03/03/2015 - Martedì 10 febbraio 2015 il Consiglio dei Ministri ha approvato, su proposta del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, e dei Ministri dell’Interno Angelino Alfano, degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale Paolo Gentiloni, della Difesa Roberta Pinotti, e della Giustizia Andrea Orlando, un decreto legge denominato “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo”.
L’emanazione di tale decreto, più volte rinviata, è la risposta italiana all’emergenza terrorismo innalzatasi dopo i fatti accaduti in Francia tra il 7 ed il 9 Gennaio 2015.
Tra le varie innovazioni apportate dal decreto, il quale può essere visionato qui, ve n’è una particolarmente importante che merita un approfondimento. Si tratta dell’ampliamento delle “garanzie funzionali” riconosciute agli appartenenti ai Servizi di Informazione, le quali escludono la punibilità di una serie di condotte in materia di terrorismo (diverse dai reati di attentato o di sequestro di persona), commesse dal personale delle Agenzie di intelligence per finalità istituzionali e previa autorizzazione del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Cosa sono le garanzie funzionali?
Le disciplina delle garanzie funzionali può essere rintracciata nella Legge 3 Agosto 2007 n. 124 dal titolo “Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto”. Gli artt. 17, 18 e seguenti del Capo III della presente legge disciplinano questa particolare scriminante che il legislatore del 2007 ha voluto introdurre al fine di meglio tutelare gli operatori di intelligence impegnati nello svolgimento delle attività istituzionali loro attribuite.
Prima di passare ad una approfondita analisi di tale istituto è necessario inquadrare l’ambito operativo in cui agiscono i moderni Servizi di Informazione italiani. Per farlo è necessario prendere in considerazione gli artt. 6 e 7 della legge in oggetto i quali descrivono rispettivamente l’attività svolta dall’AISE (Agenzia di Informazione per la Sicurezza Esterna) e dall’AISI (Agenzia di Informazione per la Sicurezza Interna). L’art. 6 al comma 1 stabilisce che “È istituita l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE), alla quale è affidato il compito di ricercare ed elaborare nei settori di competenza tutte le informazioni utili alla difesa dell’indipendenza, dell’integrità e della sicurezza della Repubblica, anche in attuazione di accordi internazionali, dalle minacce provenienti dall’estero”. Il comma 2 prevede poi che “Spettano all’AISE inoltre le attività in materia di controproliferazione concernenti i materiali strategici, nonché le attività di informazione per la sicurezza, che si svolgono al di fuori del territorio nazionale, a protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali dell’Italia”, mentre il comma 3 stabilisce che “È, altresì, compito dell’AISE individuare e contrastare al di fuori del territorio nazionale le attività di spionaggio dirette contro l’Italia e le attività volte a danneggiare gli interessi nazionali”. Dello stesso tenore è l’art. 7 il quale ai commi 1, 2 e 3 prevede che “È istituita l’Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI), alla quale è affidato il compito di ricercare ed elaborare nei settori di competenza tutte le informazioni utili a difendere, anche in attuazione di accordi internazionali, la sicurezza interna della Repubblica e le istituzioni democratiche poste dalla Costituzione a suo fondamento da ogni minaccia, da ogni attività eversiva e da ogni forma di aggressione criminale o terroristica”; “Spettano all’AISI le attività di informazione per la sicurezza, che si svolgono all’interno del territorio nazionale, a protezione degli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali dell’Italia”; “È, altresì, compito dell’AISI individuare e contrastare all’interno del territorio nazionale le attività di spionaggio dirette contro l’Italia e le attività volte a danneggiare gli interessi nazionali”.
Come è facile notare l’attività principe delle attuali Agenzie di intelligence italiane è dedicata alla ricerca e all’elaborazione delle informazioni. Attività che va inquadrata nel più ampio ciclo di intelligence che il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza nel suo Glossario Intelligence definisce come “il complesso delle fasi in cui si articola l’attività di informazione per la sicurezza, dalle indicazioni delle Autorità di governo fino alla disseminazione di prodotti intelligence ai fruitori istituzionali, passando per pianificazione informativa, ricerca informativa ed elaborazione.
