11/05/2015 - “Hai mai giocato ai videogame? Allora saprai volare con l’F-35”.
E’ una calda mattina quella di mercoledì scorso, sei maggio, ad Istanbul. Il salone internazionale della Difesa, in pieno svolgimento, ospita le compagnie militari più potenti del pianeta.
Tra presentazioni delle nuove piattaforme e panel esclusivi, nella più grande città turca si sono dati appuntamento gli addetti ai lavori (soltanto quelli invitati dall’organizzazione) provenienti da tutto il globo. Tra le aziende presenti (oltre 800 quelle che hanno raggiunto Istanbul), c’è ovviamente anche la potentissima Lockheed Martin, azienda americana e maggior contraente militare degli Stati Uniti.
Diciamo subito che la Lockeed non ha portato il suo F-35 al salone, tradendo forse le aspettative di quanti, a due mesi di distanza dall’entrata in servizio con il Corpo dei Marine, si aspettavano di vedere dal vivo una delle varianti dello JSF (magari proprio quella acquistata dal governo turco).
L’azienda americana è ad Istanbul con rappresentanti del Dipartimento della Difesa USA. Riesco a scoprire che quel mercoledì mattina si sarebbe svolto, a porte chiuse e solo dietro inviti specifici della società, un resoconto sull’F-35. Certamente per chi come me si ritrova a scrivere quasi a cadenza settimanale, purtroppo non sempre in positivo (basandomi su quanto affermato dal Pentagono non per partito preso) sul caccia di quinta generazione, di trovarmi in quel panel ci sarebbe stata difficilmente occasione. E’ , quindi, una vera e propria sorpresa quando un rappresentante della società, mi comunica di essere in lista per partecipare all’approfondimento organizzato dalla Lockheed.
Ovviamente non mi lascio scappare l’opportunità ed insieme ad Andrea Cucco (direttore di Difesa Online, l’unica testata italiana invitata ad IDEF), ci rechiamo alle 10,30 di quel mercoledì mattina, al secondo piano dello stabile principale che ospita il Salone.
Capiamo subito che c’è qualcosa di diverso nell’aria. Raggiunto il primo piano, noto che la sorveglianza non è più locale, ma esclusivamente americana. Controllano i nostri dati. “Welcome Sir”, mi dice un addetto alla sicurezza con un cartellino con su scritto Lockheed Martin appeso alla sua elegante giacca blu. Stessa cosa anche per il direttore. Raggiungiamo insieme il secondo piano: stessa procedura, maggiore attenzione nei controlli, solito garbo.
Quel mio secondo giorno ad IDEF decisi di recarmi con una polo da collezione griffata “Aeronautica Militare” (preciso comprata a mie spese), lasciando in albergo la giacca. Quell’afa turca era per me insopportabile.
Raggiungiamo la stanza dopo aver percorso un lungo corridoio. All’ingresso un ultimo controllo, poi finalmente entriamo nella stanza adibita per il panel riservato. Una gentilissima ragazza, ci invita a comunicare i nostri dati: scopriamo con stupore che soltanto venticinque persone provenienti da tutto il mondo sono state accreditate e che siamo gli unici italiani. Ci accomodiamo su un tavolo elegantemente arredato, notando un cameriere alle nostre spalle che non si sarebbe mosso per l’intera durata della conferenza e pronto a soddisfare ogni nostra richiesta culinaria. La stanza è addobbata con poster ad alta definizione della Lockeed e da un gigantesco schermo centrale.
La classe americana non tarda a farsi sentire. Al nostro tavolo si avvicinano subito i responsabili del Progetto JSF, capi dipartimento Pratt & Whitney ed altri funzionari del Programma che ci ringraziano per essere li e per i numerosi articoli scritti. La vera e propria conferenza ve la racconteremo nei prossimi giorni. Possiamo solo dirvi che i progetti di consegna Lockheed sono diversi da quelli ufficiali del governo italiano. Anzi, per dirla tutta: Lockheed ha comunicato dati ed informazioni che il nostro paese non ha mai diramato.
