d’Elba, Bertolini, cercò ripetutamente di individuarlo. Solo nel 1936 la So.Ri.Ma. (Società Ricuperi Marittimi) di Genova (fondata nel 1926 dal commendatore Giovanni Quaglia precursore di tutte le attività navali di recupero ed operazioni subacquee ad alta profondità moderne, con tre navi: Artiglio, Rostro, Arpione a cui in seguito si aggiungono Raffio, Rampino, Rastrello), che probabilmente localizzò il relitto, ma dovette abbandonare le verifiche a causa di un urgente lavoro in Sardegna. Quando i palombari della So.ri.ma lasciarono la baia di Porto Azzurro del Polluce rimase solo la leggenda.
Gli atti del processo di Livorno sono invece rimasti sconosciuti finché, non si sa come, sarebbero stati scovati e copiati da un francese, che li avrebbe venduti ad una società inglese. Nel 2000 degli inglesi attraverso il consolato britannico di Firenze chiedendo il permesso per recuperare il carico d’alluminio del Glenlogan, una nave inglese affondata nel 1916 da un U-boot tedesco, che giace nei fondali presso Stromboli, ma inserendo le coordinate del relitto del Polluce. Nessuno si accorse durante il percorso burocratico di questo inserimento, consegnandogli l’autorizzazione. Dopo avere affittato un rimorchiatore a Genova, su cui era installata una gru iniziarono le operazioni di recupero, tirando su a caso con la benna almeno tre tonnellate di detriti, setacciando il materiale alla ricerca di preziosi. Dopo 21 giorni il gruppo inglese ripartì con il bottino, valutato in seguito intorno al milione e mezzo di Euro (monete d’oro e d’argento, monili dei primi dell’Ottocento, vasellame, cristalli e orologi). Alla Capitaneria di Porto italiana dichiararono di aver trovato la nave britannica che cercavano, e di aver recuperato pochi preziosi e qualche materiale. Diversa la versione fornita alle autorità inglesi, cui dichiararono di aver trovato molto materiale, ma su una nave affondata in acque internazionali (circostanza, questa, che garantisce la proprietà del recupero nel caso che nessuno accampi diritti). In seguito ad un’indagine svolta dai Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Firenze, il 10 ottobre 2002, Scotland Yard consegnava quanto era stato da loro sequestrato il 17 giugno 2001 presso la casa d’aste londinese Dix Noonan Webb. L’atto di vandalismo portato a termine da questi cacciatori di tesori ha compromesso gravemente l’integrità del relitto, ma soprattutto mancano la quasi totalità delle monete d’oro. Questo episodio ha causato la perdita di un grosso patrimonio che sicuramente circola sul mercato nero, ma ancora maggiore è la perdita storica subita.
Per quanto riguarda quello che rimane del Polluce nelle profondità elbane; nel 2004 fu studiato il recupero di quanto ancora giaceva sul mare per opera dell’HDS della ditta Marine Consulting di Ravenna e Capmar Studios che sponsorizzarono l’operazione, in collaborazione e coordinamento con il Ministero dei Beni Culturali, della Soprintendenza a Beni Culturali della Toscana e del Comune di Porto Azzurro. Nell’ottobre del 2005 è stato finalmente effettuato un recupero importante del prezioso carico, primo intervento al mondo effettuato con le moderne tecnologie dell’immersione in saturazione. Durante il recupero sono emersi blocchi di monete in perfetto stato, avvolte in contenitori di piombo. Parecchie migliaia di “colonnati” spagnoli d’argento, molte decine di monete d’oro da 20 franchi francesi, brandelli di fasciame con conficcati chiodi di rame e qualche pezzo di carbone. Oltre alle monete sono stati recuperati oggetti d’uso comune che, puliti e imballati, saranno consegnati alle autorità competenti.
Nel 2014 grazie all'intervento di nave Anteo (foto) e del Gruppo Operativo Subacquei (GOS) del Comando Subacquei ed Incursori (CONSUBIN), sono state recuperate altre monete, che vanno ad aggiungersi alle altre cento riportate alla luce da nave Anteo e dai suoi palombari nelle precedenti missioni del 2007 e 2008. La scoperta è stata possibile grazie all’impiego del nuovo ROV (Remoted Operative Vehicle) PEGASO, in dotazione a COMSUBIN, un sofisticato sistema robotico dotato di potenti bracci manipolatori, telecamere ad alta definizione e sonar di ultima generazione, che può raggiungere i 2.000 metri di profondità.
In conclusione possiamo affermare che il relitto del Polluce, con il suo carico in gran parte depredato, è l’unico tesoro sommerso ritrovato in acque nazionali italiane.
Polluce
Costruttore : Cantiere Normand Le Havre (Francia)
Varo: 1839
Dislocamento: 177,56 tonn.
Dimensioni: lunghezza 40,e m; larghezza 7,25 m; pescaggio 3,33 m
Velocità: 10 nodi
Passeggeri: 90 persone
Affondata il 17 giugno 1841
(foto: web / Marina Militare)