13/02/2014 - A 15 chilometri da Herat, nel villaggio di Camp Arena, i militari della missione Isaf aspettano di tornare a casa. Dopo la chiusura dell’ultima base avanzata, quella di Shindand, lavorano alacremente, seppure a contingente ridotto, per fare in modo che entro la fine del 2014 tutto sia stato fatto per lasciare la totale e completa responsabilità del controllo del territorio all’ANSF (Afghan National Security Force).
Le forze di sicurezza afghane, grazie alla collaborazione e all’addestramento qualificato fornito dai nostri militari, sono sempre più preparate e pronte a fronteggiare le difficoltà del travagliato Paese. Ci sono ancora undici province, quelle soprattutto situate nell’area Sud, che ancora non completano il processo di passaggio del controllo nelle mani afghane.
L’avviamento verso l’”autonomia” rispetto alla missione Isaf è in stato avanzato, visto che è partito nel giugno 2013. Questo ultimo step segnerà il passaggio da un prima ad un dopo la missione. Una missione che nell’area di competenza italiana ha già dato i suoi frutti, anche se ad essa i nostri connazionali hanno pagato un altissimo tributo di sangue. Sono 53 i nostri ragazzi morti sul suolo afghano e grazie ai quali la speranza di giungere ad una stabilizzazione che non sia solo di facciata, appare ora una possibilità più vicina anche se tutt’altro che scontata.
Sembra lontano quel marzo del 2011 in cui l’annuncio trionfale dato dal Presidente Karzai in merito alla cessione alle forze locali di Kabul e Bayman, sembrava già un passo gigantesco. Da allora, e dal successivo novembre in cui anche la provincia di Herat ha compiuto lo stesso passaggio, tanti – e non solo relativi alla gestione della sicurezza - sono stati i progressi in questo Paese battuto dai gelidi venti provenienti dall’Himalaya. Venti che spaccano la pelle e le labbra e che a tratti, in questo mese di febbraio, lasciano il posto ad un tiepido sole. Timido ma caparbio, come le donne afghane che, in questo 2014 di transizione, rappresentano addirittura la metà della popolazione scolastica degli istituti locali, come era impensabile fino a qualche tempo fa.
Gli istituti nei quali si formano le donne del “nuovo Afghanistan” sono in tanti casi stati costruiti grazie al Provincial Reconstruction Team – CIMIC Detachment italiano, l’unità militare che ha il compito di fornire assistenza alle istituzioni della Provincia di Herat per la realizzazione dei piani di sviluppo locale. Ed insieme alle scuole sono state edificate o ricostruite condotte idriche, infrastrutture. Come pure nuovi ospedali, tanto che la situazione appare migliorata dal punto di vista sanitario. Con Isaf sono state costruite 120 strutture sanitarie in generale in tutto il paese e circa il 70% della popolazione può farvi oggi ricorso. Insomma, la missione sembra avere raggiunto i suoi scopi.
Restano le incognite delle elezioni di aprile, della corruzione ancora dilagante. Parimenti, è da definire come debba avvenire il passaggio dalla fase operativa a quella di assistenza e, soprattutto, se l’Italia farà parte di questa nuova fase. Ma, comunque vada, l’Afghanistan non è più lo stesso che i nostri militari avevano trovato al loro arrivo e questo non può che accendere la speranza che sappia imparare a camminare con le proprie gambe.
Daniela Lombardi