Generalmente non inclusa nelle rappresentazioni grafiche del ciclo di intelligence, ma di grande rilevanza, la fase di feedback in cui si valuta in che misura i prodotti intelligence abbiano soddisfatto le esigenze conoscitive delle Autorità di governo e degli altri interlocutori istituzionali in materia di sicurezza nazionale e si determina se, su una specifica situazione o fenomeno, siano necessarie ulteriori attività di ricerca ed elaborazione. L’esigenza di colmare eventuali lacune conoscitive riavviando la fase della ricerca informativa può essere segnalata anche dagli analisti , e dunque prima che il ciclo di intelligence, nella sua forma astratta, sia stato completato”.
E’ facile comprendere, a questo punto, come il tipo di attività appena illustrato, soprattutto nel momento della ricerca delle informazioni, possa portare al compimento di operazioni ed azioni che fuoriescono dall’ambito di legalità previsto dalla legge. I Servizi di Informazione invero, proprio per le loro peculiarità operative e finalistiche, agiscono spesso lungo una linea di confine molto sottile, borderline, con i precetti penali. Tale situazione porta con se due conseguenze importanti: la prima riguarda la potenziale elusione della legalità nell’attività dei servizi; la seconda concerne la condizione degli operatori di intelligence, i quali subiscono il rischio di essere penalmente perseguiti nel caso in cui commettano un atto o partecipino ad un’attività illegale.
Sentita da tempo era, dunque, l’esigenza di ovviare al vuoto normativo lasciato dalla precedente legislazione in materia di Servizi di Informazione e di Segreto di Stato (legge n. 801/77) la quale lasciava quasi completamente scoperti i due aspetti appena descritti, contribuendo a creare un alone di mistero e di diffidenza nei confronti dei cd. servizi segreti.
In realtà la legge n. 801/77 prevedeva al suo interno un primitivo meccanismo di tutela degli agenti. Tale meccanismo consisteva nell’applicazione o nella conferma del segreto di Stato, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, all’intera operazione alla quale aveva partecipato l’operatore, provocando cosi la preclusione per l’autorità giudiziaria di conoscere circa l’attività posta in essere dall’agente e impedendo al magistrato di perseguire lo stesso in caso di commissione di fatti costituenti reato. L’unico modo mediante il quale il PM poteva prendere visione degli atti relativi all’operazione e procedere quindi contro l’operatore dei servizi di informazione risiedeva nel sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato di fronte alla Corte Costituzionale. Questa, se avesse ritenuto legittima la conferma dell’opposizione del segreto, e la prova derivante dalla conoscenza di tali atti risultasse essenziale per la definizione del processo, obbligava il giudice a chiudere lo stesso attraverso l’emanazione di una sentenza di non luogo a procedere. In caso contrario il magistrato titolare delle indagini avrebbe avuto accesso agli atti potendo proseguire così la sua attività, perseguendo, se del caso, l’agente dei Servizi.
Si può quindi ritenere che la legge n. 801/77, nel disciplinare la materia del segreto di Stato, contenesse al suo interno delle disposizioni a tutela degli operatori. Ciò emerge anche analizzando l’art. 12 comma 2, il quale prevedeva l’unico caso in cui il segreto di Stato non era opponibile, e cioè relativamente a fatti eversivi dell’ordine costituzionale. Non stabilendo altro, si poteva agevolmente effettuare un ragionamento a contrario individuando i casi in cui il segreto era applicabile, legittimando cosi le attività dei servizi, e quindi degli operatori, tutte le volte che queste non erano sussumibili alla fattispecie illegale prevista dal predetto articolo.
Nonostante la presenza di un tale strumento di tutela si sentiva comunque l’esigenza di realizzare un articolato normativo che in primis realizzasse una maggiore protezione del personale dei Servizi di Informazione e, in secundis, trasferisse il focus della questione dal piano processuale penale al piano penale sostanziale. Ciò al fine di svincolare la materia dalle dinamiche del rito dandole una connotazione più stabile.
