24/06/2014 - Il presente articolo si propone di analizzare la struttura della politica estera di sicurezza e difesa dell’Unione Europea intesa in connessione alle profonde trasformazioni che hanno investito lo strumento militare nazionale.

Al fine di una adeguata comprensione dello scenario complessivo entro cui le suddette trasformazioni vanno a collocarsi sarà necessario delineare lo scenario internazionale entro cui le forze di difesa si muovono.

Il contesto internazionale di riferimento

Il contesto internazionale contemporaneo è caratterizzato da tre elementi chiave: la fine del bipolarismo, la globalizzazione economica, culturale e sociale e l’emergere di potenze a livello regionale.

La fine del sistema bipolare conseguente al crollo dell’URSS, ha determinato un sostanziale riassetto di tipo geopolitico e geoeconomico su scala planetaria.

Con il crollo della sfera di influenza comunista, diverse aree del mondo sono state caratterizzate da instabilità: i paesi dell’ex blocco sovietico, la ex Jugoslavia, il Medio Oriente, l’Africa, aree che direttamente e indirettamente vedevano la loro esistenza determinata dall'assetto bipolare del mondo, la cui appartenenza ad uno dei due blocchi garantiva, a diversi gradi, sostegno politico, economico e protezione militare. Conseguente al crollo sovietico, vi è stato un riassetto generale di quelle aree che ne costituivano le sfere di influenza. Inoltre, a partire dall'inizio degli anni novanta e, soprattutto, con l’inizio del nuovo millennio, sono occorsi ulteriori fattori di rischio della sicurezza internazionale: il c.d. fallimento degli stati, l’immigrazione illegale, la pirateria, il terrorismo transnazionale, la proliferazione di armi di distruzione di massa. Il ricorso alla guerra preventiva e l’aumento della percezione della minaccia all'interno degli Stati, sono stati alcuni degli effetti del quadro internazionale post-bipolare. Nello scenario internazionale si è assistito all'insorgere di problematiche legate al controllo dei sistemi di informazione e di approvvigionamento energetico che hanno evidenti implicazioni con la sicurezza nazionale che tuttavia, richiedono una sempre maggior concertazione e collaborazione tra gli Stati al fine della loro gestione e risoluzione. Tutte queste minacce alla sicurezza hanno, a ben vedere, effetti che travalicano i confini degli Stati e acquistano la fisionomia di fenomeni di tipo globale.

Allo stesso tempo, e congiunto ai processi di cui sopra si è assistito all'insorgere della globalizzazione.

L’intensificazione e diffusione degli scambi commerciali, il miglioramento delle tecniche produttive, della velocità dei trasporti e delle tecniche di comunicazione, hanno determinato uno mutamento strutturale negli assetti economici e politici mondiali.

Lo sviluppo economico di paesi come Cina, India, Brasile, Russia, Sudafrica ha, a un tempo, distribuito ricchezze e prospettive di sviluppo a milioni di persone che, sino a trenta anni or sono, ne erano escluse.

Tuttavia l’accrescersi del tenore di vita, comporta un aumento mondiale del consumo di risorse come acqua, cibo e fonti di energia.

Questo aumento nel consumo di risorse scarse potrebbe avere effetti rilevanti nelle dinamiche, in termini di conflittualità per il loro controllo, nel sistema internazionale.

Difatti lo sviluppo economico demografico e sociale, ha sempre importanti ricadute sulle ambizioni politiche degli stati.

Di qui, si assiste al fenomeno della crescita di nuove e antiche potenze regionali.

Gli Stati di nuovo sviluppo la cui ambizione cresce con l’accrescersi della forza economica, concorrono, con sempre maggior forza nel voler riconfigurare gli assetti globali e regionali.

Sempre, maggiore, infatti, è la presenza di attori quali Cina, India e Russia in grado di incidere trasversalmente in contesti, come l’Africa ed il Medio Oriente, ovvero nelle rispettive aree di pertinenza regionale, con una politica in grado di riconfigurare, in termini di egemonia, espansione economica, interessi politici, la struttura degli spazi regionali e mondiali.

Ferma restando il presente e futuro, primato statunitense quale unica superpotenza globale, s’accrescono ciononostante, le ambizioni legate all'accrescersi della forza economica e politica di questi attori.

Il combinato disposto tra ambizione delle potenze emergenti, e assetti consolidati di potere, produce un quadro internazionale in cui diversi sono i fattori di instabilità geopolitica.

Di qui emerge come il contesto internazionale di riferimento sia caratterizzato da notevoli fattori di rischio che sempre più spesso, come il terrorismo ovvero le migrazioni non controllate connesse a crisi interne a Stati, hanno natura globale. Tale contesto determina e determinerà sempre più la struttura spaziale delle maggiori regioni del mondo ponendo il problema degli assetti organizzativi più efficaci per far fronte a tali elementi. .