Arrivato il mio turno durante l’Ask Me Anything, pongo una serie di domande (cannone, motore, problemi tecnici, stiva interna, una versione per tutte le forze armate, A-10/F-35, stabilità della cellula), che fanno storcere il naso ai funzionari della società americana e del collaudatore capo della Lockheed, un ex pilota militare che ha volato in ogni teatro bellico negli ultimi venti anni. Lo stesso direttore Cucco mi guarda con occhi sgranati ed anche se non lo confermerà mai, in quel momento sembrava dire “ma che diavolo fai”.
Ma io sono stato invitato e non sopporto la prostratio né lo spagnolesco rispetto a nessun livello. Dopo poco meno di novanta minuti, la conferenza si conclude ed iniziano le sorprese. I funzionari della Lockheed ci invitano a visitare il proprio spazio espositivo, cosa che ovviamente accogliamo con entusiasmo.
Perdo di vista il direttore e mentre mi incammino verso l’area Lockheed Martin, penso tra me e me alla faccia degli americani durante le mie domande.
Giunto sul posto, faccio caso al padiglione dedicato all’F-35 dominato da una piccola struttura circolare, sovrastata da una scritta dedicata al caccia. A prima vista sembra un'area ipertecnologica di richiamo, ma il direttore di DO mi invita a guardarla con attenzione. Quella struttura, infatti, non è soltanto espositiva, ma ospita all’interno qualcosa che attira subito il mio interesse. Provo a guardar attraverso l’unico schermo opaco semi trasparente, quando vengo subito fermato da un addetto della sicurezza della Lockheed. Prima che possa parlare, la responsabile della comunicazione americana della società tranquillizza la guardia che porgendomi le sue scuse mi accompagna aprendomi la porta di quell'ambiente futuristico. E' buio, circolare. Dopo pochi secondi si accendono i pannelli e scopro una postazione che recita su di un lato la scritta ”F-35 LIGHTINING II – COCKPIT DEMONSTRATOR”.
Siamo nel simulatore dell’F-35 dotato della versione finale del software 2B. Quei pannelli che circondano il caccia sono lì per simulare ogni aspetto del software. Ai comandi della postazione si pone subito un collaudatore della Lockeed (non quello militare conosciuto durante il panel), che si lascia osservare mentre compie un volo. Chiedo se posso scattare qualche foto, cosa che mi viene autorizzata senza alcun tipo di problema e con estrema gentilezza. Scatto una dozzina di foto quando decido che sarebbe stato meglio proseguire il mio tour e fare una visita ai russi.
Poco prima di procedere con i saluti di rito, dalla postazione scende il collaudatore che gentilmente mi dice “want to fly?”.
Certo, rispondo io, e prima che ci ripensi mi dirigo subito verso la postazione. Il collaudatore avvia dalla postazione in remoto il dimostratore. Durante la mia collaborazione con l’Aeronautica Militare e la NATO, ho avuto modo di salire a bordo di alcuni velivoli e studiare a fondo i cockpit dei Tornado, degli EFA 2000, degli F-16 e dei Rafale francesi, ma quello è totalmente diverso da qualsiasi altra cosa in cui mi sia mai seduto prima (compreso il simulatore dell’AM dell’F-16 che ho provato anni fa).
Accedo senza che mi dicano dove mettere i piedi, eseguendo la sequenza che chi ha mai avuto la fortuna di sedersi su un caccia conosce. Per farla breve: mani e piedi vanno messi in una determinata sequenza ed in determinati spazi per evitare di toccare la strumentazione e gli schermi. Mi siedo immediatamente. La cosa sembra essere stata apprezzata dal collaudatore che dandomi una pacca sulla spalla richiude la fusoliera premendo un tasto collocato dietro la postazione.
In quel momento, l’F-35 prende vita. Quello chiamato “Panoramic Cockpit Display”, è uno schermo touchscreen di 50 x 22 centimetri anche se sembra essere molto più grande. Ad un comando dell’operatore esterno, il CPS si illumina ed inizia a trasmettere informazioni.
