25/02/2015 - Da un anno a questa parte è all’attenzione della Commissione Difesa della Camera la riforma del sistema di rappresentatività del personale militare, argomento che appassiona principalmente gli addetti ai lavori, ma che è di vitale importanza per tutto il personale militare.
Questo argomento è diventato di stretta attualità nel momento in cui, pur forzando la mano, i CoCeR, unitamente ai sindacati di Polizia, annunciarono un possibile sciopero nel caso non fossero state sbloccate le progressioni economiche legate alle promozioni di grado ed alle anzianità.
Quella forma di protesta, atipica e non prevista dall’attuale legislazione nemmeno per le forze di polizia che pur sono sindacalizzate, ha fatto irritare il Governo che ha inserito una norma (poi ritirata) nella L. di stabilità per effettuare un taglio alla rappresentanza, ma che di fatto ha indotto tutte le forze politiche a presentare proprie proposte di legge presso la Commissione Difesa della Camera.
L’attuale sistema ha in se la grave pecca dell’autoreferenzialità sia per la modalità di elezione, poco partecipativa, che per la limitatezza degli strumenti a disposizione per formare consenso e guidare l’azione di confronto con lo Stato Maggiore.
Pensate ad un’assemblea di 63 persone di pari livello senza un coagulo o una guida politica ben definita: la ricerca di un’intesa deve avvenire volta per volta ed è sempre difficoltosa e dispersiva.
Ha gioco facile chi tramite essa promuove solo la propria immagine giocando proprio sulle difficoltà di azione, previlegiando interessi propri o di parte al fine di cercare consensi in un qualunque partito politico.
Se a questo aggiungiamo il costo a carico dell’amministrazione, l’impossibilità di ottenere sanzioni nei confronti di chi tenta (talvolta con successo) di limitare il mandato, specie nei confronti dei delegati locali, e di chi elude le poche prerogative della Rappresentanza, il quadro che ne consegue è di una istituzione debole, a mio avviso anche “anarcoide” che deve essere completamente riorganizzata e rafforzata.
Grande rilevanza ha inoltre la sentenza della Commissione Umana dei Diritti dell’Uomo della UE che ha sanzionato la Francia per la mancata concessione dei diritti di associazione per i militari, come avviene peraltro anche in Italia.
Facendo un quadro sulle proposte in esame da parte della Commissione difesa, siamo di fronte a tre diverse possibilità:
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Rafforzamento dell’attuale sistema, con maggiori tutele ed estesi campi di competenza (proposta avanzata da deputati PD)
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Sistema a doppio binario: associazionismo esterno che appoggia e guida la Rappresentanza interna, anche in questo caso con maggiori prerogative (due diverse proposte firmate da altri onorevoli del PD e da esponenti di FI)
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Sindacato a similitudine delle forze di polizia a status civile (avanzata da Sel, 5stelle e FI)
Prima dell’attuale esperienza non ero attratto da quest’ultima soluzione, che invece ora mi appare la migliore possibile, avendo avuto modo di verificare taluni comportamenti disomogenei e talvolta lesivi non solo dei diritti più semplici del personale ma anche del buon senso, che spesso sfuggono anche ai vertici, che la rappresentanza militare può solo limitarsi a segnalare ma non contrastare efficacemente.
La scelta della sindacalizzazione apparirà agli occhi di tanti colleghi una diminutio del nostro status, ed anche antistorica in considerazione del ruolo marginale a cui i sindacati sono stati relegati dall’attuale Governo.
Nel primo caso si tratterà soltanto di abbattere uno steccato di pregiudizio. Nulla varierà nello status ma il grande vantaggio sarà costituito dalla definizione dei ruoli e delle prerogative, ed il rispetto delle quali consentirà un rapporto sicuramente migliore di oggi tra amministrazione e rappresentanti del personale e una reale, continua e diffusa tutela dei militari.
L’attuale minore appeal del sindacato trova origine dalle posizioni di irragionevolezza che spesso l’ala più estrema ha avuto nei confronti delle controparti, spesso anche con motivazioni politiche più che di difesa del personale. Un sindacato moderno deve prescindere da ciò e concentrarsi, a mio modo di vedere, nel perseguire il miglioramento delle condizioni ed il rispetto del lavoratore (in questo caso militare) garantendo al datore di lavoro (le Forze Armate) il raggiungimento dell’obiettivo comune che è la Difesa del Paese.
Se come spero la scelta della politica, guardando al futuro, sarà la sindacalizzazione, dovremo affrontare un periodo di ambientamento, quasi di vacatio della rappresentatività, alla fine del quale però avremo raggiunto la modernità in termini di diritti ed equità di trattamento per il personale militare e con essa maggiore consapevolezza di ruoli e responsabilità.
C.F. Antonio Colombo (Delegato cat A Consiglio Centrale della R.M.)