In un contesto di generale riforma dei Servizi di Informazione per la Sicurezza della Repubblica e della disciplina del segreto di Stato, il legislatore, ha inserito nel dettato normativo una serie di norme sulle garanzie funzionali, soddisfacendo cosi l’esigenza di individuare precisamente le condotte da ritenere lecite in virtù di una scriminante speciale e contestualmente identificare le condotte non aderenti ai fini istituzionali, le quali non potranno essere scriminate proprio in virtù del disposto normativo contenuto nell’art. 17 della legge n. 124/2007 (modificato dal recente decreto legge).
Le nuove garanzie funzionali, infatti, consistono nella previsione di una causa di non punibilità a favore degli operatori di intelligencenel caso in cui questi, durante lo svolgimento di un operazione, pongano in essere condotte astrattamente previste dalla legge come reato, purché tali condotte abbiano ottenuto, per quella specifica operazione, l’autorizzazione dall’Autorità politica e risultino indispensabili per il raggiungimento delle finalità istituzionali dei Servizi.
Come appena visto, la questione relativa alla tutela degli agenti dei Servizi è stata sempre legata all’istituto del segreto di Stato. La legge n. 124/2007, nel tentativo di modernizzare l’apparato statuale di intelligence ha modificato i termini di questa connessione rendendo il sistema dei Servizi più trasparente e maggiormente aderente al dettato costituzionale.
Analizzando l’articolo 40 comma 3 della legge, si evince infatti che nell’art. 204 del codice di procedura penale è stato inserito il comma 1-bis il quale stabilisce che : “Non possono essere oggetto del segreto previsto dagli articoli 201, 202 e 203 fatti, notizie o documenti concernenti le condotte poste in essere da appartenenti ai servizi di informazione per la sicurezza in violazione della disciplina concernente la speciale causa di giustificazione prevista per attività del personale dei servizi di informazione per la sicurezza. Si considerano violazioni della predetta disciplina le condotte per le quali, essendo stata esperita l'apposita procedura prevista dalla legge, risulta esclusa l'esistenza della speciale causa di giustificazione.”
Tale articolo ha sancito un drastico ed energico cambiamento di rotta, in quanto dall’entrata in vigore della legge di riforma non potranno più essere coperte dal segreto, e quindi non conoscibili dall’Autorità giudiziaria, le condotte degli appartenenti ai servizi che non siano prima state autorizzate secondo la procedura prevista dal combinato disposto degli artt. 17-18 legge n. 124/2007. Ciò ha contribuito ad attribuire alla materia del segreto di Stato una connotazione più “democratica” e nello stesso tempo ha gettato acqua sugli animi infuocati di chi vedeva nei Servizi di Informazione e nel segreto di Stato un nemico da debellare.
Ciò premesso, nel discutere delle garanzie funzionali, non ci si può esimere dal riflettere su quello che risulta essere il problema principale che fa da sfondo all’intero istituto, e cioè la distinzione concettuale fra legittimità e legalità. Secondo alcuna dottrina la legalità si atteggia a “stretta osservanza delle leggi scritte, mentre la legittimità è la corrispondenza alle esigenze da esse non previste ma tuttavia cosi essenziali che ne condizionano la sopravvivenza” (1). Tale contrapposizione di concetti sfocia nella possibilità di prevedere l’eventualità giuridica di atti e comportamenti legittimi ancorché illegali, in quanto il concetto di legittimità implica tutta quella serie di atti e comportamenti volti al raggiungimento di interessi supremi individuati dalla legge, anche se tale obiettivo è perseguito mediante mezzi parzialmente o totalmente non conformi ad una o più norme di legge (2). La dicotomia su cui si riflette emerge in tutto il suo impeto quando si tenta di collocarla nell’ambito dell’attività dei Servizi di Informazione, ed il dibattito su di essa è stato uno dei principali aspetti su cui la dottrina ha discusso nel pensare una riforma dei Servizi, soprattutto in riferimento alla questione della tutela degli agenti.