Il contesto delineato, ha evidenti implicazioni strategiche e comporta una chiara definizione degli obiettivi e delle ambizioni degli Stati ovvero delle organizzazioni regionali da esse costituite.

Dalla precedente analisi dovrebbe emergere in modo netto come la natura transnazionale dei fattori di rischio, implichi una ridefinizione della scala con cui la sicurezza dei paesi debba esser perseguita.

Questo è ancor più urgente per contesti, come quello europeo, che si collocano al centro di diversi fuochi di crisi.

I Paesi dell’Unione Europea dovranno, entro i limiti e le possibilità offerte dal contesto comunitario, sempre più decidere e incidere nella dimensione internazionale. Gli obiettivi e le strategie UE dovranno essere coerenti con la vastità degli interessi politici ed economici in campo. La coerenza, e chiarezza degli interessi vitali degli stati europei sullo scenario mondiale, avranno effetti rilevanti sia sugli aspetti legati alla sicurezza interna ed esterna dei singoli paesi, sia sul ruolo mondiale che la UE dovrà ritagliarsi; pena la marginalizzazione e la subalternità rispetto alle crisi ed agli attori emergenti provenienti da altre parti del mondo.

Alcuni aspetti della PESD

Come noto, seppur caratterizzata nel suo sviluppo da fasi stazionarie e da incertezze, a livello UE esiste una dimensione di politica estera di sicurezza e difesa.

La questione da porre è se, a livello europeo, la sicurezza e gli interessi dei paesi membri e quindi quelli dell’Unione, possano essere utilmente garantiti dalla cooperazione sempre più stretta tra gli stati in materia di politica di difesa.

Di certo, fenomeni quali, il terrorismo, la crisi degli stati in medio oriente, le ambizioni di potenze regionali, le questioni legate alla immigrazione clandestina, chiamano in causa i mezzi che con il Trattato di Lisbona, L’Unione europea si è dotata per garantire la sua sicurezza e stabilità.

Al fine di comprendere come e se l’UE possa definire una propria strategia di sicurezza entro il quadro internazionale, è indispensabile comprendere la attuale capacità decisionale e operativa che il Trattato, fornisce all’UE nel perseguimento della sua politica estera di sicurezza e difesa e porla in relazione coi cambiamenti che stanno investendo lo strumento militare nazionale.

Sarà necessario, pertanto, chiarire alcuni elementi di carattere teorico circa la natura dell’Unione europea.

Uno degli elementi maggiormente qualificanti del dibattito politico/ giuridico del nostro tempo, è quello circa la natura dell'Ue.

E’ ormai d’abitudine la critica all'assenza di una politica estera e di sicurezza dell’UE da un lato, perché essa non avrebbe un unico centro di imputazione ma sarebbe, ad ogni crisi ed ogni evento pronta a frantumarsi tra gli interessi dei singoli stati membri, dall'altro, perché una politica di sicurezza e difesa su scala europea sarebbe superflua al fine del perseguimento della sicurezza che, sarebbe meglio assicurata dal singolo Stato .

Tali letture, seppur esprimendo legittime e in parte veritiere critiche, non consentono una comprensione obiettiva dei limiti e delle opportunità che la PESD offre.

Al fine di comprendere in modo chiaro i meccanismi di funzionamento dell’Unione Europea, è necessario uno sforzo di comprensione del nesso giuridico- politico che caratterizza il rapporto tra Stati e Unione.

Non è inutile, in questa sede, ed in questo tempo di crisi dell’Europa, rammentare che gli Stati sono e restano, i Soggetti che, a mezzo dei Trattati, decidono o della cessione di parti della sovranità all'UE e che, dal grado della porzione di potere ceduto, deriva la competenza, e quindi l’efficacia, della capacità di azione e decisione dell’Unione. Da quanto detto si evince che uno dei fattori della integrazione europea è costituito dal rapporto non sempre lineare e progressivo, tra Stati ed istituzioni europee nel senso che dalla dialettica tra prerogative nazionali e spinte verso una sempre maggiore integrazione, sorge il profilo delle politiche comunitarie. Nella attribuzione di competenze dagli Stati all'UE, hanno giocato e giocano, un ruolo decisivo le identità nazionali oltre che gli interessi. In effetti nel trasferimento a livello europeo di certe politiche svolgono un ruolo fondamentale le tradizioni, la storia e la cultura degli stati membri, nel senso che, se per certe politiche (come ad esempio, la materia commerciale) la cessione di sovranità è stata più agevole data la natura “funzionale” di tale aspetto della vita associata, per quanto attiene altre materie, la storia, le tradizioni giuridiche e culturali degli Stati frenano l’attribuzione delle competenze a livello comunitario.