L’F-35 è stato progettato senza HUD: tutte le informazioni sono proiettate sul casco HMDS. Il dimostratore della Lockheed, però, mostrava le info sullo schermo cosi come le avrebbe viste il pilota indossando il casco. Realizzato in fibra di carbonio, il casco da 400 mila dollari realizzato dalla Rockwell Collins è poggiato poco distante dalla mia postazione, ma non è collegato. Il sistema di visualizzazione sull'elmetto sarà integrato in tutti i modelli dell'F-35.
Quello oggi in dotazione è il casco di terza generazione. Presenta migliorie sotto il profilo software e con la visione notturna. Si notano, però, problemi di condivisione tra i caccia quando questi volano insieme. Il problema non si pone quando la formazione è composta da due caccia. In quel caso, i due F-35 sono in grado di condividere le informazioni ad oltranza e senza problemi. Una formazione di quattro caccia, invece, fornisce un quadro reale instabile, fornendo ai piloti falsi segnali sui bersagli. Penso per un attimo se siano stati risolti i problemi di Vision Systems. Voli recenti hanno dimostrato che i progressi sul casco continuano e che molti dei precedenti problemi sono stati risolti. Le difficoltà maggiori si riscontrano nella visione notturna e nella proiezione delle immagini sulla visiera del casco.
Volgo lo sguardo altrove ed inizio a prendere confidenza con la piattaforma. Hands On Throttle And Stick: interruttori vitali, funzioni radar, sistemi di controllo delle armi, identificazione, comandi di volo, radio, navigazione sono posti sui comandi e sulla manetta della spinta. In questo modo il pilota può compiere la missione senza dover rimuovere le mani dai comandi di volo.
L’indice della mano destra mi va subito sul tasto di fuoco che un giorno abiliterà anche il cannone GAU-22/A da 25 mm e che, penso tra me e me, funzionerà solo nel 2019 perché il codice software non è stato ancora scritto. Il sedile US16E è davvero unico, la sensazione trasmessa è di estrema comodità. Nulla a che vedere con gli angusti spazi dei caccia delle generazioni precedenti.
Chiedo se questo dimostratore presenta accorgimenti particolari per i civili o se è la versione identica a quella militare. La risposta mi stupisce: “è quello per i piloti, software 2B”. Non ci sono più dubbi, il dimostratore implementa l’ultimo software di volo e gestionale dell’F-35, lo stesso che equipaggerà il Corpo dei Marine tra due mesi.
Cerco di entrare ancora di più in sintonia con il cockpit. Noto che il sedile non è inclinato di 30° come quello dell’F-16, ma la postazione è ben eretta. Il collaudatore mi lascia fare e mi accorgo che alla mia sinistra si posiziona anche l’ex pilota militare che non pronuncia una parola.
Quale versione vuoi provare, mi chiede il collaudatore della Lockheed?
Il dimostratore è in grado di simulare le tre versioni dell’F-35, ma essendo statico (senza cioè il supporto di sistemi ammortizzanti che possano simulare la fisica e la gravità), propendo per la versione A, variante a decollo ed atterraggio convenzionale. Scelgo ottime condizioni meteo con visibilità massima a 360 gradi in una mite giornata nella base di Yuma, in Arizona (la stessa che ospiterà il primo gruppo F-35 per i Marine). In effetti, pochi secondi dopo, realizzo che le condizioni meteo sono assolutamente indifferenti considerando che non vedrò attraverso i miei occhi fisici, ma con quelli del caccia. Il targeting delle immagini vede attraverso nuvole, perturbazioni in aria così come a terra. La mia configurazione stealth, il mio equipaggiamento di tipo standard: due missili aria-aria e due armi aria-terra.
Con una leggera pressione sullo schermo, il computer mi comunica il mio apparato difensivo e offensivo: chaff, flare, due missili AIM-120 AMRAAM e due Joint Direct Attack Munition da 900 chili. Luce verde anche per il cannone (che però non dovrei avere). Massimo livello di carburante, controllo il vento ed attendo verifica controlli pre-volo.
L’F-35 impiega novanta secondi per compiere l’intero ciclo di controllo in modo del tutto autonomo. Il pilota deve “solo girare la chiavetta, accendere il motore e partire”. In mente mi ritornano le parole del collaudatore militare durante il panel: “pilotare l’F-35 è facilissimo, non credereste ai vostri occhi”.