Già prima dell’entrata in vigore della legge n. 124/2007 autorevole dottrina sosteneva che non fosse pensabile né tantomeno auspicabile riformare un settore particolare come quello dell’intelligencestatale, senza prevedere un complesso di norme che tutelasse gli operatori da conseguenze giudiziarie derivanti dalla loro attività, quando questa era posta in essere per il perseguimento di quei fini stabiliti dalla legge; ma anche che individuasse il perimetro all’interno dei quali gli stessi potessero muoversi. Sperabile era dunque, anche nell’ambito della riforma dei Servizi Segreti, agevolare quella svolta pragmatica che già si riscontrava in alcuni settori dell’ordinamento il quale “già esprime istituti e linee di tendenza che non fanno coincidere la categoria della illegittimità con quella della illegalità e per le quali il parametro di riferimento non dovrebbe consistere in una fattispecie normativa, ma nel raggiungimento dell'utilità sociale, anzi meglio, dell'utilità generale” (3). Legittimità nell’illegalità, dunque. Eventualità che trova giustificazione nel fine ultimo che ci si pone di raggiungere. Non va infatti dimenticato che la legalità, principio fondamentale di qualunque ordinamento democratico, deve sempre essere considerata come la stella polare che guida l’attività di ogni cittadino, ma soprattutto di coloro che appartengono alle amministrazioni dello Stato. La violazione di tale principio porta inevitabilmente a scontrarsi con l’autorità giudiziaria la quale, come previsto dall’art. 112 della Costituzione, ha l’obbligo di esercitare l’azione penale. Tuttavia in relazione a determinate attività e precipuamente quelle compiute dalle agenzie di informazione il binomio legittimità – legalità trova una sua deroga proprio in virtù dei fini che si intende perseguire. Fini che, come stabilito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.86/77 e ribadito poi negli articoli della legge n.124/2007 che individuano i compiti delle due agenzie di informazioni, sono volte alla tutela dei supremi e imprescindibili interessi dello Stato, i quali sono posti a fondamento della sua stessa esistenza. L’utilizzazione di modalità o attività e azioni formalmente illegali sono dunque consentite agli operatori di intelligence qualora queste vengano poste in essere legittimamente, e cioè quando sono rivolte al perseguimento degli interessi di cui sopra.
Tra le varie soluzioni studiate dalla dottrina per ovviare alla questione che si sta analizzando il legislatore del 2007, conscio di dover risolvere la questione nel campo del diritto penale sostanziale, ha optato per l’adozione di garanzie funzionali consistenti nella speciale causa di giustificazione prevista dall’art.17 della legge n.124/2007. Soluzione sollecitata dall’emanazione, appena un anno prima, della normativa relativa alle operazioni sotto copertura (Legge n.146/2006), che prevede proprio una scriminante per gli ufficiali di p.g. che si trovino ad effettuare determinate attività operative, ma anche incitata dalla tendenza ad accogliere una visione funzionalistica del sistema penale.
Tale scelta di legislazione ha evaso le dispute relative alla tipicità formale o sostanziale delle attività degli operatori di intelligence, riconoscendole ab origine come sostanzialmente aderenti alla fattispecie penale di riferimento.
E’ proprio tale sostanziale conformità alla legge che consente di prevedere una scriminante. Questo è stato possibile riconducendo il tutto alla fondamentale teoria tripartita che permea la disciplina del diritto penale sostanziale. In riferimento proprio a tale teoria l’adozione di una causa di giustificazione all’interno della legge n.124/2007 trova residenza nella mancanza di danno sociale, in quanto la loro ricorrenza toglie all’azione a cui si riferiscono il carattere di antagonismo rispetto alle finalità dell’ordinamento e, nello stesso tempo, eliminano la necessità della sanzione in quanto rendono la condotta idonea a soddisfare un interesse portatore di un valore superiore a quello che si sacrifica.
Il legislatore del 2007 nel costruire la riforma dei Servizi di Informazione e del Segreto di Stato ha dunque optato per l’utilizzazione di una causa di giustificazione come strumento di tutela per gli operatori di intelligence. La previsione di condotte scriminati sulla base di un’autorizzazione rilasciata dall’Autorità politica, chiamata a effettuare una valutazione circa gli strumenti più idonei per conseguire l’obiettivo della sicurezza nazionale, risulta essere la più idonea ad affrontare le nuove sfide che il mutato contesto sociale configura soprattutto nei confronti dei paesi occidentali.