Questo aspetto ha ancor maggior rilievo nel settore della politica estera e di difesa in cui si confrontano entità geopolitiche ed interessi strategici, che non sono sempre coincidenti.

In questo quadro complesso legato allo sviluppo dell’Unione con i suoi esiti ancor oggi incerti, va a collocarsi la PESD.

Il suo processo di costruzione non potrebbe essere compreso se non in connessione con le profonde trasformazioni che hanno investito gli strumenti militari nazionali .

Il processo evolutivo dello strumento militare nazionale, ha conseguito negli ultimi anni numerosi obiettivi quali la completa professionalizzazione delle forze, la riforma dei vertici militari , l’unificazione dell'intelligence tecnico-militare ed è tuttora in corso. Il processo di trasformazione perseguito negli ultimi anni ha dovuto svilupparsi tenendo, altresì, conto del contesto di crisi economica che ha ridotto la possibilità di spesa. In tale quadro, lo strumento militare nazionale è chiamato ad adattarsi ad un contesto geopolitico e geostrategico in cui diversi sono i fattori di crisi, che non avranno esclusivamente la forma di un conflitto convenzionale ad alta intensità ma, si dispiegheranno a diversi livelli: dalle operazioni non convenzionali, alla guerra asimmetrica, dai rischi connessi al dominio informatico, a quelli intorno al controllo delle risorse energetiche ed a quelli concernenti il settore cibernetico. Tale mutamento implica un adattamento evolutivo delle Forze Armate con un sostanziale accrescimento delle capacità di comando, controllo, ed intelligence, ed uno sviluppo sinergico e polivalente delle forze, in grado di adattarsi ai diversi contesti operativi.

Contesti operativi che, con l’intensificarsi delle crisi e dei conflitti negli stati (guerre civili, secessioni, stati falliti) o in determinate aree del globo, unite all'aumento delle migrazioni, hanno profondamente influenzato la scala dei contesti di rilievo per la sicurezza nazionale, rendendola, definitivamente, globale.

Si è passati infatti ad una concezione più dinamica delle forze armate in cui alle operazioni di tipo tradizionale si affiancano misure di tipo politico, economico, sociale e culturale; si potrebbe parlare, al riguardo, di un ampliamento della sfera operativa e del campo di battaglia.

In un quadro in cui i fattori di rischio hanno natura mondiale, la sicurezza nazionale deve essere garantita e mantenuta non solo nelle aree di maggiore prossimità al suolo patrio ma anche, in aree del globo distanti tenuto conto dei cambiamenti nella natura dei fattori di rischio sopra esposti.

La portata dei mutamenti occorsi ha evidenziato la necessità del rafforzamento della dimensione europea di difesa intesa quale complemento e sviluppo del sistema di difesa nazionale.

La lettura che qui si propone tende ad analizzare la PESD entro quella che sopra si definisce come la dialettica costitutiva dell’Unione Europea: tendenza all’unità e prerogative nazionali si combinano nell'architettura dei trattati e ne informano lo sviluppo.

Un primo elemento di rilievo ai fini della comprensione della PESDC è quello relativo ai limiti ad essa conferiti.

Ai sensi dell’Art. 4 TUE L’Unione rispetta l’uguaglianza degli stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale (..) Rispetta le funzioni essenziali dello stato in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine pubblico, e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno stato membro. Questo primo elemento chiarisce che la competenza in materia di sicurezza interna resta una prerogativa gelosamente custodita dagli stati membri.

Tale dichiarazione, sancisce, il criterio in base al quale le suddette materie sono inviolabili di sovranità in cui, l’UE non è chiamata ad intervenire. E’ proprio questo uno degli elementi costitutivi della dialettica Stato-Unione: la competenza resta nazionale in ambito di sicurezza e interni, il che mostra come, nonostante il contesto europeo che sempre più investono la vita associata, la sovranità degli stati non scompare. l’UE non è, né vuole essere un macrostato tale che possa esercitare funzioni di polizia e garanzia della sicurezza interna. Da quanto detto emerge chiaramente, che è sul versante della cooperazione e della sempre maggiore integrazione che si vogliono porre le basi della Politica di sicurezza e difesa comune. In effetti si tratta di costruire una dimensione di difesa intesa quale potenziamento delle capacità dei singoli Stati. In particolare il suo campo operativo la proietta verso l’esercizio esterno della funzione di sicurezza.

La PESDC, parte integrante della PESC, intende assicurare all’UE una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari ( Art. 42).

