23/02/2015 - Sulla scia emotiva della minaccia dell’ISIS si ritorna a parlare di possibili aggressivi chimici sottratti dai depositi di Gheddafi sparsi nel deserto della Libia e parte integrante dell'arsenale di Gheddafi.

Una minaccia di cui già parlammo in precedenti analisi fin dal 2011 (vedi articoli del 27 settembre e del 27 ottobre 2011) quando fonti affidabili riportavano che, durante la guerra civile, armi chimiche erano state trafugate da arsenali del regime di Muammar Gheddafi dislocati nelle province centrali e meridionali della Libia.

In quel momento se ne appropriarono le "milizie" avversarie dell'esercito regolare libico come riportato sul sito di Asharq Al-Awsat, autorevole quotidiano panarabo con Sede a Londra. Il quantitativo trafugato in  quel momento non era quantificato, ma fonti militari libiche già da allora riferivano al quotidiano filo-saudita che in Libia esistevano  armi chimiche nascoste in luoghi noti alle milizie lealiste ed anche ai ribelli vicini ai nuclei di Al Qaeda insediati in Cirenaica che, durante la guerra civile, se ne erano impossessate insieme a tonnellate di armamento convenzionale rivenduto poi a ribelli siriani.

Arsenali segreti, sepolti nel deserto libico, che potrebbero ora diventare preda dell’ISIS come, peraltro, sembra già stia avvenendo secondo fonti di stampa accreditate. Materiale che potrebbe essere utilizzato sia per attacchi su larga scala sia in attentati convenzionali utilizzando IED (Improvised Explosive Device) “sporchi”.

Aggressivi a suo tempo realizzati nelle “fabbriche farmaceutiche” opportunamente dislocate da Gheddafi immediatamente a ridosso con il Tchiad e che producevano, in particolare, iprite e gas nervino Sarin.

Parte di questo materiale (Iprite) è già entrato nelle disponibilità dell’ISIS, come riferisce il molto informato quotidiano Asharq Al-Awsat, trafugato da un deposito situato nel deserto del distretto di Jufra a circa 600 chilometri a sud di Tripoli ed ora probabilmente trasferito a Misurata.

L'ISIS minaccia e si avvicina a Tripoli mentre l’Occidente continua a prendere tempo discutendo sulle possibili iniziative da prendere ed in Libia la situazione lievita consentendo alle truppe del Califfato di appropriarsi del pingue arsenale di Gheddafi ancora presente nel Paese, compresi gli aggressivi chimici ancora nascosti nel deserto libico e sicuramente noti ai beduini  delle tribù della Cirenaica da sempre vicine all'estremismo eversivo di Al Qaeda.

Un pericolo reale che lo stesso Consiglio Nazionale di transizione della Libia denunciava fin dai primi giorni della rivolta. E’ certo, infatti, che Gheddafi abbia fatto produrre e nascondere tonnellate di gas tossici in una fabbrica a Rabat, a sud ovest di Tripoli, confermando un'ipotesi che gli USA avevano formulato fin dal 1988.

Quantitativi in parte distrutti da Gheddafi, ma di cui dovrebbe ancora esistere una certa disponibilità nascosta probabilmente in depositi affidati alla custodia di tribù una volta vicine al regime, come i Khadafa ed i Magarha, alleati dei Tuareg e concentrati nell’area nord occidentale della Libia.

Con altrettanta buona certezza, quindi, nel deserto libico ci sono ancora decine di depositi militari abbandonati, nei quali potrebbero essere conservati agenti tossici non distrutti dal regime libico entro il 2010, come previsto dagli accordi internazionali. Materiale che potrebbe essere già nelle disponibilità delle cellule di Al Qaeda presenti nel Mali e collegate a quelle operative nel Magreb, ormai sicuramente entrate a far parte dell'Esercito combattente dell’ISIS che avanza verso il nord del Paese verso i confini della Tunisia.

Non soltanto sostanze chimiche, ma anche materiale radioattivo già segnalato il 23 settembre del 2011 da forze rivoluzionare libiche che lo avevano rinvenuto a Sabha, a circa 750 chilometri da Tripoli. Centinaia di fusti con sostanze radioattive e sacchi di plastica gialla. Notizia che riscontrava quanto già noto all'Agenzia Atomica (AIEA) sull’esistenza in Libia di depositi di materiale nucleare, anche se non ne era  conosciuta l'esatta natura e consistenza rispetto a quanto dichiarato a suo tempo da Gheddafi.

A Sabha, inoltre, furono trovati immagazzinati centinaia di proiettili contenenti iprite fabbricati in Corea insieme a bidoni e sacchi sigillati con nastro adesivo con riportate scritte solo in inglese e senza nessuna notazione in arabo. Nelle sacche di plastica una polvere gialla come pubblicato in un sito di Internet (link). Materiale che con ogni probabilità potrebbe essere "yeollowcake" (torta gialla), scoria dei processi di purificazione dei  minerali che contengono uranio. In sintesi, ossidi di uranio (biossido e triossido) con scarsa valenza radioattiva, ma molto tossici se ingeriti o inalati.

Durante la guerra vennero  individuati  oltre al deposito di Sabha, anche altri nascondigli come confermato dall'Istituto di Studi Strategici di Londra. Scorie radioattive provenienti dalla vecchia centrale di Tajoura ubicata nella periferia di Tripoli e materiale chimico altamente letale che, come denunciato da Lynn Pascoe, capo ufficio politico dell'ONU, rappresentava la rimanenza di quanto non distrutto da Gheddafi nonostante nel 2003 avesse aderito agli accordi internazionali sull’uso di armi chimiche.

Gheddafi è  stato frettolosamente trucidato. Con la sua morte è diventato tombale il segreto su dove poteva essere nascosto il materiale nucleare e chimico e, soprattutto, chi nel tempo aveva fornito alla Libia le necessarie materie prime e le tecnologie per trattare l’uranio e fabbricare gas letali. Anche l'archivio del Rais trovato nel bunker di Tripoli sicuramente non potrà fornire notizie utili nello specifico, in quanto ormai abbondantemente epurato nei molteplici passaggi di mano dal momento del ritrovamento.

L’ISIS sta dilagando nel Paese sicuramente aiutato da ex combattenti di Al Qaeda che conoscono bene il territorio e sanno esattamente dove attingere per appropriarsi di materiale non convenzionale sia chimico sia nucleare. Gas e scorie nucleari che rappresentano un'appetibile risorsa per scopi eversivi qualora qualcuno intendesse effettuare attentati terroristici "sporchi" e, nello stesso tempo,  rappresentare una consistente risorsa economica se immessi sul mercato clandestino degli armamenti.

Una minaccia che non può essere né sottaciuta né sottovalutata, ma deve rappresentare oggetto di attenta analisi da parte nelle Nazioni Unite che si accingono a prendere decisioni per affrontare e debellare la minaccia dell’ISIS.

Fernando Termentini

(foto: US DoD / archivio)