Mentre attendo la procedura, utilizzo il “panoramic cockpit display” come fosse un ipad. I due piloti mi osservano, ma mi lasciano fare. E’ questo ciò che vogliono: che capisca il livello di integrazione raggiunto tra i diversi sensori per una ottimale Capacità Operativa Iniziale. Apro cartelle, le richiudo, sfioro le armi, controllo il radar AESA APG-81, il sistema elettro-ottico di puntamento TFLIR, il color-weather radar, l’Advanced Sensor Fusion, il Distributed Aperture System ed il sistema 325 AN / ASQ-239 Barracuda. Sono seduto da appena un paio di minuti, ma l’affinità è immediata.
Hai mai giocato - mi chiede il collaudatore militare – ai videogame?
Certo - rispondo io – sono anche bravo.
Hai mai volato? - replica.
Ultraleggeri per passione – rispondo - ma in aria mi capita di stare spesso.
Alla mente mi ritornano i voli sugli elicotteri militari HH3F e HH139 della nostra Marina ed Aeronautica, ma sgombero la mente non appena ricevo luce verde. Sono pronto per decollare.
Tutti gli schermi ad altissima risoluzione mi circondano a 360 gradi avvolgendo la mia postazione: non sono più ad Istanbul, ma in una base dei Marine. Giro gli occhi ed inizio a vedere la realtà vista con gli occhi di un F-35. Ricevo il GO. Inizio a dare potenza, spingendo la manetta alla mia sinistra. Le casse acustiche collocate lungo tutta la stanza simulano il motore Pratt & Whitney F135. Nessuna spinta contro il sedile ne tuta anti-G, ma non importa.
Vedo tutte le info principali sul pannello che simula il casco. Il collaudatore mi fa cenno di raggiungere la velocità massima ed io spingo ancora di più la manetta sentendo lo “scatto” che conferma l’accensione del post bruciatore. Massima potenza. Pochi secondi dopo ed una leggera pressione sul timone di coda, il caccia si alza. Prima che i collaudatori me lo dicano, durante la fase di spinta faccio rientrare il carrello, cosa che sembra apprezzata.
Inizio la salita, profilo di volo pulito. Mi stabilizzo a diecimila piedi, riduco la velocità ed inizio a concentrarmi su ciò che vede l’F-35. La ricostruzione della mappa 3D con il fotorealismo è impressionante.
Inizio a “comunicare” con il Distributed Aperture System e le sue telecamere ad infrarossi installate sul velivolo (possono operare in singolo o in sinergia). Non vedo la fisicità del cockpit, ma solo terra e cielo. Le telecamere rilevano l'intera sfera intorno al velivolo che è di circa 41.000 gradi quadrati, mentre il radar vede 10.000 gradi quadrati (potrei rilevare una traccia missilistica ad oltre 1.900 chilometri).
I collaudatori alle mie spalle, intanto, confabulano qualcosa. Noto che il DAS mi comunica di aver identificato qualcosa sullo schermo, info che è immediatamente condivisa con il radar. Con una leggera pressione sullo schermo, identifico un convoglio nemico. Ecco cosa volevano che provassi: capire come funziona l’integrazione dei sistemi. Il pilota può decidere di isolare la traccia rilevata. Qualora il pilota dovesse per un qualsiasi motivo decidere di non visualizzare quella specifica traccia, l’F-35 continuerà a monitorarla raccogliendo ogni tipo di informazione su di essa. Una sorta di sinergia dei sensori di bordo, ma le informazioni sono assolutamente gestibili e, nella mia simulazione, mai invasive o confuse.
Non identifico alcuna minaccia: il Radar Warning Receiver così come le misure di sostegno elettronico non mi segnalano nulla. Se qualcosa mi fosse lanciato vedrei in uno dei pannelli un “puntino rosso” con tutte le informazioni. Non c’è alcun nemico, quindi è sempre il DAS che mi comunica tramite procedura GTL, o ground target launch, una soluzione di tiro sul convoglio nemico. La GTL è la capacità di fusione della traccia DAS con il missile. Scorgo un simbolo sul display e mi preparo al fuoco. Effettuo, cosi come farei sul mio ipad per ingrandire un’immagine, uno zoom sul bersaglio. Il sistema di puntamento ottico elettrico è chiamato TFLIR, una termocamera installata sul velivolo (negli altri caccia è caricato su uno dei pod esterni). La soluzione di tiro è ottima, quota e velocità sono perfette e decido di fare fuoco.