Tale capacità è, sostanzialmente finalizzata a garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti, il rafforzamento della sicurezza internazionale conformemente ai Principi della Carta delle Nazioni unite. La PESDC contiene in sé le premesse per la graduale definizione di una politica di difesa comune dell’Unione ( Art. 42 comma 2) : quest’ultimo articolo, costituisce un elemento che sancisce il principio di sovranità lasciando in capo agli Stati la possibilità di determinare forme e contenuti della difesa comune.

Tale primato degli Stati si esprime anche nelle modalità con le quali vengono adottate le decisioni.

Esse infatti sono assunte dal Consiglio che delibera all'unanimità, su proposta dell’Alto rappresentante per la PESC ovvero di uno Stato membro.

Agli elementi che tendono ad a conservare il principio di sovranità si affiancano, come vedremo, altri che costituiscono un tassello evolutivo verso la formazione di una difesa comune europea.

Un primo carattere evolutivo è rappresentato dall’Art. 43.

Esso, amplia il novero delle missioni “Petersberg” comprendendo azioni congiunte in materia di disarmo, missioni umanitarie di soccorso, missioni di consulenza e assistenza militare, prevenzione dei conflitti, missioni di mantenimento della pace e gestione delle crisi, incluse, le missioni tese al ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti, potendo, le suddette missioni, contribuire alla lotta al terrorismo. Le decisioni sulle missioni “vengono adottate dal Consiglio che ne stabilisce, l’obiettivo, la durata e le modalità generali di realizzazione” ( Art. 43 TUE, comma 2).

Carattere evolutivo hanno anche gli artt. 44 e 46 TUE.

Nel quadro “delle decisioni adottate in conformità dell’articolo 43, il Consiglio può affidare la realizzazione di una missione a un gruppo di Stati membri che lo desiderano e dispongono delle capacità necessarie per tale missione (Art. 44); gli Stati membri partecipanti alla missione, informano il Consiglio sull'andamento della stessa. Nel caso in cui la realizzazione della missione ingeneri conseguenze di ampia portata ovvero si imponga una modifica del’obiettivo della portata o delle modalità della missione il Consiglio adotta le decisioni necessarie.

Si vede come nel caso in cui una missione sa affidata a taluni Stati membri, si renda più rapida la realizzazione di missioni a partire da quegli Stati che vogliono e possono realizzarle rendendo, in tal modo, più snella ed efficace una eventuale la costruzione di coalizioni tra Stati e indirettamente, più efficiente l’azione dell’Unione nel suo complesso. Il dispositivo delineato all’Art. 44 riconduce comunque la decisione sull'affido e sulla modifica delle missioni al Consiglio in quanto organo dell’Unione conservando quindi, la sua funzione di centro di propulsione politica in materia PESCD.

All’Art. 46 TUE è previsto il meccanismo della cooperazione strutturata permanente .

Il procedimento di attivazione della Cooperazione strutturata permanente prevede una precisa volontà da parte degli Stati che rispondono ai criteri e sottoscrivono gli impegni in materia di capacità militari specificati nel protocollo sulla cooperazione strutturata permanente. In primis gli Stati notificano la loro intenzione al Consiglio e all'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza ( Art. 46 TUE).

Successivamente, il Consiglio adotta una decisione che istituisce la Cooperazione strutturata permanente, tale decisione è adottata a maggioranza qualificata.

Inoltre, ogni Stato membro che, in una fase successiva, desideri partecipare alla cooperazione strutturata permanente notifica la sua intenzione al Consiglio e all'Alto Rappresentante ( Art. 46 comma 3) rendendo in tal modo, la cooperazione aperta e flessibile nella sua struttura. Anche in questo caso, rileva il ruolo del Consiglio: “Il Consiglio adotta una decisione che conferma la partecipazione dello Stato membro interessato che risponde ai criteri e sottoscrive gli impegni di cui agli articoli 1 e 2 del protocollo sulla cooperazione strutturata permanente. Il Consiglio delibera a maggioranza qualificata previa consultazione dell'alto rappresentante” ( Art. 46 comma 3). Si sottolinea come gli Stati partecipanti possono anche uscire dalla Cooperazione strutturata permanente notificando la decisione al Consiglio.

Infine, di sicura importanza quale chiave della costruzione di una difesa comune è quanto previsto all’Art. 42 par. 7 TUE.

Qualora uno Stato membro subisca un'aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri. Articolo che crea un vero e proprio obbligo di aiuto e assistenza tra gli Stati membri senza pregiudicare le specificità nazionali in materia di politica di sicurezza e difesa. Questo articolo, con il suo obbligo di assistenza collettiva costituisce, ad oggi, uno dei più importanti presupposti per la creazione e la concezione di un’ Europa intesa quale spazio comune di difesa. Spazio comune di difesa che è il presupposto per la garanzia dell’integrità interna e per la sicurezza esterna degli Stati membri.

Ciro Luigi Tuccillo