10/03/2015 – Lo Stato islamico è un fenomeno terroristico diverso da quelli fino ad oggi conosciuti. Si espande nei territori, conquista e mantiene il sostegno dei suoi simpatizzanti.

A differenza di Al-Qaeda e della sua impronta “solitaria” volta più all’attentato singolo ed eclatante e non alla creazione di un impero (nemmeno Bin Laden aveva teorizzato ciò), il Califfato trova supporto in tutto il Medio Oriente e potrebbe indirizzare le sue mire espansionistiche in Arabia Saudita.

Secondo la Fondazione Jamestown, istituto di ricerca ed analisi geopolitica, oltre a confrontarsi con i governi in carica in Iraq, in Siria e con le milizie ostili, lo Stato islamico ha una serie di obiettivi ambiziosi che includono l'Arabia Saudita.

Secondo l’ultima analisi della Fondazione, lo Stato islamico starebbe concentrando i propri sforzi in vista di un futuro attacco contro l'Arabia Saudita.

In una dichiarazione audio rilasciata lo scorso autunno, il leader dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi, ha parlato di espansione nelle "terre di al-Haramein" (due luoghi sacri), rifiutando persino di chiamarla Arabia Saudita. Il Califfato, infatti, considera la famiglia reale saudita indegna di qualsiasi riconoscimento.

Al-Baghdadi, invece, mette in evidenza i due luoghi più sacri dell'Islam, la Mecca e Medina, e proclama la nomina dei governatori regionali per rappresentare l’Isis, invitando i seguaci in Arabia Saudita a riconoscere e seguire la loro leadership.

Al-Baghdadi ha anche lanciato una sorta di chiamata alle armi, invitando i sauditi ad attaccare i soldati di “quel paese”.

“Al-Saloul (riferimento offensivo alla famiglia Al-Saud), presto cadrà, la nostra nera bandiera sventolerà sopra la Mecca e Medina".

Lo scorso gennaio, un gruppo di militanti si è infiltrato dal nord-est del paese, con un attacco kamikaze che ha provocato due morti. I miliziani sono stati poi neutralizzati dalla polizia di frontiera.

L’apparente animosità verso l'Arabia Saudita è ritenuta causa della vicinanza del governo saudita “con il corrotto paese degli Stati Uniti, che mira al controllo del mondo arabo ed islamico”.

Attaccare l’Arabia Saudita, significherebbe scatenare un conflitto su larga scala L’Isis si è espanso in paesi in crisi, senza alcun controllo sul territorio o profondamenti divisi al loro interno. Cosa diversa sarebbe attaccare l’Arabia Saudita, paese dotato del secondo esercito più potente del Medio Oriente dopo Israele con 150 mila soldati di professione (non di certo pastori indifesi). Perché se è vero che da un lato le leggi saudite sulla segregazione dei sessi, sono un affronto ad ogni tipo di diritto umano e logica, dall’altro il paese è strettamente legato agli Stati Uniti.

Svariati interessi e rapporti commerciali miliardari, legano i due paesi in modo indissolubile. Se davvero l’Isis decidesse di attaccare l’Arabia Saudita, l’intervento americano (pensato anche con un intervento di terra) non sarebbe poi così remoto.

L’Isis, dovrebbe fare bene i suoi conti. Il Califfato ha molti amici in Medio Oriente, ma anche molti nemici. Aprire più fronti, sarebbe un grossolano errore già visto in passato, mentre attaccare paesi strutturati per una guerra di difesa e dotata di capacità di attacco, non sarebbe una scelta saggia.

I sauditi dispongono come prima linea di attacco e supremazia di 170 F-15 Eagle, novanta Tornado ed una cinquantina di EFA 2000. E l’Isis, lo ricordiamo, non ha una forza aerea.

Se questo non bastasse, sarebbe opportuno ricordare i 400 carri armati Abrams per complessivamente 1300 corazzati.

Infine, un ultimo dato: i sauditi fanno affari d’oro con Francia, Gran Bretagna e Russia. Attaccare l’Arabia Saudita significherebbe strappare tutti i contratti in itinere e Mosca ha già lasciato intendere che è pronta a scendere sul campo per difendere i propri interessi, senza alcun mandato dell’Onu.

Franco Iacch

(foto: Boeing / BAE Systems / archivio / US DoD)