26/03/2015 - "Sappiamo dove colpirli, la capitale del Califfato è in Siria e non abbiamo bisogno di chiedere il permesso al presidente Bashar Assad. Ci basta il supporto degli Stati Uniti e dei paesi che hanno dichiarato guerra all’Isis”.

Con queste parole si è espresso il primo ministro canadese Stephen Harper, durante il suo ultimo discorso tenuto alla Camera dei Comuni.

L’intervento militare canadese (il mandato del governo sarebbe scaduto ad aprile) sarà prorogato di un anno, al di là delle prossime elezioni di ottobre e, probabilmente, anche nel 2016.

“I terroristi raggiungono la Siria con il loro equipaggiamento pesante dal confine iracheno, cosi da sfuggire ai nostri raid aerei. Noi, però, li colpiremo ovunque, anche in Siria”.

Il Canada, quindi, sarà il primo paese della Nato (oltre agli Stati Uniti) ad attaccare la Siria. “A noi non interessa ricevere il consenso del governo Assad. Se dovessimo identificare obiettivi nemici, li colpiremo con tutto quello che abbiamo. Lavoreremo a stretto contatto con i nostri alleati”.

La campagna aerea degli Stati Uniti in Siria ha preso il via lo scorso settembre. Ai raid in territorio siriano partecipano anche Bahrain, Arabia Saudita, Giordania e gli Emirati Arabi Uniti. I principali partiti di opposizione, lo scorso settembre, votarono contro l'invio di un contingente militare canadese nella guerra contro l’Isis.

Secondo il leader del Nuovo Partito Democratico Tom Mulcair, il “Canada non ha alcun posto in questa guerra”, mentre il leader liberale Justin Trudeau ha affermato che il “governo si è impegnato sin da subito nella nuova guerra in Iraq e adesso vuole espandersi in Siria”.

I leader dell'opposizione hanno contestato anche la missione dei reparti speciali canadesi, schierati in supporto ai peshmerga curdi. Ufficialmente, il loro compito è quello di coadiuvare le forze curde nell’identificazioni dei bersagli da colpire con i raid della coalizione.

Le nuove direttive del governo canadese, però, si applicano anche ai reparti speciali schierati in Iraq. Il primo ministro canadese, infatti, ha ordinato agli uomini dello Joint Task Force 2 e del 427° Special Operations Aviation Squadron di espandere la portata delle missioni di “targeting leader” e “man hunting”.

Le operazioni di “Targeting Leader” e “Man Hunting” sono dei veri e propri raid finalizzati all’eliminazione non solo dei comandanti nemici, ma della loro intera catena di comando, logistica e finanziaria.

Ottenuta carta bianca per l’eliminazione dei bersagli, i target adesso diventeranno parecchi. La decisione di intraprendere azioni militari contro la leadership dell’Isis è un tassello fondamentale nella strategia della lotta al terrorismo, simile alle operazioni che Stati Uniti, Canada ed alleati hanno compiuto in Afghanistan contro i talebani.

Autorizzare questo tipo di missioni, però, è anche molto rischioso. Al di là dell’aspetto logistico che aumenta considerevolmente l’impegno profuso, il pericolo per gli operatori cresce in modo esponenziale per via dell’infiltrazione (ed esfiltrazione) di piccoli team in territorio totalmente ostile. E c’è sempre il rischio che qualcosa possa andare storto.

I reparti speciali canadesi hanno affrontato gli uomini del Califfato in quattro diversi frangenti. In ogni scontro a fuoco, la minaccia è stata eliminata con zero perdite.

Franco Iacch

(foto: Canadian Armed Forces)