Gli operatori dei servizi si trovano invero ad operare in un contesto particolarmente instabile nel quale risulta praticamente impossibile effettuare qualunque tipo di prognosi comportamentale in quanto ci si trova davanti ad una variegata fenomenologia praticamente impossibile da prevedere obiettivamente. A ragione di ciò sarebbe stato improponibile tutelare gli agenti dei servizi individuando ab origine una serie di attività tipizzate come normalmente compiute dagli operatori durante la loro attività. In questo modo si sarebbero inevitabilmente lasciati scoperti degli ambiti di operatività proprio a causa della naturale incapacità di effettuare previsioni circa le possibili condotte che gli agenti sarebbero stati chiamati a tenere nell’adempimento dei propri compiti, con inevitabili ripercussioni anche nell’ambito processuale. Nell’ impossibilità di tracciare una precisa linea di confine tra le attività legittime (perché tipizzate) e quelle illegittime (perché non tipizzate), si sarebbe immancabilmente fatto ricorso all’istituto del segreto di Stato, continuando ad utilizzare questo strumento fuori dai ranghi che fisiologicamente gli competono. Questo avrebbe contribuito, come successo già in passato, ad allontanare sempre di più nella collettività quel senso di affidamento ad un apparato dello Stato che esiste, resiste e persiste proprio per tutelare la sicurezza della comunità sotto molteplici aspetti.
Per questi motivi le garanzie funzionali, ricondotte nell’ambito del diritto penale sostanziale e disegnate dal legislatore del 2007 in modo da prevedere una scriminante per gli operatori che pongono in essere condotte, formalmente illegali, ma autorizzate e documentate di volta in volta al fine di adempiere ai compiti istituzionali riconosciuti loro dalla legge stessa, risultano essere la scelta più adeguata; considerando anche la necessità, derivante sempre dalle minacce del XXI secolo, di inserire i servizi di informazione per la sicurezza della Repubblica italiana in contesto di intelligence community internazionale.
Pare opportuno citare le parole della Corte Costituzionale che, con la Sentenza n.86/77 sosteneva: “la sicurezza dello Stato costituisce interesse essenziale, insopprimibile della collettività, con palese carattere di assoluta preminenza su ogni altro, in quanto tocca, come si è ripetuto, la esistenza stessa dello Stato, un aspetto del quale è la giurisdizione”. La legge del 2007, nel porre a fondamento dell’esistenza stessa dei Servizi le finalità istituzionali individuate dalla Corte Costituzionale, porta con se l’inevitabile cambiamento geopolitico, geoeconomico e sociale che è intervenuto nel corso di trent’anni di storia. La sicurezza dello Stato oggi va analizzata con un occhio sensibile a percepire la multidimensionalità delle minacce che possono provenire sia dai canali già individuati in passato, come quello esterno ed interno, ma che possono individuarsi anche in forme di aggressione totalmente nuove come per esempio il cyberterrorismo, la cybercriminalità o la cyberwar. In un contesto mondiale completamente globalizzato, dove la sicurezza di uno Stato non dipende più soltanto dalla capacità militare dello stesso di difendere i propri confini e i propri obiettivi sensibili, ma soggiace alla predisposizione di tutta una serie di misure e contromisure supportate dalla tecnologia informatica che consentano di tutelare i mercati, gli interessi finanziari, le infrastrutture critiche e il bene più importante, cioè l’informazione, l’attività dei Servizi di intelligencesi informa a questo scopo. Inevitabile è quindi un espansione dell’originario significato di sicurezza dello Stato individuato nei suoi caratteri omnicomprensivi, in modo cosi lungimirante, dalla Corte Costituzionale.
Andrea Strippoli Lanternini
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(1) MORTATI V., Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1976
(2) BERARDINO F., Modalità e strumenti dell’attività di informazione e sicurezza tra legittimità ed illegalità: la problematica delle garanzie funzionali, in Per Aspera ad Veritatem N.9 settembre-dicembre 1997
(3) CAIANELLO V., La legalità, Per Aspera ad Veritatem 1997
(in apertura un fotogramma tratto del film Casinò Royale)