La JDAM lascia la stiva delle armi e si richiude immediatamente per non inficiare la segnatura radar e raggiunge l’obiettivo pochi secondi dopo. Sono sul dimostratore da circa quindici minuti e ho interagito con il caccia, individuato una minaccia e fatto fuori il mio primo nemico. A poco a poco inizio a capire la sigla OODA: "observe, orient, decide, and act". Passano i minuti ed ormai ho piena familiarità con la piattaforma. Giro la testa, seleziono un’area ed i sensori coprono l’intera distanza consentita. Nessuna minaccia a terra ne in aria.
Decido di vedere cosa c’è dietro di me e mi affido al sensore di coda. Scorgo un capannone a centinaia di km di distanza, effettuo un ingrandimento dell’immagine, ma non scorgo nulla. La suite CNI così come l’Advanced Data Link è perfettamente implementata, ma non ho avviato il software radio quindi non ho fisicamente utilizzato anche questo sistema.
Raggiungo i venti minuti di volo, quando capisco che è arrivato il momento di atterrare. Viro dolcemente a destra e punto il muso verso la base. A circa 1,5 km, inizio la discesa, riduco potenza ed inizio la sequenza. Controllo assetto ed angolo di incidenza. Carrello fuori. Decido di ridare potenza per contrastare il maggior attrito con l’aria ed un po’ di vento che soffia sulla base. Piccoli movimenti sul mio “joystick”, controlli i muscoli del mio braccio: non sono in tensione, sono rilassato. Rateo di discesa costante. Aerofreni ed inizio a planare dolcemente sulla pista. Eseguo la richiamata senza problemi. Retta. Ricordo tra me e me una delle regole principali per l’atterraggio: “delicatezza, non velocità”. Tocco terra , rallento e libero la pista. Ottimo lavoro, mi dice il collaudatore con un sorriso, buon volo.
Conclusioni
Il volo perfetto? Senza dubbio e non poteva andare diversamente. Il software 2B comunica perfettamente con tutte le sue parti, ma il volo effettuato è stato soltanto un test ottimale non valutativo dove ogni cosa doveva andare bene.
Volutamente nel racconto del mio volo, ho lasciato alcuni aspetti prettamente tecnici, concedendomi quando possibile un linguaggio di comune utilizzo. Al di là dei problemi che affliggono il caccia in divenire (perché questo è l’F-35), dalla Lockheed sono sicuri di stare sviluppando il game changer definitivo.
“Noi vediamo ogni cosa, loro non ci vedono”, questo lo slogan della società per presentare alla selezionata platea di Istanbul l’F-35. A due mesi dall’entrata in servizio del caccia con il Corpo dei Marine, possiamo senza dubbio affermare una cosa: la facilità di apprendimento e l’estrema immediatezza che trasmette il software 2B, definito unico nel panorama mondiale.
L’F-35 potrebbe ancora fare cose eccezionali per un contesto che probabilmente ancora non esiste.
Ultima curiosità
Uscendo dal simulatore ritrovo il direttore di Difesa Online, Andrea Cucco.
Il Program Integration and Business Development Jack Crisler (una delle figure principali del programma F-35), osservando la mia polo dell'Aeronautica Militare (ripeto, pagata a mie spese), mi dice di attendere, lasciando me ed il direttore Cucco con gli altri della Lockheed. Ritorna dopo pochi secondi con due polo esclusive firmate Lockheed Martin con il logo dell’F-35.
Ve le siete meritate – ci dice – potete indossarle. Sei il primo civile italiano – aggiunge Crisler – a testare il dimostratore con il software finale.
Ringrazio con gentilezza e penso tra me e me: in tre ore ho pilotato il dimostratore F-35 e guadagnato anche una polo non in commercio dell’F-35. Non è andata poi cosi male.
Franco Iacch
(foto: ©Difesa Online)